Qui l'indice degli articoli in ordine al Sinodo sulla sinodalità, da cui si può risalire anche agli indici riguardanti i Sinodi precedenti.
È uscito l'altro ieri l'Instrumentum laboris per la prima Sessione (ottobre 2023) del Sinodo Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione... qui. Dall'immagine a lato è rilevabile una svista, che denota comunque poca cura oppure poca dimestichezza col latino.
Dunque il Sinodo inizierà il prossimo 4 ottobre, all’insegna del “cammino”. È un “processo” aperto a qualsiasi conclusione, in conformità di sempre nuovi paradigmi. Storicismo (altro che continuità!) al massimo livello. Al posto della verità è stata messa la relazione. Le radici le trovate esposte di seguito, anche se in un primo momento pensavo di cavarmela icasticamente con questo solo commento che già mostra cosa ci attende :
ἀλλὰ γὰρ λόγους κρύψω, τὸ δ' ἔργον αὐτὸ σημανεῖ τάχα. (Euripide, Andromaca, 265)
"Non dirò niente (nasconderò le parole), ma l’azione stessa lo mostrerà presto" (affermazione da prendere sia sul personale che in riferimento a quel che accade nei cosiddetti cammini sinodali: Germania docet).
Invece, non riesco a tacere; e allora me la cavo, in mancanza di migliori energie, riproponendo stralci di riflessioni già sviluppate su queste pagine ma sempre attuali. Penso di fare un servizio utile entrando più in dettaglio. Per questo sviluppo tre punti (chi vuole può approfondire attraverso i link di volta in volta inseriti) : 1. Storicismo spinto al posto della continuità. 2. Primato della prassi sulla dottrina: azione versus conoscenza. 3. Sinodalità al posto della universalità de 'la Catholica'.
1. Storicismo spinto al posto della continuità.
Attualmente il problema non è solo ermeneutico, è molto più profondo, perché vede di fronte due concezioni diverse del magistero, frutto di una vera e propria rivoluzione copernicana, collegata con una nuova concezione di Chiesa nata dal concilio, che ha spostato il fulcro di ogni cosa dall’oggetto al soggetto. In fondo è una delle molte facce ed espressioni della nuova antropologia introdotta dal concilio, passata dal teocentrismo all'antropocentrismo [Gaudium et spes -qui- un testo di Mons. Gherardini]: un uomo centrato su se stesso e non più fontalmente orientato a Dio con le innumerevoli implicazioni, anche in campo liturgico, sviluppate altrove. Frutto dello storicismo, del personalismo e di ogni altra spinta modernista, che hanno nutrito la Nouvelle Théologie che la sta facendo tuttora da padrona, in una Chiesa non più docente ma dialogante. La nuova concezione emerge anche nell'affermazione del discorso di Benedetto XVI del 22 dicembre 2005 che contrappone all'ermeneutica della discontinuità «l'“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa».
Una breve premessa e considerazioni conseguenti.[1]
- Il Magistero bimillenario della Chiesa può dirsi ‘vivente’ nel senso di vivo e vitalizzante perché trasmette secondo i bisogni di ogni generazione - curandone l'integrità nella sostanza: eodem sensu eademque sententia - il Depositum fidei della Tradizione Apostolica, fondamento oggettivo, dato per sempre, pur se sempre ulteriormente approfondito e chiarito nelle sue innumerevoli ricchezze;
- il magistero attuale si dice invece vivente, in senso storicistico, perché portatore dell'esperienza soggettiva della Chiesa di oggi (che sarà diversa in quella di domani) essendo sottoposta all'evoluzione determinata dalle variazioni contingenti legate alle diverse epoche.
Il ruolo del magistero – ha detto Benedetto XVI – è di garantire la continuità di una esperienza, è lo strumento dello Spirito che alimenta la comunione «assicurando il collegamento fra l'esperienza della fede apostolica, vissuta nell'originaria comunità dei discepoli, e l'esperienza attuale del Cristo nella sua Chiesa». E ancora: «...Concludendo e riassumendo, possiamo dunque dire che la Tradizione non è trasmissione di cose o di parole, una collezione di cose morte. La Tradizione è il fiume vivo che ci collega alle origini, il fiume vivo nel quale sempre le origini sono presenti » [2]. L'enunciato è tratto da una stupenda catechesi; ma il problema sta nel fatto che le cose o parole definite “collezione di cose morte”, nella vulgata modernista vengono riferite al “magistero perenne” che sarebbe diventato “cosa morta” da sostituire col magistero “vivente”, identificato con quello attuale. In tal modo viene conferita al magistero una prerogativa che non gli è propria: quella di essere sempre riferito al “presente” [3], con tutta la mutevolezza e precarietà propria del divenire, mentre la sua peculiarità è quella di essere, nel contempo, passato e presente, trasmettendo una Verità rivelata che, pur inverata nell’oggi di ogni generazione, appartiene all’eternità. Altrimenti cosa trasmette la Chiesa a questa generazione e a quelle future: solo un’esperienza soggettiva? Mentre le è proprio esercitare una funzione sempre in vigore, il cui atto è definito e promosso attraverso l'oggetto, ovvero attraverso le verità rivelate e tramandate.
2. Primato della prassi sulla dottrina: azione versus conoscenza
In sostanza è cambiato il cardine su cui si fonda la Fede e la sua trasmissione, spostato dall'oggetto-Rivelazione al soggetto-Chiesa/Popolo di Dio [4] pellegrina nel tempo e di fatto trasferito dall'ordine della conoscenza a quello dell'esperienza, evidenziato dal primato del sentimento, o addirittura della sensazione o del sensazionalismo, sull'intelletto. Il cuore umano è diventato sentimento: nulla a che fare con il cuore biblico, cioè con l'interiorità profonda, il 'luogo' delle scelte fondamentali e, oggi, in nome del vangelo tutto diventa sdolcinato sentire, emozione, percezione soggettiva. Da conseguenza a punto di partenza. È il frutto della dislocazione della Santissima Trinità, come illustra 'sapientemente' Romano Amerio:
« Alla base del presente smarrimento vi è un attacco alla potenza conoscitiva dell’uomo, e questo attacco rimanda ultimamente alla costituzione metafisica dell’ente e ultimissimamente alla costituzione metafisica dell’Ente primo, cioè alla divina Monotriade. [...] Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così nell’anima umana il vissuto dal pensato. Se si nega la precessione del pensato al vissuto, della verità alla volontà, si tenta una dislocazione della Monotriade » [5]. Intuibile il sovvertimento della realtà che ne deriva [qui].
Il problema della continuità, vista nell'unico soggetto-Chiesa e non nell'oggetto-Rivelazione inverato dalla Chiesa di ogni tempo, appare in tutta la sua gravità, proprio decriptando l'assunto del fondamentale discorso di Ratzinger del 22 dicembre 2005 (vedi supra). Occorre, invece, portare l'eternità in ogni presente della storia e non sottrarre la storia all'oggettiva feconda pregnanza della Verità eterna, che è da sempre e per sempre e non si evolve, ma ci è data perché siamo noi a doverci evolvere.
Ed è proprio da qui che nasce e per questo rischia di continuare - senza esiti (finora, tranne che per il dibattito oggi innescato da mons. Viganò) - il dialogo tra sordi, perché gli interlocutori usano griglie di lettura della realtà diverse: il Vaticano II, cambiando il linguaggio [qui], ha cambiato anche i parametri di approccio alla realtà. E capita di parlare della stessa cosa alla quale, tuttavia, si danno significati diversi. Tra l'altro la caratteristica principale dei gerarchi attuali è l'uso di affermazioni apodittiche, senza mai prendersi la briga di dimostrarle o con dimostrazioni monche e sofiste. Ma di dimostrazioni non hanno neppure bisogno, perché il nuovo approccio e il nuovo linguaggio hanno sovvertito tutto ab origine. E il non dimostrato dell'anomala pastoralità priva di principi teologici definiti è proprio ciò che ci toglie la materia prima del contendere. È l'avanzata del fluido cangiante dissolutore informe, in luogo del costrutto chiaro, inequivocabile, definitorio, veritativo: l'incandescente perenne saldezza del dogma contro i liquami e le sabbie mobili del neo-magistero transeunte.
Conciliarità, Sinodalità. Come cambia la Chiesa? [stralcio dall'analisi più ampia e circostanziata qui]
L'intervista al papa de La Civiltà Cattolica (19 agosto 2013) - punto di partenza dei rivoluzionari atti successivi - si è rivelata una miniera di informazioni e la reiterazione di esternazioni che confermano il nuovo conformismo anticonformista di questo papa. A detta dello stesso intervistatore essa mostra: « una sorta di flusso vulcanico di idee che si annodano tra loro... un dialogo sorgivo. È chiaro che Papa Francesco è abituato più alla conversazione che alla lezione ».
Ma a noi è altrettanto chiaro che un papa non può continuare a dare lezioni che hanno l'immediatezza e il pressappochismo delle conversazioni. E invece questa inedita ma ormai consolidata pastorale mediatica - che si impone a chi ha portato cuore e intelletto all'ammasso o non ha sufficienti strumenti di decriptazione - è così fluida e cangiante ed anche fumosa nonché suscettibile di interpretazioni plurime, da creare una confusione quasi ingestibile, anche per la refrattarietà ad ogni tipo di critica oggettivante.
Per comprendere questa enfasi sulla collegialità [vedi anche - qui] - trasformata addirittura in sinodalità [6] -, dobbiamo partire dai documenti conciliari, nei quali è facile trovare anche solo spigolando, disseminati a volte in maniera apparentemente 'casuale', elementi dissonanti e non condivisibili perché in rottura con la Tradizione; rottura a volte palese, a volte in nuce e riconoscibile solo dagli effetti che ora sono sotto i nostri occhi. Rottura che spesso contrasta con le affermazioni di principio iniziali, che risultano vanificate dalle eccezioni che, nella successiva applicazione operata dai solerti conciliari all'opera nella Chiesa ai più alti livelli, sono diventate la regola.
Ho già fatto in altra sede riflessioni sulla collegialità, legandone le insidie a quelle della cosiddetta chiesa-comunione versus la chiesa gerarchica. Qui riepilogo brevemente gli atti che ne mostrano la graduale ma sempre più incisiva applicazione, della quale oggi assistiamo ad una pietra miliare dagli effetti certamente dirompenti: sembra un'accelerazione della costituzione di una Chiesa "altra" da quella che la Tradizione bimillenaria ci ha consegnato.
- 21 novembre 1964: nella Costituzione Dogmatica sulla Chiesa Lumen Gentium, la collegialità è introdotta al n.22. Secondo le più innovatrici interpretazioni di tale passo il Papa non dovrebbe più conservare un primato verticale sugli altri vescovi, ma solamente un primato orizzontale, onorifico, nel quale egli sarebbe un vescovo e le varie conferenze episcopali altro non sarebbero che organi consultivi. Nel documento il termine "collegio" ricorre 28 volte, quello collegialità 1; nel Vangelo nessuna. La famosa Nota Explicativa praevia [qui] - redatta su indicazione del card. Ottaviani nell'intento di correggere le incongruenze che erano state prontamente rilevate - è stata regolarmente ignorata e dunque disattesa[7] (vedi successivo punto 1.1 - I prodromi, la collegialità qui).
- Paolo VI depone la Tiara. Vi rimando a questo documento ed a questo successivo nei quali la lettura dei fatti, che ora sembrano aver raggiunto un nuovo culmine, andava dipanandosi. La deposizione della Tiara da parte di Paolo VI, fu attuata solo nella prassi e mai codificata se non con un cambiamento, sempre di prassi, sancito da Giovanni Paolo II consolidatosi con i successori. Sono a conoscenza di un dato storico proveniente da una testimonianza dell'allora protodiacono, card. Di Jorio. Quando Paolo VI manifestò l'intenzione di deporre la Tiara, non gli fu possibile farlo con una cerimonia come avrebbe voluto perché i cardinali-diaconi gli dissero: « Noi gliel'abbiamo imposta, noi non gliela leveremo ». E dunque egli entrò in Basilica portandola in mano e andò a deporla sotto l'Altare della Confessione... Ma oggi, di fatto la Tiara non c'è più, se non nei simboli custoditi dalle pietre e dalle vestigia storiche che ci tramandano il respiro di una fede millenaria [qui].
- Paolo VI istituisce il Sinodo dei vescovi per la Chiesa universale (Apostolica sollicitudo, 15 settembre 1965)
- Giovanni Paolo II trasforma la collegialità in legge, inserendola nel nuovo Codice di Diritto Canonico (Costituzione Apostolica Sacrae disciplinae leges, 25 gennaio 1983). Ed è così che introduce il rapporto di tipo protestante – dal basso verso l’alto – tra popolo ed episcopato, e tra episcopato e papato, già previsto in LG.
- Benedetto XVI attua la collegialità in maniera soft, ma efficace, con una certa desistenza dal governo a favore di una maggiore responsabilizzazione dei vescovi. Come atto conclusivo, 'depone' la giurisdizione [vedi qui] - [e qui]. Che senso può avere che non abbia voluto modificare lo stemma [qui]?
- 13 marzo 2013: Francesco depone tutti i simboli; 13 aprile 2013: "Consiglio della corona"/29 giugno 2013 [qui]: rende operante la collegialità e apre ad eretici e scismatici
- 15 settembre 2018 Francesco pubblica Episcopalis communio (EC), una costituzione apostolica che riordina le norme sui sinodi.
- Oggi il processo innescato è in pieno svolgimento e gli effetti sono sempre più devastanti
Si sta dipanando sotto i nostri occhi e tenta di imporsi una nuova 'forma' di esercizio del ministero petrino, già potenzialmente inquinato dalla "collegialità", alla quale si aggiunge ora, del tutto inopinatamente, la cosiddetta "conciliarità" trasformata in "sinodalità" (cfr. 1.2 - Bergoglio e La civiltà cattolica qui).
La pienezza della suprema autorità, che appartiene al Romano Pontefice e al collegio dei vescovi in comunione con lui non come unico soggetto, ma come due soggetti distinti, si estende alla Chiesa universale, e anche alle Chiese particolari, ai singoli sacerdoti e fedeli, mentre la «pienezza» della potestà del vescovo si estende soltanto alla sua Chiesa particolare. Inoltre, la potestà del vescovo è limitata anche per materia all’interno del suo territorio, per il fatto che il vescovo e la sua Chiesa locale sono destinatari delle leggi universali o comuni e sono sottoposti alle riserve enunciate dal c. 381, § 1.
In conclusione, si stanno creando verità soggettive, una nuova chiesa ad immagine e somiglianza del mondo dopo aver rinunciato al triplice munus docendi, sanctificandi e regendi della non più Mater et Magistra.
Maria Guarini
_______________________1. Maria Guarini, La chiesa e la sua continuità. Ermeneutica e istanza dogmatica dopo il Vaticano II, Ed. DEUI, 2012 - Estratto dal punto 3. Cap.4.
2.Benedetto XVI, La comunione nel tempo: la Tradizione, Catechesi del 26 aprile 2006
3. Vedi anche l'affermazione del papa attuale: «Il Vaticano II è stato una rilettura del Vangelo alla luce della cultura contemporanea» (Intervista rilasciata a La Civiltà Cattolica/sett.2013. Pensiero ripreso, tra l'altro, anche per le implicazioni riguardanti il disprezzo per il Rito Antico [vedi]
4, Questa definizione, generica, – di conio tutto Conciliare e dal sapore vetero-testamentario – di “popolo di Dio”, tende a sostituire quella più forte, specifica e identitaria di “Corpo mistico di Cristo”.
5, Romano Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX (qui), Lindau 2009, pag.315]
6. Un sinodo dei vescovi è un istituto parziale e transeunte e non è la stessa cosa del collegio episcopale universale, costitutivo della struttura della Chiesa"
7. Nonostante la “Nota esplicativa previa” Mons. Gherardini osserva che « dottrina della Chiesa è quanto la sua Tradizione, dagli Apostoli sino ad oggi, presenta e propone come tale: la collegialità non ne fa parte ».
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