Meditiamo sulla Liturgia del giorno con dom Prospero Guéranger, quasi come una lectio divina e assimilandone anche il valore pedagogico.
Dominica VI post Pentecosten
("Dominus fortitudo")
Introitus (Ps 27:8-9) Dominus fortitudo plebis suæ, et protector salutarium Christi sui est: salvum fac populum tuum, Domine, et benedic hereditati tuæ, et rege eos usque in sæculum. (Ps.27:1) Ad te, Domine, clamabo, Deus meus, ne sileas a me: ne quando taceas a me, et assimilabor descendentibus in lacum. V Gloria Patri, et Filio, et Spiritui Sancto. Sicut erat in principio, et nunc, et semper, et in sæcula sæculorum. Amen. – Dominus fortitudo (usque ad Ps.). |
Introito (Sl 27:8-9) Il Signore è la forza del suo popolo, e presidio salutare per il suo Unto: salva, o Signore, il tuo popolo, e benedici i tuoi figli, e govérnali fino alla fine dei secoli. Sl 27:1 O Signore, Te invoco, o mio Dio: non startene muto con me, perché col tuo silenzio io non assomigli a coloro che discendono nella tomba. V. Gloria al Padre, e al Figlio, e allo Spirito Santo. R. Come era nel principio e ora e sempre nei secoli dei secoli. Amen. - Il Signore è la forza del suo popolo... |
Il peccato di David.
L'Ufficio della sesta Domenica dopo la Pentecoste si apriva ieri sera con l'esclamazione vibrante d'un profondo pentimento. David, il re-profeta, il vincitore di Golia, vinto a sua volta dall'attrattiva dei sensi e da adultero divenuto omicida, esclamava sotto il peso del suo duplice delitto: "Ti prego, o mio Dio, perdona l'iniquità del tuo servo poiché ho agito come un insensato!" (Antifona dei Vespri).
Il peccato, quali che siano il colpevole e la colpa, è sempre debolezza e follia. L'orgoglio dell'angelo ribelle o dell'uomo decaduto non impedirà mai che la putredine di queste due parole si applichi, come una stigmata umiliante, alla ribellione contro Dio, all'oblio della sua legge, a quell'atto insensato della creatura che, chiamata ad elevarsi nelle serene sfere dove risiede il suo autore, si sottrae e fugge verso il nulla, per ricadere più in basso ancora di quel nulla da cui era uscita. Follia volontaria tuttavia, e debolezza inescusabile, poiché se l'essere creato non possiede nel suo intimo che tenebre e miseria, la somma bontà mette a sua disposizione, mediante la grazia che non manca mai, la forza e la luce di Dio.
Vigilanza.
L'ultimo e il più oscuro dei peccatori non potrebbe avere dunque alcuna ragione per giustificare le sue colpe; ma l'offesa è più ingiuriosa verso Dio quando gli viene da una creatura ricolma dei suoi doni e posta dalla sua bontà più in alto di altre nell'ordine delle grazie. Non lo dimentichino quelle anime per le quali il Signore ha, come per David, moltiplicato le sue magnificenze (Sal 70,21). Guidate per le vie riservate del suo amore, potrebbero anche aver già raggiunto le vette dell'unione divina; solo una vigilanza incessante può premunire chiunque non ha deposto il fardello della carne; la caduta è possibile sempre e dovunque; e quanto è più terribile allorché il piede slitta su quei picchi elevati della terra d'esilio che confinano già con la patria e danno accesso alle potenze del Signore (ivi 16)! Allora gli orrendi precipizi che l'anima aveva evitati nell'ascesa, sembrano chiamarla tutti insieme; essa rotola di abisso in abisso, spaventando talora perfino i cattivi con la violenza delle passioni a lungo represse che la travolgono.
Fiducia.
Dal profondo del baratro dove l'ha gettata la sua lacrimevole caduta, si umilii e pianga il suo delitto; non abbia timore di sollevare nuovamente gli occhi verso le cime dove or ora sembrava già far parte delle beate falangi. Senza frapporre indugi, esclami come David: "Ho peccato contro il Signore"; e come a lui, sarà risposto: "Il Signore ha perdonato il tuo peccato, non morrai" (2Re 13,12); e come per David, Dio potrà fare ancora in essa grandi cose. David innocente era apparso l'immagine fedele di Cristo, oggetto divino delle compiacenze della terra e del cielo; David peccatore, ma penitente, rimase la nobilissima figura dell'Uomo-Dio carico dei peccati del mondo, e che porta su di sé la misericordiosa e giusta vendetta del Padre offeso.
Messa
EPISTOLA (Rm 6,3-11). - Fratelli: Quanti siamo battezzati in Gesù Cristo, nella morte di lui siamo stati battezzati. Noi dunque pel battesimo siamo stati sepolti con lui nella (sua) morte, affinché, come Cristo è risuscitato da morte per la gloria del Padre, cosi anche noi viviamo d'una vita novella. Se infatti siamo stati innestati su lui per somiglianza di morte, lo saremo anche per somiglianza di risurrezione.
Questo ben lo sappiamo: che il nostro uomo vecchio è stato con lui crocifisso, affinché il corpo del peccato sia distrutto e noi non serviamo più al peccato, essendo il morto affrancato al peccato. Or se noi siam morti con Cristo, crediamo di vivere ancora con lui, sapendo che Cristo, risuscitato da morte, non muore più, sopra di lui non regna più la morte perché se egli è morto per il peccato, è morto una sola volta; ma se vive, vive per Iddio, in Gesù Cristo Signor nostro.
L'Apostolo delle Genti.
Le Messe delle Domeniche dopo la Pentecoste ci avevano presentato una sola volta fin qui le Epistole di san Paolo. Era riservata a san Pietro e a san Giovanni di preferenza la missione di ammaestrare i fedeli all'inizio dei sacri Misteri. Sembra che la Chiesa, in queste settimane che rappresentano i primi tempi della predicazione apostolica, abbia voluto ricordare così il ruolo predominante del discepolo della fede e di quello dell'amore in quella prima promulgazione della nuova alleanza che ebbe luogo dapprincipio in seno al popolo ebraico. Paolo infatti non era allora che Saulo il persecutore, e si mostrava come l'avversario più violento della parola che doveva portare più tardi con tanto splendore fino agli estremi confini del mondo. Se in seguito la sua conversione fece di lui un apostolo ardente e convinto per gli stessi Giudei, apparve tuttavia ben presto che la casa di Giacobbe non era, nel campo dell'apostolato, la parte della sua eredità (Gal 2,9). Dopo aver affermato pubblicamente la sua fede in Gesù Cristo Figlio di Dio e confuso la sinagoga con l'autorità della sua testimonianza (At 9,20.22), lasciò che in silenzio giungesse la fine della tregua concessa a Giuda per accettare l'alleanza; attese nel ritiro (Gal 1,17-22) che il vicario dell'Uomo-Dio, il capo del collegio apostolico, desse il segnale per la chiamata dei Gentili, e aprisse egli stesso le porte della Chiesa ai nuovi figli di Abramo (At 10).
Israele ha ormai per troppo tempo abusato delle condiscendenze divine; si avvicina per l'ingrata Gerusalemme l'ora del ripudio (Is 50,1), e lo Sposo si è infine rivolto ai popoli stranieri. La parola spetta ora al Dottore delle genti, che la custodirà fino all'ultimo giorno; non tacerà più, fino a quando, ricondotta e innalzata a Dio la gentilità, l'abbia stabilita nella fede e nell'amore.
È ai Romani che si rivolgono oggi le istruzioni ispirate del grande Apostolo. La Chiesa infatti, nella lettura di quelle mirabili Epistole, osserverà l'ordine stesso della loro iscrizione nel canone delle Scritture: la lettera ai Romani, le due ai Corinti, quelle ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi passeranno l'una dopo l'altra sotto i nostri occhi. Sublime corrispondenza in cui l'anima di Paolo, rivelandosi interamente, dà nello stesso tempo il precetto e l'esempio dell'amore! "Vi prego - dice continuamente - siate miei imitatori, come io lo sono di Cristo" (1Cor 4,16; 11,1).
La vita cristiana.
La santità, le sofferenze, e quindi la gloria del Signore Gesù, la sua vita che si prolunga nelle membra (2Cor 4,10-11), ecco per san Paolo la vita cristiana: semplice e sublime nozione, che riassume ai suoi occhi l'inizio, il progresso e il compimento dell'opera dello Spirito d'amore in ogni anima santificata. Lo vedremo in seguito sviluppare a lungo questa verità pratica, di cui si contenta oggi di porre la base nell'Epistola che la Chiesa ci fa leggere. Che cos'è infatti il battesimo, questo primo ingresso nella via che conduce al cielo, se non l'incorporazione del neofita all'Uomo-Dio una volta morto al peccato per vivere sempre in Dio Padre suo? Il Sabato santo, presso il sacro fonte, abbiamo compreso, con l'aiuto d'un analogo passo dell'Apostolo (Col 3,1-4) le divine realtà compiutesi sotto l'azione della misteriosa acqua. La santa Chiesa vi ritorna oggi solo per ricordare quel grande principio degli inizi della vita cristiana, e stabilirlo come un punto di partenza delle istruzioni che seguiranno. Se il primo atto della santificazione del fedele sepolto nel suo battesimo con Gesù Cristo ha per oggetto di rifarlo interamente, di crearlo di nuovo nell'Uomo-Dio (Ef 2,10), di innestare la sua nuova vita sulla vita stessa del Signore Gesù per produrne i frutti, non saremo affatto sorpresi che l'Apostolo rifiuti di tracciare ai cristiani altro metodo di contemplazione, altra regola di condotta che lo studio e l'imitazione del Salvatore. La perfezione dell'uomo (Col 1,28) alla sua ricompensa (ivi 2,10) risiedono in lui solo: secondo dunque la conoscenza che avete ricevuta da lui, camminate in lui (ivi, 6), poiché voi tutti che siete stati battezzati in Cristo, vi siete rivestiti di Cristo (Gal 3,27). Il Dottore delle genti dice chiaramente che egli non conosce e non potrebbe predicare altra cosa (1Cor 2,2). Alla sua scuola, prendendo in noi i sentimenti che aveva Gesù Cristo (Fil 2,5), diventeremo altri Cristi, o piuttosto un solo Cristo con l'Uomo-Dio, mediante l'unione dei pensieri e la conformità delle virtù sotto l'impulso dello stesso Spirito santificatore.
VANGELO (Mc 8,1-9). - In quel tempo: Siccome la folla era molta, e non aveva da mangiare, Gesù chiamati a sé i discepoli, disse loro: Ho compassione di questo popolo, che già da tre giorni sta con me e non ha da mangiare. E se li rimando a casa digiuni, verranno meno per la via, essendo alcuni di loro venuti da lontano. E i suoi discepoli gli risposero: Come si potrebbe mai saziarli di pane qui in un deserto ? Domandò loro: Quanti pani avete? Risposero: sette. E ordinò alla gente di sedere per terra. E presi i sette pani, dopo aver rese le grazie, li spezzò e li diede ai suoi discepoli, perché li ponessero dinanzi alla folla; ed essi li posero. Avevano ancora pochi pesciolini; e quelli pure benedisse e fece distribuire. E mangiarono e furon sazi, e raccolsero degli avanzi sette sporte. Or quelli che avevano mangiato eran circa quattromila; e li licenziò.
"Il Signore ci chiama - diceva l'antico popolo uscendo dall'Egitto al seguito di Mosè; - noi andremo a tre giorni di strada nel deserto, per sacrificarvi al Signore Dio nostro" (Es 3,18). I discepoli di Gesù Cristo, nel nostro Vangelo, hanno anch'essi seguito il Maestro nel deserto e, dopo tre giorni, sono stati nutriti di un pane miracoloso che presagiva la vittima del grande Sacrificio raffigurato da quello d'Israele. Presto il presagio e la figura faranno posto, sull'altare che è dinanzi a noi, alla più sublime delle realtà. Lasciamo la terra di servitù, in cui ci trattenevano i nostri vizi; la chiamata misericordiosa del Signore è per noi quotidiana; stabiliamo per sempre le nostre anime dalle frivolezze mondane, nel ritiro d'un profondo raccoglimento. Preghiamo il Signore che si degni lui stesso di rafforzare i nostri passi nei sentieri di quel deserto interiore dove egli ci ascolterà sempre favorevolmente e moltiplicherà per noi le meraviglie della sua grazia.
Preghiamo
O Dio onnipotente, da cui procede tutto ciò che è buono, infondi nei nostri cuori l'amore per il tuo nome e legaci sempre di più a te, alimenta in noi il bene e custodiscilo paternamente.
(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 450-454)
Nessun commento:
Posta un commento