Nella nostra traduzione da OnePeterFive, una interessante riflessione sulla recente Lettera Apostolica sulla formazione liturgica del popolo di Dio*, che l'autore definisce una pietra tombale (Dio lo voglia!) delle fantasie liturgiche progressiste di questo Pontefice.
Sui molti riferimenti e implicazioni riguardanti la Sacrosanctum concilium, riprendo quanto già espresso qui. (Qui l'indice dei precedenti].
Sono colpita dal fatto che anche in questo articolo, come già da parte di alcuni conservatori [vedi], si obietta che il Novus Ordo in realtà si è allontanato dalla SC e, più che del Concilium, esso è frutto del Consilium. Lo si afferma partendo dal fatto che Paolo VI affidò il lavoro a uno speciale super-comitato ad hoc, il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia, i cui progetti raggiunsero il completamento e furono da lui approvati diversi anni dopo la conclusione del Concilio.
È bene precisare tuttavia che non si può ignorare che la SC oltrepassa la Mediator Dei [vedi] fin dal primo paragrafo, rilevando inoltre che il n.47 della stessa Costituzione, sulla "natura del sacrosanto mistero eucaristico", passa sotto silenzio sia il fine propiziatorio (espiatorio) del Sacrificio, che il termine transustanziazione, peraltro inopinatamente assente dall'intero documento. E, se è vero che la stessa Costituzione, ad esempio, non prevedeva l'abolizione del latino e l'estromissione del gregoriano (che anzi definisce come “proprio della liturgia romana”: vedi), essa contiene - dopo affermazioni di principio condivisibili - i famigerati "ma anche" che hanno consentito tutte le eccezioni successive con l'infiltrazione di proposizioni ambigue e teologicamente sospette. Molte le abbiamo individuate e documentate nel nostro indefesso lavoro di anni. Sono queste che permettono di parlare del famoso "contro-spirito del concilio", come lo chiamava mons. Gherardini; cioè dell'innovazione subdola e neppure codificata in senso solenne, ma attraverso la prassi... Ci sono diversi spunti qui.
Rimando ai successivi articoli per la marea di puntualizzazioni che ci si imporranno.
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* 'popolo di Dio' è la nuova espressione conciliare che sostituisce quella più forte e pregnante di 'corpo mistico di Cristo'
In equilibrio precario su un solo punto:
la nuova Lettera del Papa sulla liturgia
la nuova Lettera del Papa sulla liturgia
Come un’opera di architettura modernista capovolta, la nuova Lettera apostolica del
Papa Desiderio Desideravi: sulla formazione liturgica del popolo di Dio è in
equilibrio precario su un solo punto: sul fatto cioè che la nuova liturgia di Paolo VI
sia il compimento della richiesta di riforma liturgica espressa dal Concilio Vaticano II
nella Sacrosanctum Concilium. Sulla veridicità o meno di quest’unico aspetto
risiedono - o crollano - tutte le argomentazioni esposte nel documento. Per citare le
parole di Francesco:
“Sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che un cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilium che esprime la realtà della Liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa mirabilmente descritta dalla Lumen Gentium. Per questo – come ho spiegato nella lettera inviata a tutti i Vescovi – ho sentito il dovere di affermare che ‘i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano’ (Motu Proprio Traditionis custodes, art. 1)” (n. 31).“Siamo chiamati continuamente a riscoprire la ricchezza dei principi generali esposti nei primi numeri della Sacrosanctum Concilium comprendendo l’intimo legame tra la prima delle Costituzioni conciliari e tutte le altre. Per questo motivo non possiamo tornare a quella forma rituale che i Padri conciliari, cum Petro e sub Petro, hanno sentito la necessità di riformare, approvando, sotto la guida dello Spirito e secondo la loro coscienza di pastori, i principi da cui è nata la riforma. I santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II approvando i libri liturgici riformati ex decreto Sacrosancti Œcumenici Concilii Vaticani II hanno garantito la fedeltà della riforma al Concilio. Per questo motivo ho scritto Traditionis Custodes, perché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano” (n. 61).
A quanto pare, in accordo con l’antico adagio secondo cui “a un vescovo non si serve
mai una cattiva pietanza e non si dice mai la verità”, alcune ben intenzionate figure
del Vaticano hanno nascosto al Papa e al suo entourage una verità nota a milioni di
altre persone: la convinzione che il Novus Ordo sia il frutto del Vaticano II è
semplicemente falsa, e lo si può comprendere con facilità. Tutti ormai sanno leggere
e scrivere, navigano su Internet, e possono informarsi.
Come siano andate realmente le cose lo spiega bene la recente seconda parte della
trilogia Mass of the Ages, che, uscita appena un mese fa, conta già 1.300.000
visualizzazioni (al momento in cui è stato scritto quest’articolo), un numero assai
superiore rispetto a quello di chi si prenderà la briga di leggere i 65 paragrafi
dell’ultima “riflessione” del Papa.
Quanti lamentano la tragica situazione del culto pubblico della Chiesa e anelano alla
sua restaurazione in armonia con la sana tradizione sono da tempo consapevoli
dell’enorme dicotomia tra i dettami della Costituzione Sacrosanctum Concilium come
approvata dalla stragrande maggioranza dei Padri conciliari e i riti liturgici posti in
essere da Bugnini e Montini, mendacemente promulgati a nome del Concilio. Questa
è la ragione per cui la pressoché unanime approvazione della Sacrosanctum
Concilium degenerò in un’aspra disputa tra i vescovi quando al Sinodo episcopale fu
loro illustrato il Novus Ordo del 1967, com’è spiegato nell’episodio di Mass of the
Ages, che riporta anche le loro affermazioni testuali. Il che dimostra abbastanza
chiaramente che, quando il Papa volle ascoltare i vescovi del Vaticano II e li
incoraggiò a parlare francamente, essi non diedero la loro approvazione al Novus
Ordo.
Il cardinal Ratzinger contraddice Papa Francesco
Richiamiamo alcune tra le più importanti ammissioni in merito a questo
fondamentale problema, a partire da Joseph Ratzinger, che, a quanto risulta, è stato il
265° Sommo Pontefice, e che continua a dimorare al Vaticano come in un silenzioso
rimprovero al suo imprevedibile successore.
In una lettera del 1976 al professor Wolfgang Waldstein, Ratzinger si espresse molto
chiaramente:
“Il modo in cui è stato introdotto il nuovo Messale si discosta dalle precedenti tradizioni di diritto ecclesiastico, quali quelle sancite da Pio V nella sua riforma del messale… Il problema del nuovo Messale risiede nel fatto che rompe con tale ininterrotta tradizione, vigente prima e dopo Pio V, e istituisce un testo totalmente inedito (benché raccolga materiale antico), il cui avvento è stato accompagnato da una sorta di proibizione dei riti precedenti assolutamente inaudita, nella storia del diritto ecclesiastico e della liturgia. Posso affermare con sicurezza, in base alla mia conoscenza del dibattito conciliare e per aver riletto i discorsi dei Padri pronunciati all’epoca, che questa non era la [loro] intenzione”.Ratzinger ha ripreso questo punto nel libro del 1986 La Festa della fede:
Nel 1990 Ratzinger scrisse questo passaggio di notevole franchezza:“È un semplice fatto che il Concilio sia stato messo da parte. Ad esempio, esso ha affermato che il rito latino doveva mantenere la lingua latina, pur concedendo uno spazio appropriato agli idiomi vernacolari. Oggi potremmo chiederci: esiste ancora un rito latino? Non lo sappiamo.Eppure, malgrado tutti i suoi lati positivi, il nuovo Messale fu pubblicato come un volume redatto da professori, non come una fase di un processo costante di crescita. Una cosa simile non era mai accaduta in passato. È assolutamente in contrasto con le leggi dello sviluppo liturgico, e il risultato è l’assurda convinzione che il Concilio di Trento e Pio V abbiano ‘prodotto’ un Messale, quattrocento anni fa. La liturgia cattolica è stata così ridotta al livello di un mero portato della modernità. Questa perdita di prospettiva è davvero inquietante. Sebbene pochissimi di quanti esprimono il loro disagio abbiano un quadro chiaro di questi fattori interrelati, vi è un’istintiva comprensione del fatto che la liturgia non può essere il risultato di una regolamentazione ecclesiastica, o peggio di un’erudizione cattedratica, ma, per dirla con franchezza, dev’essere il frutto della vita e della dinamicità della Chiesa”.
“La riforma liturgica, nella sua concreta esecuzione, si è allontanata sempre più da questa origine [la parte migliore del Movimento liturgico]. Il risultato non è stato un nuovo vigore, bensì una devastazione… Al posto di una liturgia sviluppatasi col tempo, se n’è introdotta una creata a tavolino. Si è abbandonato un processo vitale di crescita, un divenire, per sostituirvi una realizzazione umana. Non si è più voluto seguire uno sviluppo organico, continuare la maturazione di ciò che viveva da secoli, ma lo si è rimpiazzato, alla maniera delle produzioni tecniche, con qualcosa di artificiale, la banale espressione di quel dato momento storico”.
Esistono molti altri brani del genere, raccolti qui. Da notare che in nessun passo della
Desiderio Desideravi, neanche una volta, colui che un tempo era il Vicario di Cristo
cita colui che è stato il Patriarca d’Occidente. Un gesuita il cui ultimo ricordo della
messa tradizionale in latino è l’aver servito da chierichetto dispettoso in Argentina ha
ritenuto giusto ignorare uno dei commentatori più saggi e perspicaci della sacra
liturgia.
Altre testimonianze di Padri e Autorità conciliari contro Papa Francesco
Un’altra testimonianza di prima mano è quella del cardinale austriaco Alfons Maria
Stickler, membro di numerose commissioni del Vaticano II, tra cui quella sulla
liturgia. Egli ha rievocato con dovizia di particolari i suoi ricordi in un importante
discorso del 1997:
“Per adempiere un impegno da me non richiesto, mi ritrovai a seguire il Vaticano II sin dall’inizio… Dunque sapevo perfettamente quali fossero i desideri dei Padri conciliari, e quale il senso corretto dei testi votati e adottati dal Concilio. Immaginerete quindi il mio stupore quando mi resi conto che l’edizione finale del nuovo Messale romano (del 1969) per molti aspetti non corrispondeva ai testi conciliari che conoscevo così bene, e conteneva diversi elementi che ampliavano, mutavano o addirittura contrastavano espressamente con le disposizioni conciliari. Poiché conoscevo alla perfezione l’intero svolgimento del Concilio, dalle spesso interminabili discussioni e dai dibattiti sui modi, alle ripetute votazioni per arrivare alle formulazioni finali, così come i testi che includevano la precisa regolamentazione per l’attuazione dell’auspicata riforma, immaginerete lo sconcerto, il crescente disappunto, anzi l’indignazione da me provata, specie per le precise contraddizioni e i cambiamenti forieri di inevitabili, durature conseguenze”.
Il porporato riferisce che il cardinal Benno Gut era pienamente d’accordo con le sue
critiche. Stickler continua a dimostrare con sistematicità in quanti svariati modi il
Novus Ordo si allontani apertamente dai desiderata dei Padri conciliari come espressi
nella Sacrosanctum Concilium. Un esempio:
“Dopo una discussione durata diversi giorni, in cui si discussero argomenti a favore e contrari, i Padri conciliari giunsero alla netta conclusione – in totale accordo con il Concilio di Trento – che il latino dovesse essere mantenuto come lingua cultuale del rito latino, benché si potessero ammettere, e perfino auspicare, casi eccezionali… L’articolo 116 tratta diffusamente del canto gregoriano, mettendo in evidenza come esso sia stato il canto tradizionale della liturgia cattolica romana sin dai tempi di Gregorio Magno, e in quanto tale lo si dovesse conservare… Poiché il tema del linguaggio cultuale venne discusso nell’aula conciliare per diversi giorni, seguii il dibattito con grande attenzione, come in seguito le varie formulazioni della Costituzione sulla liturgia fino al voto finale. Ricordo ancora molto bene che dopo varie proposte radicali un vescovo siciliano si alzò e implorò i Padri di usare cautela e riflessione per deliberare, poiché altrimenti si sarebbe corso il rischio di celebrare la messa nella lingua del popolo, al che l’intera aula proruppe in una fragorosa risata”.Continua Sua Eminenza:
“Non vi è mai stata, dunque, in nessuno dei riti cristiano-cattolici, una rottura, una creazione totalmente nuova, se non con la riforma post-conciliare. Eppure il Concilio continuava a invocare per tale riforma una rigorosa aderenza alla tradizione. Tutte le riforme, a partire da Gregorio I e lungo il Medioevo, con l’ingresso nella Chiesa dei popoli più disparati e i loro diversi costumi, hanno rispettato questa regola fondamentale”.
L’arcivescovo di Portland Robert J. Dwyer, che presenziò a tutte e quattro le sessioni
del Concilio, scrisse in un articolo del 9 luglio 1971:
“Il grande errore dei Padri conciliari fu quello di consentire che l’attuazione della Costituzione sulla Sacra liturgia finisse nelle mani di individui spregiudicati o incompetenti. È la cosiddetta “liturgia creativa”, una vacca sacra più simile a un elefante che calpesta sotto il peso della sua mole i cocci di una liturgia in frantumi”. Il 26 ottobre 1973 Sua Eccellenza dà voce al proprio dolore: “Chi avrebbe immaginato quel giorno [quando fu promulgata la Sacrosanctum Concilium] che nel giro di pochi anni, assai meno di un decennio, la tradizione latina della Chiesa sarebbe stata completamente dimenticata, ridotta a un ricordo sempre più sbiadito? Al solo pensiero saremmo inorriditi, ma allora sembrava così impossibile da apparire ridicolo. Per quello scoppiammo a ridere”.
Analogamente, il Padre conciliare monsignor Domenico Celada scrisse su Lo
Specchio del 29 luglio 1969:
“Mi rammarico di aver votato a favore della costituzione conciliare nel cui nome (ma in qual maniera!) è stata compiuta questa pseudo-riforma ereticale, un trionfo di arroganza e di ignoranza. Se fosse possibile ritirerei il mio voto, e testimonierei davanti a un magistrato che il mio assenso è stato estorto in modo truffaldino”.
Posizioni del genere sono assai numerose.
Nel 2006 Alcuin Reid pubblicò un articolo dal titolo “I Padri del Vaticano II e la
riforma della messa: risultati di un’inchiesta”, in cui riportava le risposte
pubblicamente fornitegli dai partecipanti alla prima sessione del Concilio ancora in
vita. Un’affermazione ricorrente era che quanto avvenuto dopo il Concilio non era ciò
che i vescovi avevano in mente o potevano prevedere. Alcuni espressero profondo
rincrescimento per essere stati “ingannati”, altri si rallegrarono per l’audacia di una
riforma postconciliare che aveva surclassato le sue stesse disposizioni, ma nessuno si
limitò a dire “Sì, è quello per cui abbiamo votato”.
Possiamo rendercene conto semplicemente analizzando le parole dei Padri conciliari
in merito alla persistenza del latino nella liturgia. Contrariamente alla fantasiosa
versione di Papa Francesco, si può agevolmente dimostrare che solo una sparuta e
censurabile minoranza spinse per un uso senza eccezioni delle lingue vernacolari. Per
la stragrande maggioranza, ciò era assolutamente fuori questione. Ho raccolto un
cospicuo numero di citazioni tratte dai dibattiti conciliari nell’articolo “I Padri
conciliari a sostegno del latino: la falsa narrativa va corretta”.
La disperazione della falsa narrativa
Come io e altri abbiamo scritto in merito alla campagna per Traditionis Custodes (e
in particolare al contributo dell’arcivescovo Roche), la strategia dei nemici della
tradizione è assai semplice, e disperata. Per citare Bryan Houghton, sacerdote che fu
emarginato: “Non devi dire una bugia, ma l’esatto contrario della verità; ciò spiazza
completamente gli avversari. È la tecnica usata con successo dai progressisti quando
accusano i tradizionalisti di essere divisivi”. In questo caso la grande bugia è che la
riforma liturgica della fine degli anni Sessanta sia “ciò che chiedeva il Vaticano II”, e
che chi rifiuta di aderirvi appassionatamente sia colpevole di “dissentire dal
Concilio”. La differenza è che oggi, nel 2022, anziché spiazzarci questa menzogna
provoca una veemente reazione da parte dei cattolici sia “conservatori” che
“tradizionalisti”. Come la bugia su cui si è fondata la Roe v. Wade, anche quella al
cuore della Bergoglio v. Tradizione un giorno crollerà, quando diverrà impossibile
continuare a sostenere questa falsa narrazione. Neanche a farlo apposta, la Angelico
Press ha appena pubblicato la traduzione inglese dell’ottima biografia Paolo VI: il
Papa diviso, di Yves Chiron, in cui si scopre (tra le altre cose) quanto quel pontefice
desiderasse essere ancora più all’avanguardia rispetto alle concessioni del Vaticano II
o, per dirla semplicemente, agire a suo arbitrio, senza curarsi di ciò che il Concilio
stabiliva. Questo spiega perché ci venga imposta una liturgia in palese contrasto o in
attrito con quasi tutte le enunciazioni della Sacrosanctum Concilium; e perché, più in
generale, ci sia un’incessante guerra liturgica tra chi segue il precetto dell’apostolo
Paolo – “Conservate le tradizioni” (1 Cor. 11, 2), “State saldi e mantenete le
tradizioni” (2 Tess. 2, 15) – e chi segue il liquido aggiornamento dell’Età
dell’Acquario.
Una cosa che noto sempre più spesso è quanto al giorno d’oggi i nostri religiosi
finiscano con l’essere la parodia di se stessi o col dire la verità loro malgrado, come il
sommo sacerdote Caifa (Giov. 11,50). Così si esprime il Santo Padre in Desiderio
Desideravi:
“La non accoglienza della riforma, come pure una sua superficiale comprensione, ci distoglie dall’impegno di trovare le risposte alla domanda che torno a ripetere: come crescere nella capacità di vivere in pienezza l’azione liturgica? Come continuare a stupirci di ciò che nella celebrazione accade sotto i nostri occhi? Abbiamo bisogno di una seria e vitale formazione liturgica” (n. 31).
Per conto mio, prevedo che molti cattolici avranno qualche difficoltà a continuare a
entusiasmarsi per ciò che accade sotto i loro occhi durante la celebrazione del Novus
Ordo. Anzi, proprio questo per tanti è esattamente l’inizio di “una seria e vitale
formazione liturgica”, che trova compimento nel reclamare il loro diritto di essere
cattolici romani.
Un caro amico ha così riassunto questa lettera apostolica: “Un mucchio di sfavillanti
banalità, qualche insulto nello stile poco documentato tipico di Bergoglio (“Pelagiani!
Neognostici!”), e la ripetizione della bugia secondo la quale la liturgia postconciliare
non ha nulla a che fare con il Concilio o la Sacrosanctum Concilium. Come molte
opere del suo genere, non aggiunge nulla al dibattito, e cadrà presto nel
dimenticatoio”. È una specie di chiave di volta (o piuttosto di pietra tombale?) delle
fantasie liturgiche progressiste di questo Pontefice. Il nostro sensus fidei cattolico ci
induce giustamente a ignorare le farneticazioni acquariane-antiquarie di un papa
instabile. Dopo tutto, è lui stesso ad assicurarci che questo documento ha uno scarso
o nullo statuto magisteriale:
“Voglio semplicemente offrire alcuni spunti di riflessione per contemplare la bellezza e la verità del celebrare cristiano” (n. 1)… “Con questa lettera vorrei semplicemente invitare tutta la Chiesa a riscoprire, custodire e vivere la verità e la forza della celebrazione cristiana” (n. 16)
Vatican News la descrive così: “Non si tratta di una nuova istruzione o di un
direttorio con norme specifiche, ma piuttosto di una meditazione per comprendere la
bellezza della celebrazione liturgica e il suo ruolo nell’evangelizzare”. Be’, allora che
questa meditazione sia utile a chi non ha di meglio su cui riflettere. Più in breve,
lasciate che i morti seppelliscano i loro morti. Quanto a me e alla mia famiglia,
serviremo il Signore nello splendore della santità e nella bellezza della Tradizione
cattolica.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio di Daniela Middioni]
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