Ringrazio Massimo Scapin per la segnalazione. Il 19 novembre di 500 anni fa veniva eletto al soglio pontificio Giulio de’ Medici. Il suo fu un pontificato «sfortunatissimo», afflitto da grandi disgrazie per la Chiesa. Ma fu un amico delle arti e rivelò un grande genio musicale.
Papa Clemente VII, un grande conoscitore di musica
Massimo Scapin
Cinque secoli fa, il 19 novembre 1523, dopo cinquanta giorni di conclave fu eletto «papa malanno»: Clemente VII, al secolo Giulio de’ Medici (1478-1534).
Nato a Firenze 45 anni prima, nel 1513 è arcivescovo di Firenze, nel 1517 è cardinale e vice-cancelliere di Santa Romana Chiesa. Il secondo papa di casa Medici dopo Leone X († 1521) regna per quasi undici anni in un periodo difficile e travagliato, tanto da essere chiamato «pontefice sfortunato» o, come dicevamo in principio, «papa malanno».
Tre colossali disgrazie funestarono il suo pontificato: il terribile «sacco di Roma» del 1527 ad opera dei lanzichenecchi, in buona parte luterani, che costringono il Papa a rifugiarsi con la sua corte nell’inespugnabile Castel Sant’Angelo; lo scisma anglicano del 1534, per aver negato a Enrico VIII († 1547), re d’Inghilterra, di sposare, in seconde nozze, la cortigiana Anna Bolena († 1536); e la propagazione dell’eresia luterana.
Riavvicinatosi a Carlo V († 1558), sul cui capo a Bologna nel febbraio 1530 pone la corona imperiale, Clemente VII favorisce il ritorno dei Medici alla guida del governo di Firenze. Morì a Roma il 25 settembre 1534. «Fu Clemente VII Pontefice d'infausta memoria, ma di invitta costanza nelle calamità. Se fu fortunato come Cardinale, fu sfortunatissimo come Pontefice» (Gaetano Moroni, Dizionario di erudizione storico-ecclesiastica, vol. XIV, Venezia, 1842, p. 42).
Il secondo papa Medici era amico della letteratura, dell’arte e della musica. In particolare, prestò molta cura alla propria cappella musicale. I cantori di Martino V († 1431) erano 12, quelli di Pio II († 1464) circa 18, quelli di Leone X († 1521) oltre 30. Un rapporto della commissione d’esame di cantori pontifici precisa che sotto Clemente VII si fissa la dimensione ideale del coro: «Clemente stabilì in 24 il numero dei cantori, cioè sette soprani, sette contralti, sei bassi e quattro tenori; ma poiché era esperto nell’arte della musica, il Pontefice stesso esaminava l’ammissione dei cantori e così al suo tempo la cappella fu messa in luce e adornata sia per quanto riguarda le voci sia per la sufficienza dei cantori» (Biblioteca Apostolica Vaticana, Fondo Cappella Sistina, 657, fol. 7r-v).
«Esperto nell’arte della musica»? A quanto pare, Clemente fu il più grande conoscitore di musica tra i papi del XVI secolo e si deliziava nell’ascoltarla. Parlando di Clemente, l’ambasciatore veneziano Antonio Surian († 1542) scrive che la musica fosse «arte a lui molto propria; di sorte che è fama, il papa essere delli buoni musici che ora siano in Italia» (E. Alberi, Relazioni degli ambasciatori veneti al Senato, Serie II, Vol. III, Firenze 1846, p. 278).
Un episodio che rivela la capacità critica del Papa appare ne La Vita scritta per lui medesimo, che l’orafo e scultore Benvenuto Cellini, tra il 1558 e il 1565, dettò al proprio garzone di bottega Michele di Goronella. L’autore racconta di essere stato invitato da sette pifferi pontifici ad «aiutar loro per il Ferragosto del papa sonar di sobrano col mio cornetto quel giorno parechi mottetti, che loro bellissimi scelti havevano». Molto ben impressionato dal talentuoso cornettista, tanto da «dire non aver mai sentito Musicha più suavemente et meglio unita sonare», Clemente VII offre a Cellini un posto stabile «infra gli altri musici».
Quale fosse la voce del futuro Clemente VII appare da una lettera dell’11 marzo 1518, indirizzata da Baldassarre Turini († 1543), datario pontificio, a monsignor Goro (Gregorio) Gheri, segretario di Lorenzo de’ Medici: il cardinale Giulio «ha cantato questa mattina la sua prima messa, et la ha detto pronuntiata et cantata tanto bene che tutti li cardinali prelati et altri che erano in capella se ne sono quodamon maravigliati […], et la ha cantata con una voce sonora, chiara, et intelligibile» (Archivio di Stato di Firenze, Mediceo avanti il Principato, Filza 144, doc. 67, c. 185 r).
Il sacco di Roma del 1527 fu fatale anche per i cantori delle cappelle musicali romane, sia quella pontificia sia quelle, recentemente fondate o ricostituite, delle basiliche (Lateranense, Giulia e Liberiana): molti cantori andarono dispersi o perirono. Per ripristinare il proprio coro, nell’autunno del 1528 Clemente VII inviò Jean Conseil († 1535), cantore pontificio dal 1513 e compositore, a reclutare nuovi cantori in Francia e nelle Fiandre. In una lettera del 19 novembre 1528 si legge che Conseil avesse trovato nelle Fiandre «cinque o sei buoni Tenori et fra gli altri un ottimo soprano di età [un falsettista] et un buon Contrabasso et qui [a Parigi] ha trovato un buon tenore» (Fr. X. Haberl, Die Römische "Schola cantorum" und die Päpstlichen Kapellsänger bis zur mitte des 16. Jahrhunderts, Leipzig 1888, p. 73).
Tra i compositori, che facevano parte dei cantori pontifici, brillava Costanzo Festa († 1545), che prestò servizio nel coro dal 1517 fino alla morte. «Conoscitore attento della produzione sacra dei maestri franco-fiamminghi, Festa scrisse una notevole quantità di componimenti liturgici diventando il più importante polifonista italiano prima di Palestrina» (G. Ciliberti, Una nuova fonte per lo studio degli inni di C. Festa e G. P. da Palestrina, in Revue belge de musicologie, 1992, p. 149). Il suo Miserere del 1517, che alterna versi in canto gregoriano e versi in falsobordone a quattro e cinque voci, sarà il modello anche per quello più famoso di Gregorio Allegri († 1652).
Quasi più per curiosità che non per studio ricordiamo che il personaggio di Clemente VII canta con la voce di basso nell’ultimo atto del Benvenuto Cellini, opera semiseria in due atti di Hector Berlioz († 1869) su libretto francese di Léon de Wailly († 1864) e Henri Auguste Barbier († 1882). È un melodramma che, nonostante l’ammirazione di Franz Liszt († 1886), a causa delle incongruenze storiche, delle difficoltà scenografiche, orchestrali e vocali, non divenne mai popolare, ad eccezione della ouverture e de Il carnevale romano, spesso eseguito in concerto.
Clemente VII fu un papa «d'infausta memoria», «sfortunatissimo», è vero; tuttavia, egli mise ordine nel coro pontificio (troppo numeroso sotto Leone X e troppo esiguo sotto Adriano VI) e cercò di assicurarsi che i cantori ammessi fossero competenti.
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