Fin qui mi sono astenuta. L'estro incisivo di Veneziani mi sembra il modo migliore di parlarne tra i peana infiniti e stucchevoli delle tv nazionali e le pesanti stroncature sui social.
God save the King, Dio salvi il Re. Senza farci caso stiamo seguendo da giorni in mondovisione la rappresentazione civile e regale di cosa vuol dire Dio, patria e famiglia on the road, su strada. La morte della Regina Elisabetta, il lutto e l’ascesa di Re Carlo III, i solenni richiami alla religione, alla tradizione, all’amor patrio e alla famiglia, l’alternarsi di luoghi sacri e luoghi civili, tra i riti nella Cattedrale di Saint Paul e a Buckingam Palace, l’invocazione shakespeariana della schiere degli angeli che accompagnino il riposo della Regina, l’insistenza commossa sulla sua “devozione” e sulla “dedizione” e la promessa di proseguire nel suo solco di suo figlio Carlo, ora Capo della Chiesa Anglicana, l’inno cantato dal popolo che invoca la benedizione divina sul re, cosa sono se non espressioni coerenti e coreografiche di una visione del mondo imperniata su Dio, patria e famiglia e sulla continuità della tradizione? Certo, non solo quello, anche libertà, costituzione, progresso, rispetto dei popoli, ma quei valori alla fine trovano la loro più alta legittimazione in quei principi.
Cambiamo scena e torniamo da noi, in campagna elettorale. Le nostre allegre comari di Windsor che seguono commosse i riti britannici e l’avvicendarsi sul trono della Famiglia Reale, e restano ammirate a sentire la gente che intona Dio salvi il Re, e s’innamorano dei patriottismi altrui, sono le stesse che fino a ieri hanno insultato, vilipeso, irriso chiunque dica di volersi richiamare ai principi di Dio, patria e famiglia. Il “la” lo aveva dato la giovane direttrice d’orchestra Beatrice Venezi, che in polemica con Monica Cirinnà che aveva defecato sui tre principi, ha invece rivendicato Dio, patria e famiglia come guida della sua vita. Apriti cielo. E’ ripartita la caccia contro i bigotti repressi guerrafondai e omofobi che si raccolgono intorno a Giorgia Meloni, sostenendo in coro che quello è uno slogan di chiara marca fascista. Tanti hanno gettato i loro escrementi su quei principi e sui loro sostenitori, stabilendo un legame diretto con il fascismo. In modo aperto o allusivo, si sono schierati in tanti: da Bergoglio alla solita Cirinnà, da Enrico Letta alla pornostar Valentina Nappi, dal priore Enzo Bianchi a Emma Bonino (in verità la critica più composta è stata della Bonino; la più scomposta e intollerante quella del monaco).
Per cominciare, Dio, patria e famiglia non è uno slogan, tantomeno uno slogan elettorale, non sporchiamolo gettandolo tra bollette del gas e scostamenti di bilancio. In secondo luogo, non l’ha inventato il fascismo; sarebbe facile ritrovare precedenti, da Mazzini in giù, ma non è nemmeno quello. Dio, patria e famiglia sono i principi basilari su cui è fondata la civiltà. Calandosi nella storia hanno espresso esempi meravigliosi e beceri, altissimi testimoni e martiri e infami persecutori e impostori in suo nome, ma quei principi (non slogan ma principi) sono alla base di ogni civiltà. Naturalmente vanno tradotti nelle forme e nei linguaggi del tempo, ma sono il filo d’Arianna per non smarrirsi nella notte.
Nella loro traduzione politica sono il manifesto di ogni movimento che si ispiri alla Tradizione, che abbia a cuore la civiltà e che nella lotta politica si definisca conservatore. Certo, si può essere conservatori senza essere credenti, conservatori pragmatici, perfino atlantisti. Ma il fondamento di una visione conservatrice passa da quei principi. Che poi non vuol dire attestarsi nella rigida difesa di un passato, una visione teocratica, patriarcale e sciovinista. Ma essere consapevoli che ogni comunità sorge intorno a una visione spirituale, aperta al sacro, al rito e al divino; a un legame sociale e territoriale condiviso, che costituisce l’essenza dell’amor patrio; e a un legame originario con la famiglia, padri, madri, figli, fratelli. Poi nella vita degli uomini ci sono mille contraddizioni e chi dice di credere in quei principi magari su strada poi li tradisce. Ma bisogna fare i conti con l’imperfezione umana e i tradimenti della storia e della vita.
Superando gli anatemi, due obiezioni mi sono apparse più ragionevoli. Una è che singolarmente Dio, patria e famiglia possono pure starci ma insieme si crea un’inquietante armatura. E se fosse vero esattamente il contrario? Tutte le società intorno a un solo valore diventano fanatiche: se Dio è tutto in terra, le società si fanno integraliste, clericali e teocratiche; se la Patria è tutto, si degenera nell’etno-nazionalismo fino al dispotismo militare; se la Famiglia viene sopra ogni cosa degrada in familismo egoistico e mafioso. Invece, i tre principi insieme si temperano a vicenda, sono proiezioni e protezioni della vita personale e sociale, in cui ognuno ripara dall’eccedenza dell’altro. Senza di loro prevalgono l’Egoismo, il Profitto, gli Istinti.
L’altra obiezione è che sono legami soffocanti della libertà individuale. In realtà abbiamo bisogno di legami e di libertà e non possiamo rinunciare agli uni nel nome dell’altra né viceversa. I legami non sono poi catene, schiavitù: già Aristotele spiegava che gli schiavi non hanno legami ma sono spostabili, fluttuanti, intercambiabili, si possono utilizzare dappertutto e in diversi modi, ridotti a utensili, a cose. L’uomo libero invece ha legami e obblighi; noblesse oblige, si diceva, il rango comporta più obblighi. I legami sono il segno di una vita ricca di rapporti umani, di diritti e doveri reciproci, di affetti, premure e fedeltà. I legami accrescono la vita, sono inclusivi. La loro negazione è male, schiavitù, totale dipendenza.
L’unica vera obiezione è la loro difficile traduzione nel nostro presente, il rischio di restare solo retorica o finzione, accontentandosi di surrogati. Ma i rischi non sono un buon motivo per revocare o cancellare principi fondatori, e tantomeno per deriderli e calpestarli. Rispetto anche da chi non vi si riconosce. Dio salvi la patria, la famiglia e la decenza.
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