Nella nostra traduzione da Crisis Magazine uno scritto di Peter Kwasniewski, che ringrazio per la cortese segnalazione. Importante per le considerazioni sulla Sacrosanctum concilium che ne identificano l'effettiva portata sfatando l'affermazione che le distorsioni della Messa riformata siano attribuibili ad uno scostamento dal documento conciliare; il che sostanzialmente coincide con l'assunto più generale che la crisi nella Chiesa sia stata determinata da una cattiva interpretazione del concilio e non dalle ambiguità e subdole aperture, non immediatamente riconoscibili, presenti nei suoi documenti i quali, com'è noto, hanno sostituito con un'operazione di fronda, i testi preparatori già predisposti dalla Curia. Se avessi conosciuto questo testo lo avrei citato, insieme alla mia notazione inserita nell'incipit qui. D'altra parte, sottolinea Kwasniewski, "nessuna lettura equa di SC potrebbe produrre il Novus Ordo come emerse nel 1969, e l'evidenza indica che la maggior parte dei vescovi non riteneva di essere d'accordo con una rivoluzione. Questo è il punto principale che desidero sottolineare nell'articolo su OnePeterFive".
Sacrosanctum Concilium: Il più grande cavallo di Troia
Peter Kwasniewski
In passato pensavo che la Costituzione sulla Sacra Liturgia del Concilio Vaticano II, Sacrosanctum Concilium, fosse “accettabile” se la si prendeva alla lettera, e che i problemi sorgessero quando la gente la ignoravano o la interpretavano in modo unilaterale o distorto. Credevo che a partire dall’applicazione rigorosa della Sacrosanctum Concilium si potesse avviare una “riforma della riforma”.
Ma poi sono successe due cose che mi hanno risvegliato da questo piacevole sogno ad occhi aperti.
La prima è stata la scoperta dell’abilità con cui l’impresario riformatore Annibale Bugnini ha manipolato il comitato incaricato della stesura della bozza della Sacrosanctum Concilium prima del Concilio. Utilizzando il “Metodo Bugnini” (per usare le parole del rinomato storico francese Yves Chiron, che ha scritto la migliore biografia su di lui), il Monsignore si è assicurato del fatto che il testo non avrebbe richiesto troppo e troppo presto, ma si sarebbe espresso in termini sufficientemente vaghi per permettere l’esteso lavoro di demolizione e di ricostruzione che lui e i suoi alleati avevano in mente. Come egli dichiarò ai membri del suddetto comitato l’11 novembre 1961 (quindi prima del Concilio:
Sarebbe assai sconveniente che gli articoli della nostra Costituzione fossero respinti dalla Commissione Centrale o dal Concilio stesso. Per questo dobbiamo procedere in modo meticoloso e discreto. Meticoloso, in modo tale che le proposte siano avanzate in modo accettabile (modo acceptabile), o, a mio modo di vedere, formulate in modo tale che si esprimano molte cose senza che sembri che si stia dicendo nulla: che si esprimano molte cose in embrione (in nuce) e che si lasci in questo modo la porta aperta a legittime e possibili deduzioni e applicazioni postconciliari: che non si dica nulla che faccia pensare a un’eccessiva novità e possa rendere invalido tutto il resto, anche quando è espresso in modo esplicito e non pericoloso (ingenua et innocentia). Dobbiamo procedere in modo discreto. Non si deve chiedere o esigere tutto al Concilio — ma bisogna farlo coi principi fondamentali (Chiron, 82).
All’apertura della prima sessione del Concilio, quando una combriccola di prelati e periti ha orchestrato il drammatico ribaltamento di tre anni di lavori preparatori e di bozze di documenti, Sacrosanctum Concilium era l’unico documento ad essere rimasto in piedi quando la polvere si è posata. I progressisti hanno visto che soddisfaceva le loro aspettative e i loro piani futuri. Poteva essere lasciato legittimamente sul tavolo, motivo per cui è stato il primo documento ad essere discusso e poi promulgato.
Il secondo passo intrapreso per rivalutare Sacrosanctum Concilium è stato quello di rileggerlo più da vicino tenendo presente il Metodo Bugnini. Uno strumento chiave per farlo è “Sacrosanctum Concilium: A Lawyer Examines the Loopholes” [“Un avvocato esamina le falle di Sacrosanctum Concilium”], di Christopher Ferrara. Ho letto questo testo anni fa, ma solo di recente, dopo la lettura di Chiron, esso è riuscito a colpirmi con tutta la sua forza. Nessun lettore che nutra un serio interesse per la liturgia può esimersi dal leggere l’analisi di Ferrara, che spiega come una riforma liturgica postconciliare che sembra discostarsi così drasticamente da alcune affermazioni della Sacrosanctum Concilium sia stata purtuttavia una coerente applicazione della stessa.
In conclusione: Sacrosanctum Concilium non solo non è un documento sicuro, ma è stato il più grande cavallo di Troia mai introdotto nella Chiesa. So che è doloroso per molti buoni cattolici ammettere che si tratta di un documento corrotto e corrosivo, ma si deve giudicare l’albero dai suoi frutti. In un dibattito trasmesso da Radio-Courtoisie il 19 dicembre 1993, Jean Guitton (1901–1999), filosofo e teologo e buon amico di Paolo VI, affermò quanto segue:
L’intenzione di Paolo VI nei confronti della liturgia e di quella che comunemente viene chiamata Messa, era quella di riformare la liturgia cattolica in modo tale che coincidesse quasi con la liturgia protestante… Ma ciò che è curioso è che Paolo VI lo ha fatto per avvicinarsi il più possibile alla Cena del Signore protestante… Ma ripeto che Paolo VI fece di tutto per avvicinare la Messa cattolica — scavalcando il Concilio di Trento — alla Cena del Signore protestante…
Non credo di sbagliare se affermo che l’intenzione di Paolo VI e della nuova liturgia che porta il suo nome era quella di esigere dai fedeli una maggiore partecipazione alla Messa, di dare più spazio alla Scrittura e meno spazio a tutti che alcuni chiamerebbero “magia”, [e] altri [chiamerebbero] consacrazione sostanziale, transustanziale, e per ogni contenuto della Fede Cattolica; in altre parole, Paolo VI aveva l’intenzione ecumenica di rimuovere — o almeno correggere, o ammorbidire — ciò che vi era di troppo cattolico, in senso tradizionale, nella Messa, e, ripeto, tutto ciò per assimilare la Messa cattolica sempre di più vicino alla Messa calvinista.
Esiste una foto che ritrae Guitton e Paolo VI insieme in Vaticano, mentre lavorano al libro The Pope Speaks: Dialogues of Paul VI with Jean Guitton (un antesignano delle interviste di Peter Seewald a Benedetto XVI). Pertanto Guitton è un uomo che sa di cosa parla. Bugnini sarebbe sicuramente stato d’accordo con le finalità che vengono attribuite a Paolo VI, poiché — riguardo alle modifiche drastiche apportate alle orazioni tradizionali del Venerdì Santo — egli scriveva: “È l’amore delle anime e il desiderio di contribuire in ogni modo a costruire la strada che conduce all’unione dei fratelli separati [cioè coi protestanti] — rimuovendo ogni pietra che potesse anche solo lontanamente costituire un ostacolo o una difficoltà — che ha spinto la Chiesa a compiere persino questi dolorosi sacrifici [all’interno della liturgia]”.
Sebbene cattolici conservatori siano una razza in rapida scomparsa, continuano a ripetere i luoghi che gli sono stati insegnati, probabilmente perché non sarebbero in grado di affrontare quelle che pensano siano le conseguenze catastrofiche del rinunciare ad essi. Conor Dugan, in un’ironica recensione intitolata “A Deeper Context: Overlooked book provides insight into Vatican II debates” [“Un'analisi più profonda: un libro dimenticato fornisce informazioni sui dibattiti del Vaticano II”], afferma quanto segue su A Deeper Vision: The Catholic Intellectual Tradition in the Twentieth Century [Una visione più profonda: la tradizione intellettuale cattolica nel XX secolo], di Robert Royal:
Secondo l’interpretazione di Royal, “non c’è nulla in alcun documento approvato dai Padri Conciliari che abbia approvato [le] deviazioni radicali” successive al Concilio. Royal conferma le sue affermazioni con un’indagine sui documenti chiave. E, come il recente studio del Padre Nichols, Conciliar Octet… egli arriva alla conclusione secondo la quale il Concilio non sarebbe stata la Rivoluzione Copernicana della Chiesa, ma una riforma nella continuità.
Vorrei poterci credere (anzi, una volta ci credevo davvero). Ma da quando mi sono accorto che il primo documento approvato dal Consiglio — l’unico la cui bozza preconciliare è stata mantenuta perché considerata quella meno controversa! — è già pieno zeppo di affermazioni problematiche e di voragini così grandi che ci potrebbero passare attraverso dei camion, è impossibile per me continuare a vivere nel mondo fantastico del conservatorismo cattolico. D.Q. McInerny descrive bene questo problema in un articolo pubblicato sul numero di Natale 2019 di Latin Mass Magazine:
Una caratteristica di Sacrosanctum Concilium, e anche degli altri documenti conciliari, è la loro adozione di una peculiare modalità di espressione stilistica: “sì… ma”, “certamente… forse”. Si stabilisce un mandato specifico, o si enuncia una direttiva particolare, e poi quasi subito dopo, nella maggior parte dei casi, si utilizza una serie di adeguamenti qualificativi che si riferiscono a quanto si è appena detto e che hanno l’effetto di rendere alla fin fine un mandato non davvero obbligatorio, e di far suonare una direttiva come se fosse poco più di un suggerimento, come se consistesse in una possibilità tra le altre. Questo è ciò che accade nella Sacrosanctum Concilium. L’effetto di un tale approccio è quello di creare un’aura di ambiguità riguardo a una questione particolare che consente, o addirittura incoraggia, una varietà di interpretazioni divergenti, alcune delle quali lo sono a tal punto da diventare reciprocamente contraddittorie. Questo fenomeno è stato ampiamente dimostrato negli ultimi decenni. Non appena si specifica, nella Sacrosanctum Concilium, che la lingua latina dev’essere conservata nel rito latino, si concede il permesso di usare il volgare nella Messa e nell’amministrazione dei sacramenti, e, in modo significativo, che “i limiti del suo impiego possono essere estesi”. … Dato il modo oscillante in cui l’argomento del latino è trattato nella Sacrosanctum Concilium, ritengo corretto affermare che il partito antilatino può legittimamente trovare nel documento un sostegno più favorevole alla loro posizione che a quella di coloro che desiderano mantenere la tradizione. Quel che è toccato in sorte al latino è stato il risultato di un calcolo meticoloso.
Il motivo per cui abbiamo ottenuto il Novus Ordo in tutto il suo “splendore” riformatore è che i suoi futuri architetti hanno truccato il documento conciliare per aprirgli la strada e hanno poi anche ammesso di averlo fatto, come abbiamo visto. Se Sacrosanctum Concilium è una sorta di oasi all’interno del Concilio, cosa mai ci sarà nel suo deserto?
L’interpretazione del Vaticano II di Royal non può reggere il confronto con The Second Vatican Council—An Unwritten Story [Il Concilio Vaticano II: una storia mai scritta], di Roberto de Mattei, un’analisi accuratamente documentata di ciò che è effettivamente accaduto al Concilio. La bella fioritura della vita intellettuale cattolica anteriore al Vaticano II non ha potuto cancellare le macchinazioni dei progressisti e dei modernisti moderati che guidavano le discussioni interne e le bozze più o meno come desideravano. Hanno visto la loro grande opportunità e l’hanno sfruttata con coraggio.
Perché, allora, quasi tutti i prelati del Concilio, compreso l’arcivescovo Marcel Lefebvre, hanno votato a favore di Sacrosanctum Concilium: ben 2147 contro 4? Il Padre Hunwicke fa intendere che essi ignoravano gli obiettivi finali del Movimento Liturgico radicale e che pensavano di star votando a favore di una leggera modernizzazione del culto tradizionale; che gli è stato invece nascosto il piano reale che c’era dietro, poiché i dibattiti in Consiglio suggerivano una riforma moderata; e che — fatto non meno importante — hanno agito con un istinto di gregge, che, nel contesto di una riunione così inefficiente e intricata come quella del Consiglio (abbiamo molti atti privati che si lamentano di provare una terribile noia), ha permesso agli attori chiave di accelerare la conclusione dei documenti con la benzina dell’impazienza.
E perché, allora, successivamente hanno applicato obbedientemente tutti i cambiamenti? Ah, questa è una storia diversa. Anche i vescovi che nutrivano seri dubbi sulle riforme (e non erano pochi) sentivano di non avere altra scelta che “obbedire” a tutto ciò che il papa decretava. La parola di un papa è la parola di Dio, no? Un ultramontanismo pecorile di vecchia data mascherato da pietà impediva persino ai pastori di proteggere le loro greggi dai danni rivoluzionari. Cinquant’anni di culto parrocchiale deformato, una rete globale di immoralità clericale e un papa che tratta la fede della Chiesa come argilla malleabile sono i tre colpi con cui l’iperpapalismo è finalmente uscito alla ribalta, anche se alcuni fanno ancora fatica a rendersene conto.
La precedente critica a Sacrosanctum Concilium deve considerarsi un “dissenso dal Magistero”? No. Questo documento ha due ingredienti: un resoconto speculativo della liturgia, che è dotato di un’interpretazione ortodossa, e un lungo elenco di decisioni pratiche su come riformare la liturgia. La critica tradizionalista mira a quest’ultimo ingrediente, che, per sua natura, riguarda giudizi prudenziali espressi su punti particolari. I giudizi su ciò che è meglio fare qui e ora non possono mai essere infallibili e sono di per sé soggetti a rivalutazione, modifica e persino rifiuto — se ritenuto opportuno — nel corso del tempo.
Lo stesso processo si è svolto con le misure disciplinari di molti concili ecumenici precedenti, alcune delle quali non sono mai state nemmeno messe in atto o sono state accantonate piuttosto velocemente. In parole povere: il piano d’azione concordato dai Padri Conciliari può e deve essere giudicato dai suoi frutti e sullo sfondo di circostanze mutevoli e non è oggetto di assenso religioso. Un piano d’azione errato rientra nella possibilità di un concilio ecumenico anche secondo l’interpretazione più rigida dello statuto di un sinodo universale.
Come sostiene san Tommaso d’Aquino, seguendo sant’Agostino e altri Padri della Chiesa, Dio non permetterebbe un male se non ne traesse un bene più grande. Anche se nessuno di noi può vedere pienamente il bene che sorgerà dai mali che accompagnano il Concilio e la sua successiva riforma liturgica, penso che non si possa negare che abbiamo imparato dure lezioni, che ci hanno aiutato in questi decenni e continueranno ad aiutarci in futuro.
Possiamo avere — e infatti un numero sempre maggiore di persone ce l’ha — una migliore comprensione del motivo per cui il rito romano tradizionale è esattamente com’è, funziona bene così com’è e non dovrebbe essere modificato in nessun modo sostanziale. La sua perfezione nei testi, nei canti e nelle cerimonie non è mai stata così evidente come oggi, un’epoca in cui essa spicca in netto contrasto su uno sfondo di menomazioni liturgiche, mediocrità e malessere. Chi ha a cuore la liturgia se ne interessa di più; chi ama la tradizione, come dovrebbero fare tutti i cattolici, la ama di più. Sono questi i presupposti necessari per un fiorire del culto divino nella Chiesa, fonte e culmine della vita cristiana e cuore e anima della cultura cristiana.
_____________________ Bibliografia
Yves Chiron, Annibale Bugnini: Reformer of the Liturgy, trad. John Pepino (Brooklyn, NY: Angelico Press, 2018).
La citazione di Guitton è stata riportata su Abbey Newsletter dal Reverendissimo Dom Gerard, O.S.B., Abbaye Sainte-Madeleine, Le Barroux, con traduzione probabilmente di Paul Crane, S.J. in Christian Order 35.10 (1994), 454.
D.Q. McInerny, “Reflections on the Loss of Latin, Part I” in Latin Mass Magazine, 28.4 (Natale 2019), 33–34.
Yves Chiron, Annibale Bugnini: Reformer of the Liturgy, trad. John Pepino (Brooklyn, NY: Angelico Press, 2018).
La citazione di Guitton è stata riportata su Abbey Newsletter dal Reverendissimo Dom Gerard, O.S.B., Abbaye Sainte-Madeleine, Le Barroux, con traduzione probabilmente di Paul Crane, S.J. in Christian Order 35.10 (1994), 454.
D.Q. McInerny, “Reflections on the Loss of Latin, Part I” in Latin Mass Magazine, 28.4 (Natale 2019), 33–34.
[Traduzione per Chiesa e post-concilio di Antonio Marcantonio]
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