Tratto da Le Tavole di Assisi. Mons. Crepaldi, vescovo emerito di Trieste, dice che «il cristianesimo ha qualcosa di proprio e di unico da dire nella pubblica piazza». E che i cattolici non devono collaborare con le forze che vogliono un «mondo nuovo dai caratteri inquietanti». Riflessioni a margine della due giorni di Assisi.
Una Chiesa nella pubblica piazza con coraggio e verità
Si è conclusa ieri, ad Assisi, la convention “Le tavole di Assisi” con la presenza di un numeroso popolo cattolico, raccolto attorno a nove tavoli di discussione, uno per ogni tematica vitale per la società italiana di oggi. La due-giorni è stata introdotta da una riflessione del vescovo Giampaolo Crepaldi. Quando i cattolici escono dalla sagrestia, oppure vi escono ma in modo non politicamente corretto, si aprono i cieli non solo delle critiche ma anche delle contumelie. E si badi che, per uscire dal politicamente corretto ormai basta poco, per esempio è sufficiente parlare di matrimonio o di differenza complementare tra uomo e donna, insomma dire cose molto naturali.
Per questo la conferenza di Assisi era stata accompagnata dal solito grido “al lupo! al lupo!” delle testate della sinistra. Ad Assisi si sarebbero incontrati gli “ultra-cattolici” e “anti LGBT”, quelli che lucrano consensi sulla pelle del circolo Mario Mieli [Repubblica]; cattolici oltranzisti e identitari che fanno prove di nazionalismo teo-con [Il Manifesto]; ma il peggiore di tutti è stato L’Espresso che ha parlato di “curatori di gay, no-vax e creazionisti”, confondendo poi tra i vescovi Suetta e Crepaldi. Si è trattato del solito abbaiare scomposto.
Cosa potrà nascere da questo incontro? I relatori presenti, tutti sensibili ad alcuni gravi pericoli che la nostra società sta vivendo, tutti desiderosi di affrancarsi da un opprimente pensiero unico sia culturale che ecclesiale, esprimono anche sensibili differenze che impediscono di individuare un obiettivo (politico) a breve termine, come invece fanno i commenti da sinistra. Inoltre, ad alzare il livello e il tono delle riflessioni ha pensato il vescovo Crepaldi che, in un intervento breve ma molto intenso, ha indicato gli orizzonti senza dei quali iniziative di questo genere finiscono per inaridirsi. Le sue parole non solo hanno implicitamente asfaltato le grossolane critiche viste sopra, collocandosi su un piano per esse inarrivabile, ma ha anche sollecitato tutti i presenti a prendere le cose sul serio, senza fretta, e andando in profondità delle questioni.
Questa è stata infatti la sua conclusione: «Il cerchio si stia stringendo e gli spazi di libertà per il cattolico sono sempre più esigui fino a scomparire. Man mano che la secolarizzazione procede a grandi passi, aiutata nei suoi effetti distruttivi dalla nuova mondializzazione del nichilismo illuminato, la pattuglia dei cattolici impegnati nel sociale espressamente e senza mezzi termini alla luce della Dottrina sociale della Chiesa… si riduce di numero. Siamo di fronte ad una convergenza operativa molto coerente di molti centri di potere. Nessun ambito ne rimane esente».
La reazione deve essere consapevole e non può ridursi ad un fare senza prima pensare. Qual è per Crepaldi il punto centrale da recuperare? La consapevolezza che «il cristianesimo e la Chiesa hanno qualcosa di proprio e di unico da dire nella pubblica piazza». Proprio perché unico e unico perché proprio. Questa convinzione e questo coraggio i laici e anche molti vescovi non ce l’hanno più. È per questo che il discorso cristiano nella società diventa liquido, ci si accontenta di essere una agenzia di animazione etica e di esprimere solo una opinione da collocare accanto a molte altre, accontentandosi di partecipare alle “buone pratiche” stabilite dal potere.
Secondo Crepaldi i due “vizi” intellettuali dei cattolici nella pubblica piazza sono l’agnosticismo e il nominalismo, vizi che «li rende disponibili alle avventure anche le più strane». L’agnosticismo cattolico consiste nel disperare di poter conoscere la verità di un ordine sociale e politico, ma di poter solo inseguire le situazioni caso per caso, come fa oggi la nuova morale cattolica. Il nominalismo ne è la conseguenza: non esistono adulterio o omosessualità ma i singoli casi di adulteri e di omosessualità, da accompagnare caso per caso e da non “discriminare” con leggi e politiche. È molto interessante che Crepaldi abbia anche sostenuto che «l’agnosticismo cattolico è alla base dell’oblio dei principi non negoziabili, di cui ci parlava Benedetto XVI, oblio che assolutizza la politica permettendole di fare tutto e, nello stesso tempo, la svilisce, perché la rende cieca: la politica può fare tutto, ma alla cieca. Il danno dell’oblio dei principi non negoziabili è rilevantissimo perché ad una politica così ridotta la Dottrina sociale della Chiesa non ha più nulla da dire di significativo per essa».
Il vescovo emerito di Trieste ha anche contestato due punti oggi fatti propri, sia in teoria che di fatto, dalla Chiesa ufficiale: che il cattolico debba collaborare con tutti e che il senso della collaborazione possa emergere durante il percorso, senza la necessità che ci sia prima per illuminare il cammino. Insomma, un fare, insieme a tutti senza distinzione e senza dottrina. In questo modo oggi molti cattolici collaborano con le forze che vogliono creare un «mondo nuovo dai caratteri inquietanti». Coraggiosa l’esemplificazione da lui fatta degli obiettivi ONU 2030.
Stefano Fontana, 11.9.2023 - Fonte
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