È in corso una battaglia che è anche mediatica e culturale. Tra le varie armi, ci sono i libri. Non restiamo disarmati di fronte all’arroganza e alla disinformazione dei nostri avversari. Indice degli articoli sulla guerra in Ucraina.
Cosa sta accadendo veramente in Ucraina.
Pagine libere contro le menzogne occidentaliste
È vero, verissimo che, come dice il Vangelo di Giovanni, la verità ci fa liberi. Liberi di conoscere, innanzi tutto, liberi di sapere, di giudicare, di informare gli altri. Sulla storia dell’Ucraina, sul conflitto in corso, sulle sue cause remote e prossime, su ciò che veramente è accaduto e tuttora accade, su chi è l’aggressore e chi l’aggredito, su chi sono le vittime e chi i carnefici, grava una pesantissima cappa di disinformazione, di diffamazioni, di menzogne, di censure delle fonti informative. I mandanti di questo assassinio della verità sono gli Usa e quell’innaturale alleanza che è la Nato. Gli esecutori sono l’Unione Europea, quel che resta dei governi nazionali, i media di tutti i generi, tutto l’apparato dell’egemonia culturale liberal.
Certo, talvolta qualche notizia sgradita ai mondialisti russofobi di Kiev, di Bruxelles e di Washington riesce a filtrare, con difficoltà e quasi sempre subito silenziata. Qualche quotidiano ha raccontato, sia pure in poche righe, della persecuzione in atto in Ucraina contro la Chiesa Ortodossa, con monasteri e chiese perquisite e occupate, sacerdoti arrestati, rischio concreto di essere messa fuori legge. E la situazione peggiora di giorno in giorno. È grazie ai reportage del giornalista indipendente Giorgio Bianchi che sappiamo che la città di Donetsk, capitale dell’omonima repubblica russofona resasi indipendente dal feroce regime di Kiev che, dal 2014, dopo il colpo di stato di Maidan, aveva iniziato un sistematico genocidio delle popolazioni russe (circola la cifra di 14.000 russofoni assassinati) è quasi completamente distrutta, ridotta a una città fantasma per i continui bombardamenti ucraini.
È filtrata qualche notizia sulle uccisioni, da parte delle milizie ucraine nelle zone rioccupate, dei cosiddetti “collaborazionisti”, cioè russi che vogliono vivere liberamente da russi. L’esercito di Kiev impedisce ai giornalisti di accedere alle zone rioccupate per molti giorni, in modo da consentire agli agenti dei servizi di svolgere il loro sporco lavoro senza testimoni scomodi.
Tuttavia ci sono ancora alcune voci libere che, almeno nel mondo editoriale, riescono a sfondare la pesantissima coltre delle menzogne e delle censure atlantiste e a raggiungere almeno una parte della pubblica opinione. È il caso di due libri pubblicati in tempi recenti. Vogliamo darvene conto.
Vittorio Nicola Rangeloni, Donbass. Le mie cronache di guerra, Idrovolante edizioni
Vittorio Nicola Rangeloni è un reporter e fotografo di guerra che da Kiev prima e dal fronte del Donbass indipendente poi ha raccontato, con passione e partecipazione, gli eventi d’Ucraina. Era a Kiev prima del colpo di stato del 2014 quando il legittimo governo del presidente Janukovyc venne abbattuto da una rivolta di piazza a lungo preparata dal governo degli Stati Uniti (in particolare dall’Assistente Segretario di Stato Viktoria Nuland) e delle lobbies facenti capo al solito mestatore Soros.
Il colpo di stato riuscì e iniziarono le persecuzioni contro i politici, i giornalisti e i semplici cittadini che si opposero al nuovo governo golpista e alle sue decisioni russofobe: arresti di centinaia di oppositori e di giornalisti, divieto di tutti i media e dei partiti di opposizione, repressione delle manifestazioni di protesta fino al massacro di Odessa, quando un centinaio di manifestanti vennero uccisi, molti dei quali bruciati vivi, da bande armate di nazionalisti ucraini.
All’est la reazione dei russofoni (in realtà semplicemente russi) contro il golpe si trasformò in rivoluzione armata, con la costituzione delle due repubbliche indipendenti di Donetsk e Lubiansk difese da milizie popolari poco addestrate e male armate ma che riuscirono (e tuttora ancora riescono) a impedire il genocidio dei civili russi da parte dell’esercito ucraino armato e addestrato dalla Nato. È stata la stessa Nuland ad ammettere in una conferenza del 2013 che gli Usa avevano investito in Ucraina 5 miliardi di dollari “per dare al paese il futuro che si merita”. Fu su pressioni Usa che il governo fantoccio golpista di Kiev sottoscrisse gli accordi di Minsk, che avrebbero garantito una pur parziale autonomia alle regioni del Donbass, accordi che il governo ucraino non rispettò mai: la ex cancelliera tedesca Merkel ha recentemente ammesso che tali accordi erano stati sottoscritti in mala fede dal regime di Kiev solo per consentire agli autocrati ucraini di “prendere tempo”.
Sintetizza Rangeloni: “Si può dire che il piano americano abbia funzionato. Non solo hanno strappato l’Ucraina dall’influenza russa, ma sono riusciti ad addossare tutte le colpe su Mosca. Nel corso degli anni seguenti alla rivoluzione i media occidentali hanno continuato a ripetere il ritornello dell’“invasione russa” e dell’“ingerenza del Cremlino” in Ucraina per giustificare le sanzioni economiche contro Mosca e il supporto economico e militare a Kiev da parte dell’Occidente, dimenticandosi che senza lo zampino degli Stati Uniti e dell’Unione Europea, non ci sarebbe stato nessun Euromaidan”.
Il libro, scritto da chi gli eventi li ha visti rischiando la pelle sul fronte dei russi del Donbass nel conflitto scoppiato nel 2014, nelle loro trincee, nei loro rifugi, assieme alle famiglie private delle case distrutte dall’artiglieria ucraina e dai missili di fabbricazione Usa, è una fonte notevole di informazioni e di notizie che non sentiremo mai dai media occidentali asserviti al più bieco atlantismo. Come il fatto, facilmente dimostrabile, che all’interno degli odierni confini ucraini non è mai esistita un’identità nazionale condivisa.
Kiev, come buona parte del resto del territorio, è a maggioranza russofona. O le informazioni documentate sulle uccisioni dopo torture di cittadini russofoni da parte delle bande ucraine. O gli assassinii di giornalisti russi pur riconoscibilissimi per le scritte sui giubbotti. Oppure del ruolo sporco giocato dagli osservatori dell’Osce, che spesso passano informazioni sulle forze dei filorussi agli ucraini. O ancora dei moltissimi greci che si sono arruolati volontari nelle milizie del Donbass, portando con orgoglio la patch della bandiera ellenica sulla divisa a fianco di quella della Repubblica di Donetsk. O di quel famigerato sito web creato dai servizi di Kiev chiamato “Il pacificatore” che censisce tutti gli oppositori, interni ed esterni, della dittatura ucraina, con foto, indirizzi, informazioni e l’implicito invito ad ucciderli. In quella lista c’è anche il nome del giornalista italiano Andrea Rocchelli che documentava la guerra nel Donbass e venne assassinato dai soldati di Kiev. Sulla sua foto, i gestori ucraini del sito hanno apposto la scritta “liquidato”. Questi sono “gli aggrediti” che gli euroatlantici difendono con le nostre armi e i nostri soldi.
Il senso della lotta, iniziata con l’aggressione ucraina nel 2014, data del vero inizio del conflitto, delle Repubbliche del Donetsk e di Lugansk (quelle che i media occidentali si ostinano con malafede a definire “autoproclamate”), per la loro libertà, la loro lingua e la loro storia è ben riassunto dalle parole, raccolte in un’intervista da Rangeloni, di un ufficiale delle milizie volontarie che combattono contro gli ucraini che ormai da anni bombardano le loro città e i loro villaggi, nel silenzio dei media occidentali:
“A Kiev ci chiamano terroristi. Hai mai sentito di atti terroristici nella capitale ucraina, a Leopoli o Ivano Frankovsk? Sono loro che vengono qui da ogni angolo del paese dicendo di voler liberare la loro terra. Mentre noi eravamo, siamo e saremo qui! Perché alle nostre spalle ci sono le nostre case dove vivono le nostre famiglie. Non siamo stati noi ad iniziare la guerra. In seguito al loro colpo di stato col quale hanno pensato di imporre a tutto il paese la loro lingua e la loro visione della società, con nuovi eroi e riferimenti storici che non ci appartengono, noi, abitanti dell’est, siamo usciti in strada chiedendo solamente di venire ascoltati. Volevamo semplicemente vivere come abbiamo sempre vissuto e garanzie sui nostri diritti. Invece di venirci incontro, hanno deciso di metterci a tacere con le armi, accusandoci di separatismo.”
Infatti, le minacce dei golpisti di Kiev alle popolazioni “separatiste” del Donbass che si battevano per la loro libertà risalgono al 2014, quando il neo-presidente golpista Petro Poroshenko così tuonò, giungendo a minacciare i bambini russofoni: “Noi avremo lavoro, loro no. Noi avremo pensioni, loro no. I nostri bambini andranno a scuola e all’asilo, mentre i loro saranno costretti a stare negli scantinati”. Però non aveva previsto che se gli ucraini riescono oggi quanto meno a mangiare, è grazie agli imponenti aiuti in miliardi di euro pagati dei contribuenti europei e americani. L’Ucraina è, da anni, uno stato fallito.
Il testo di Rangeloni è anche una vivida galleria di personaggi incontrati e intervistati dall’autore. Come il ritratto di Arsen Pavlov, leggendario comandante di un battaglione delle milizie del Donbass significativamente denominato “Sparta”, proveniente dal nord della Russia, amatissimo dai suoi soldati, un soldato con una vasta e solida cultura storica, filosofica, geopolitica e bravissimo nella comunicazione. Le sue gesta militari erano audaci, imprevedibili.
Non riuscendo ad ucciderlo in combattimento, gli ucraini ricorsero al terrorismo: piazzarono una bomba dell’ascensore della palazzina in cui abitava, facendolo esplodere mentre Pavlov stava rientrando. Al suo funerale parteciparono almeno 50.000 persone. D’altronde l’uso del terrorismo è abituale da parte dei servizi ucraini, come dimostra l’assassinio nel 2018, anche in questo caso con una bomba, del presidente della Repubblica di Donetsk, Alexandr Zakharchenko, anche lui amatissimo dal suo popolo.
Di lui Rangeloni scrive: “Zakharchenko si era battuto per la libertà della sua terra contro le imposizioni volute da Kiev, dagli Stati Uniti, dall’Unione Europea, dal Fondo Monetario Internazionale. Voleva che la sua gente fosse libera di decidere autonomamente come vivere, quali valori ritenere giusti e quali sbagliati, quale lingua parlare e con chi commerciare. Per questo occorreva ristabilire la giustizia storica, per riportare quella terra ad essere parte di quella Patria più grande che è la Russia.”
In tempi più vicini a noi e a conferma del terrorismo di stato dell’Ucraina ricordiamo l’assassinio, da parte di un agente di Kiev, di Darya Dugina, giornalista e figlia del noto filosofo russo Aleksandr Dugin. Ma, ancora una volta, nessuno in occidente si è scandalizzato.
Non si può parlare con ragionevole cognizione di causa dell’Ucraina e del Donbass se non si ha letto questo libro. Quel Donbass che, come recitano le ultime parole del testo: “ha dimostrato di essere la trincea d’Europa, di quell’Europa che non si riconosce in Washington e in Bruxelles.”
AA.VV. Ucraina 2022. La storia in pericolo, a cura di Franco Cardini, Fabio Mini e Marina Montesano, Edizioni la Vela
Uno dei più grandi storici italiani, Franco Cardini, un generale di Corpo d’Armata dell’Esercito Italiano, Fabio Mini e un’altra storica esperta dei rapporti tra Oriente e Occidente, Marina Montesano hanno curato questa raccolta di saggi sulle origini remote e prossime, la genesi e lo sviluppo del conflitto in Ucraina. Venticinque interventi di giornalisti, storici, esperti di strategia e di geopolitica, filosofi, intellettuali che ci illustrano con un mosaico ben composto la realtà degli accadimenti passati e presenti. Gli autori hanno posizioni culturali e politiche tra loro diversissime, a dimostrazione del fatto che il cleavage destra/sinistra non sempre funziona.
È impossibile elencare tutti i contributori e difficile anche operare una scelta dimostrativa considerata l’assoluta qualità, sia essa accademica, giornalistica, di analisi storica e militare di tutti loro. Se il testo è difficile da riassumere, il suo senso è ben esplicitato nella presentazione nel risvolto di copertina: combattere una ricostruzione della storia del conflitto basata su una narrazione faziosa e quindi iniqua e fuorviante. Non potendo sintetizzare tutti gli interventi e citare tutti i contributori, ci limitiamo a proporre, come “assaggio” del libro e invito alla sua lettura, qualche spigolatura, consapevoli che la scelta risente ovviamente delle preferenze personali.
Vale la pena soffermarsi sull’ampia introduzione di Franco Cardini che rappresenta una sintesi di molti dei temi poi più analiticamente esposti dai coautori. Ecco dunque, nel racconto dello storico fiorentino, la sistematica penetrazione, ad opera Usa e delle sue “quinte colonne”, dei “valori” occidentali nel tessuto civile ucraino; la “fanatica impudenza” di Zelensky; la natura storica dell’Ucraina quale “sentinella di confine” dell’ecumene imperiale russa; il processo di ingegneria sociale consistente nell’invenzione di una nazione ucraina iniziato nel 1991 e rilanciato nel 2014; la russofobia di origine franco-britannica che dalla rivoluzione francese e dalla guerra di Crimea s’aggira come un fantasma per l’Europa; la vera data dell’inizio della guerra, che non è il febbraio 2022, “bensì nel 2014 con il golpe che a Kiev rovesciò il legittimo governo di Janukovyc”.
La sensibilità etica di Cardini emerge con forza nella parte del suo scritto nel quale esprime la sua indignazione per l’atto non solo di ostilità, ma anche di guerra alla Russia con cui il parlamento italiano ha deciso l’invio di armi a Zelensky e che ha provocato la giusta reazione di rabbia di molti russi da sempre innamorati dell’Italia e della sua cultura. Reazione d’indignazione dietro la quale c’erano “amore e delusione, passione e rabbia per un “tradimento”. Noi siamo – prosegue Cardini – russofobi bovinamente fieri di esserlo e pecorescamente felici che il padrone d’Oltreoceano premi la nostra infamia con una carezza”. Le parole finali manifestano tutta la sua indignazione morale per il tradimento nei confronti dell’amica Russia: “vergogna, vergogna, vergogna”.
Eugenio di Rienzo, docente di Storia moderna alla Sapienza di Roma e direttore della “Nuova rivista storica” smentisce definitivamente la bufala secondo la quale non vi siano prove di un accordo verbale a Malta tra Bush senior e Gorbačëv nel quale, in cambio dell’assenso alla riunificazione tedesca, Bush assicurava la non estensione della NATO ai paesi dell’Europa dell’est, promessa poi non mantenuta. Fu un accordo verbale, un gentlemen’s agreement, per cui non v’è accordo scritto, ma che venne verbalizzato dalle cancellerie. Se ne parla nel carteggio tra Gorbačëv e Andreotti.
Inoltre, testimonia di Rienzo, l’esistenza dell’accordo di Malta venne confermata dal primo ministro inglese, dal cancelliere tedesco, dal presidente francese e dalla testimonianza dell’allora ambasciatore americano a Mosca. Lo stesso Gorbačëv confermò più tardi questo accordo, rammaricandosi “della sua ingenuità” per non aver preteso, anziché un gentlemen’s agreement, una esplicita convenzione diplomatica, considerato che, oltre agli accordi di Malta, vi furono successivamente ampie assicurazioni del Segretario di Stato Usa, James Baker, secondo le quali: “la Nato non si sarebbe allargata nemmeno di un centimetro verso oriente”. Ulteriori dettagli su questa falsa promessa degli Usa ci vengono forniti, in un altro saggio del testo, dal giornalista Pietro Andrea Annicelli, che cita altri particolari contenuti in un verbale desecretato nel 2017 e pubblicato da Der Spiegel in cui il cancelliere Hemuth Kohl e il ministro degli esteri Hans-Dietrich Genscher si dichiararono d’accordo con il rappresentante statunitense riguardo al fatto che “non intendiamo far avanzare la Nato oltre l’Oder.”
Il generale Mini illustra i vari aspetti della guerra ibrida in corso che è anche finanziaria, demografica e d’informazione. In quest’ultima: “la propaganda ucraina sta però riuscendo a penetrare nel nostro sistema di pensiero”, anche grazie al fatto che, essendo state tacitate tutte le altre fonti d’informazione: “da mesi sappiamo del conflitto soltanto ciò che viene dalla parte ucraina”, soprattutto per la feroce censura imposta dall’Unione Europea nei confronti di fonti informative e media russi.
Queste misure censorie seguono, da parte dei media euroatlantici, a “otto anni di silenzi su quanto stava accadendo in Donbass, sulle misure punitive adottate dai governi ucraini contro la minoranza di lingua russa e sugli eccidi ai suoi danni”; otto anni durante i quali gli Stati Uniti e la Nato preparavano la guerra armando e finanziando l’Ucraina. Osserva il generale Mini sulla situazione della libertà d’informazione in Europa: “Si sanziona anche il pensiero, si alimenta l’autocensura e si sottopone a linciaggio fino alla criminalizzazione chi pensa o si crede che pensi o si accusa di pensare in maniera diversa.”
Di largo respiro storico e geopolitico è l’analisi del filosofo del diritto Paolo Becchi che ci offre ottimi spunti di riflessione, come sul senso di comunità che anima ancora la Russia e che è stata rivendicata da Putin quando “si è rivolto ai russi del Donbass, sottoposti da anni a violenze, repressioni, persecuzioni da parte del regime centrale ucraino.” Nota ancora: “Putin pur rischiando un’operazione dagli esiti incerti non ha fatto altro che difendere questo senso russo di comune appartenenza.”
Di contro, Becchi guarda all’Europa occidentale in cui “viviamo sciolti da ogni legame, come individui anonimi provvisti di identità digitale che pongono al centro della loro esistenza solo la soddisfazione dei loro desideri. La nostra è un Europa da tempo decadente, un mondo senza Dio in cui tutto è permesso”. E ancora sull’occasione persa dall’Europa che: “poteva ridisegnarsi un assetto politico autonomo, da grande potenza, non più alle dipendenze della Nato e degli Stati Uniti. Poteva capire che la Russia aveva già sopportato abbastanza umiliazioni nella sua area di influenza e per questo alla fine ha reagito con la forza militare.”
Di sicuro interesse è il saggio dello storico Marco Di Branco: Alle origini di Russia e Ucraina. Il testo, ricco di fonti, ripercorre le origini della Rus’ di Kiev, cuore e antenata della futura civiltà russa, con la fusione di popolazioni slave con gruppi di vichinghi, poi convertite al cristianesimo dai Bizantini. Ecco quindi come Russia, Ucraina (“piccola Russia”) e Bielorussia hanno indubitabilmente un’origine e una storia comune e questa è l’evidenza innegabile che fa dire a Vladimir Putin: “L’Ucraina non è solo un Paese vicino a noi. E’ parte integrante della nostra storia, della nostra cultura e del nostro spazio spirituale.” Ad analoghe conclusioni storiche, ma con un approfondimento sulla storia medioevale, perviene Antonio Musarra, docente alla Sapienza di Roma che, esaminando gli eventi passati e recenti, cita un’altra affermazione di Putin: “L’Ucraina moderna è interamente frutto dell’era sovietica a spese della Russia storica”.
Mentre Roberto Mancini, storico presso l’università di Middlebury traccia la storia della russofobia dal Settecento a oggi, Giovanni Buccianti, già ordinario di Storia delle Relazioni internazionali all’università di Siena ripercorre gli eventi degli ultimi decenni sottolineando le continue provocazioni, le minacce degli Usa e della Nato nei confronti della Russia, il silenzio e le insensibilità dei paesi occidentali riguardo alle ragionevoli richieste della Russia di non proseguire nel “dilagante e minaccioso” accerchiamento e di non portare l’Ucraina nella Nato. Interessante l’elenco, da parte di Buccianti, di numerosi analisti, ex diplomatici, membri dell’amministrazione Usa e della Cia, responsabili delle Nazioni Unite che misero in guardia gli Usa a non umiliare e provocare ulteriormente la Russia. Inascoltate Cassandre che volevano evitare la guerra. Ma forse gli Usa e quindi la Nato era proprio la guerra che volevano.
Una lettura attenta merita certamente il saggio del filosofo Diego Fusaro, di notevole densità e profondità, accattivante sin dal titolo: Catechon. La Russia come freno all’imperialismo Usa, con il richiamo emblematico al concetto di katéchon (ciò che trattiene) tratto da una lettera di San Paolo. Fusaro ben illustra, con molte ricche argomentazioni, come la mondializzazione sia in realtà un tentativo di americanizzazione del globo e ripercorre le ultime guerre
d’aggressione statunitensi: Panama, Iraq, la Jugoslavia con i “bombardamenti umanitari” a cui partecipò anche l’Italia, l’invenzione dell’autoproclamata repubblica del Kossovo nella quale installare Camp Bondstell, la più grande base USA in Europa, per meglio controllare il nostro continente asservito.
Il significato del conflitto attuale è delineato da Fusaro con parole decise, chiare e coraggiose: “Zelensky – il guitto prodotto in vitro a Hollywood – non sta lottando per la libertà e la sovranità dell’Ucraina, come ripetono i nostrani giornali aziendali, ancora una volta svolgendo la parte di grancassa dell’interesse washingtoniano: il guitto Zelensky sta mandando il suo popolo al massacro per favorire il passaggio dell’Ucraina all’impero della NATO e del dominio a stelle e strisce. Sta, letteralmente, recitando un copione scritto a Washington, come si addice a un guitto che danzava discinto sui tacchi a spillo prima di diventare presidente del proprio Paese.”
Marina Montesano, tra i curatori del volume, interviene raccontandoci la tradizionale “Ipocrisia dell’Occidente” (è il titolo del saggio) in diverse occasioni: dalla Georgia ai massacri di civili a Kiev nel 2014 provocato da cecchini assoldati dagli USA.
Infine, Francesco Borgonovo si sofferma su alcuni aspetti sull’opera di menzognera disinformazione in corso, una meta-narrazione volta alla demonizzazione dell’avversario: “Il cattivo Vladimir non è semplicemente un invasore, bensì il rappresentante di un universo antico e deprecabile. I progressisti sono in guerra per “i diritti”, si battono contro gli omofobi, contro i sostenitori della Chiesa Ortodossa e la loro visione tradizionale dell’esistenza.” Borgonovo, a proposito dell’irruzione della retorica omosessualista, a cura della Ue, nello “scontro di civiltà” in corso ricorda come: “in Ucraina, Moldavia e Georgia l’adozione di leggi contro la discriminazione è stata un criterio fondamentale per la firma di accordi di associazione”. Ed è quindi con qualche ragione che il patriarca di tutte le Russie Kirill ha definito “lotta metafisica” quella in corso.
È in corso una battaglia che è anche mediatica e culturale. Tra le varie armi, ci sono i libri. Non restiamo disarmati di fronte all’arroganza e alla disinformazione dei nostri avversari.
Antonio de Felip - Fonte
Quando gli americani avranno compreso fino in fondo che non si campa solo ad esportare la loro democrazia fatta di guerre e altro,allora il mondo avrà la gioia di vivere come vogliono.
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