Nella nostra traduzione da The Catholic Thing una interessante riflessione sul Padre nostro. In effetti l'invocazione Panem nostrum cotidianum da nobis hodie ha risentito di una traduzione carente perché, nel testo greco dei vangeli, c’è la parola, ἐπιούσιος, che si trova praticamente solo lì e che letteralmente dovrebbe valere “supersostanziale” [cioè il Pane vivo che viene dal cielo: Cristo Signore]. Hodie già sarebbe sufficiente per dare il senso del quotidiano. Perché è vero che ne abbiamo bisogno ogni giorno, così come ogni istante, e il Signore ci ha promesso che sarebbe rimasto con noi ogni giorno fino alla fine dei tempi... Solo che io lo avevo inteso sempre non soltanto come il pane eucaristico sacramentato che riceviamo nella Santa Messa evidenziato nell'articolo; ma come il Pane vivo che il Padre può donarci anche spiritualmente nella preghiera da un cuore ben radicato in Cristo. Per tener viva, scoprire e rinnovare ogni giorno in noi — anche quando non possiamo fruire della Messa — l'Immagine del figlio che ha già impresso nel nostro cuore al momento del Battesimo. L'unica nella quale, volgendo il Suo sguardo su di noi, può compiacersi! (M.G.)
Il Padre Nostro come intermediazione
Michael Pakaluk
Ecco un dilemma: molto spesso, se non tutti i giorni, i cattolici recitano la preghiera del Signore, che include la richiesta: “Dacci oggi il nostro pane quotidiano”. Nella traduzione Douay-Rheims, questa frase è tradotta (forse più accuratamente) come “Dacci oggi il nostro pane supersostanziale”. Come insegna il Catechismo, la richiesta si riferisce esplicitamente al “Pane della vita, il Corpo di Cristo”.
Su questo punto, il Catechismo cita Sant’Agostino:
“L’Eucaristia è il nostro pane quotidiano”e san Pietro Crisologo:
“Il Padre che è nei cieli ci spinge, come figli del cielo, a chiedere il pane del cielo. [Cristo] stesso è il pane che, seminato nella Vergine, risuscitato nella carne, impastato nella Passione, cotto nel forno del sepolcro, conservato nelle chiese, portato agli altari, fornisce ogni giorno ai fedeli il cibo del cielo”.
Ma il dilemma è questo: perché coloro che recitano questa preghiera, di regola, non si sforzano di partecipare alla Messa quotidiana e di ricevere l’Eucaristia ogni giorno? Chiedono il pane quotidiano supersostanziale, che è lì per essere ricevuto, ma non lo prendono.
Per me, questa domanda è molto più complessa della questione se Dio possa fare miracoli per rispondere alle preghiere. Naturalmente, il Dio che ha creato l’universo dal nulla può creare qualsiasi cosa particolare in qualsiasi momento per operare un miracolo. E naturalmente, in quanto essere spirituale, ha il controllo sulla mera materia, come lo ha anche un angelo.
E il problema è anche più difficile della questione generale se Dio cambi il mondo proprio in risposta alle preghiere — perché, se le preghiere sono efficaci, non dovrebbero avere un effetto maggiore sulla persona che le prega?
Si potrebbe dire che la preghiera è stata esaudita dalle chiese costruite nei nostri quartieri, dalle vocazioni dei sacerdoti che vi offrono la Messa e dalle donazioni fatte dai parrocchiani per sostenere quelle parrocchie. Dio infatti ci ha dato il nostro pane quotidiano, abbondantemente (almeno, lo ha fatto in passato). Ha mantenuto la sua parte dell’accordo, per così dire.
Il problema è che non lo accettiamo. E perché ci si dovrebbe aspettare che Dio risponda a quella preghiera? Solo uno sciocco pregherebbe dicendo: “Dio, portami la mia tazza di caffè” e si lamenterebbe se non ricevesse risposta.
Il mio dilemma allora diventa: perché, pregando il Padre Nostro, non siamo trasformati in modo che incrementi il desiderio di pane quotidiano che esprimiamo?
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Parte del problema, sicuramente, è che non capiamo bene il significato del Padre Nostro. Pensiamo che sia artificiale perché non è un’espressione spontanea e “sincera” di ciò che pensiamo naturalmente. (Su questo errore, ricordiamo che la Nouvelle Héloïse di Rousseau fu inserita nell’indice dei libri proibiti.).
Oppure supponiamo che l’utilità principale del Padre Nostro sia quella di risolvere un problema di coordinamento: quando molte persone si radunano insieme, l’unico modo per pregare la stessa cosa è seguendo un testo prestabilito.
Oppure immaginiamo che la recita del Padre Nostro sia un rito, una sorta di sacramentale, che conferisce la grazia attraverso la sua mera esecuzione.
Un altro problema è che per la maggior parte dei cattolici l’intenzione contenuta in quella richiesta non raggiunge mai quello che il Catechismo chiama il suo “riferimento diretto”. Si presume che il “pane quotidiano” si riferisca unicamente ai mezzi necessari al sostentamento. Si considera la richiesta un’umile ammissione della nostra fiducia in Dio e anche un impegno implicito a mantenere i nostri bisogni modesti.
L’intenzione è questa, certo, ma è infinitamente di più. Come insegnò Pio X nel suo famoso “Decreto sulla ricezione assidua e quotidiana dell’Eucaristia” del 1905: “nella Preghiera del Signore ci è richiesto di chiedere il ‘nostro pane quotidiano’, con le quali parole i santi Padri della Chiesa quasi unanimemente insegnano vada inteso non tanto quel pane materiale che è il sostegno del corpo quanto il pane eucaristico, che dovrebbe essere il nostro alimento quotidiano”.
Questi problemi sono connessi tra di loro, come si vede se si presta attenzione a una singolare espressione che usa San Tommaso quando esamina il Padre Nostro nella Summa Theologiae. Il Padre Nostro, afferma, è “interprete” dei nostri desideri di fronte a Dio. Un interprete (latino, interpres) è un intermediario, un mediatore, un ambasciatore, un negoziatore. Santa Teresa d’Avila paragonava la preghiera all’avvicinarsi a un grande re.
Non sarebbe vantaggioso se ci fosse concessa un’udienza con i regnanti, essere introdotti e presentati da qualcuno della corte, che potrebbe articolare giustamente al re, e nel linguaggio dovuto, il motivo della nostra visita? E poi, nel caso in cui tale mediatore fosse abile, non correggeremmo e adegueremmo le nostre intenzioni in modo da farle corrispondere esattamente a ciò che egli ha detto? La Preghiera del Signore è questo tipo di mediatore.
Ne consegue, dice san Tommaso, che “nella Preghiera del Signore non solo chiediamo tutto ciò che possiamo rettamente desiderare, ma anche nell’ordine in cui dobbiamo desiderarlo, affinché questa preghiera non solo ci insegni a chiedere, ma diriga anche tutti i nostri affetti”.
Si consideri per oggi un’applicazione dell’intenzione: “Sia santificato il tuo nome”. Forse siete arrabbiati con i Dodgers di Los Angeles [squadra del campionato americano di baseball — N.d.T.] per aver invitato di nuovo le Sisters of Perpetual Indulgence [gruppo anticattolico — N.d.T.], e anche giustamente, dal momento che sembra un principio elementare di civiltà non rendere onore a coloro che si dedicano a deridere qualsiasi religione.
Eppure, ora che avete avuto notizie di questo gruppo di uomini tristi e sacrileghi, li dimenticherete o continuerete a pregare per loro con tale intenzione? Il loro sacrilegio rimane, tanto se i Dodgers renderanno onori alle Sisters o no. La preghiera del Signore come “interprete” ci istruisce a farlo — e poi, a “rimettere i debiti ai nostri debitori”.
Un altro motivo per aspettare con ansia la Pentecoste:
“Nemmeno sappiamo che cosa sia conveniente domandare, ma lo Spirito stesso intercede con insistenza per noi, con gemiti inesprimibili”. (Romani 8, 26).
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