Quando il "tempo della Chiesa"
prevale sul "tempo del mercante".
Queste due espressioni sono utilizzate da Jacques Le Goff nel titolo di un suo celebre saggio ove il celebre storico esponente dell' Ecole des annales, metteva in evidenza le due concezioni del tempo nel Basso Medioevo: il "tempo della Chiesa", scandito quotidianamente dalle ore canoniche dell'ufficio divino e dalla santa messa, e il "tempo del mercante", scandito dal volume delle transazioni che il mercante era in grado di svolgere in un determinato periodo di tempo; quand'anche l'attività del mercante non fosse mal vista nel Medioevo e fosse regolata da consuetudini locali e corporative volte a garantire che i diritti delle parti fossero tutelati, a limitare le speculazioni illecite e le truffe, in un'epoca in cui la missione della Chiesa di salvare le anime si voleva concretizzata in pieno in una riforma universalistica della comunità politica ("reformatio totius mundi") propria allo slancio della "Riforma Gregoriana".
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Si può osservare come già allora queste due concezioni del tempo fossero fondamentalmente incompatibili: se il "tempo della Chiesa" è una successione temporale lineare ("kronos") fecondato dall'eternità del Verbo fatto carne e per questo convergente verso una pienezza, un "tempo favorevole" (kairos") che è quello della ricapitolazione di ogni cosa in Cristo, in questo mondo e nella Gerusalemme Celeste, il "tempo del mercante" è ugualmente una successione temporale lineare volta all'arricchimento illimitato dell'uomo d'affari.
La fine dell'unità religiosa in Europa provocata dalla Rivoluzione Protestante è stata, a ben vedere, la causa della definitiva cesura tra le due concezioni temporali: prima di questo evento, la necessità di coniugare alla fede le opere di carità spirituali e materiali per essere salvati, determinava un sano temperamento del desiderio di profitto del mercante: la paga della decima alla Chiesa, il finanziamento delle opere pie all'interno della corporazione di appartenenza, i contributi di solidarietà che consuetudini mercantili prevedevano per le vedove e i figli dei defunti mercanti della confraternita e la conseguente prospettiva della dannazione eterna costituivano un antidoto all'accumulo illimitato delle ricchezze.
Il Protestantesimo, pretendendo affrancare la coscienza di ogni cristiano dalla Chiesa quale interprete del "deposito della fede" e proponendo il "libero esame" delle Sacre Sritture, costituirà la causa, insieme all'eterodossa concezione della provvidenza operata operata da Calvino, della nascita della etica protestante del lavoro e del profitto, descritta molto bene da Max Weber, per la quale è lecito per un mercante cercare un guadagno illimitato, frutto dei talenti che Dio stesso gli ha donato, e che non è tenuto a condividere con gli altri, soprattutto con coloro che, non facendoli fruttare o avendo commesso errori, si sono rovinati con le loro stesse mani: è la nascita del capitalismo.
La notizia dei monaci certosini della Grande Chartreuse i quali decidono di non rispondere alla domanda esponenziale del celeberrimo liquore prodotto da loro1, proveniente dagli Stati Uniti d'America, rifiutandosi di lavorare di più per produrre (e quindi guadagnare di più) per preservare il tempo necessario per pregare imposto dalla regola monastica di San Bruno, rappresenta una bella rivincita nei confronti del capitalismo che oggi inghiottisce tutto e tutto compra, anche le anime.
L'esempio di questa comunità monastica, forse la più eccellente nela Chiesa di oggi, è un segno tangibile della necessità di riporre Dio al centro della nostra esistenza, come individui e come comunità, per porre fine alle derive del capitalismo, oggi divenuto orgiastico, pansessualista e idolatra, che pretende di tutto acquistare e tutto vendere (vedi la compra-vendita degli embrioni e la pratica dell'"utero in affitto"), vero motore di tutte le mostruose ideologie del post-moderno.
Il mercante disse al monaco con sorriso beffardo: "il tempo è denaro, padre!", il monaco gli rispose benevolmente: "no figliuolo, il tempo è grazia!" (Francesco Biuso su Facebook)
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Nota di Chiesa e post-concilio
1. I certosini sono famosi per il loro liquore Chartreuse, una miscela di 150 erbe raccolte nei boschi e prati alpini divenuto famoso in tutta la Francia e oltre per la sua bontà e proprietà medicamentose. Alcuni documenti conservati nella Grand Chartreuse raccontano di come il Cardinale Richelieu fosse grato al priore della certosa per avergliene inviata una boccetta. Oggi in tutte le sue varianti è il liquore più famoso e conosciuto al mondo, base di diversi cocktail, lo Chartreuse verte, è presente nello scaffale di ogni buon barista.
Nota di Chiesa e post-concilio
1. I certosini sono famosi per il loro liquore Chartreuse, una miscela di 150 erbe raccolte nei boschi e prati alpini divenuto famoso in tutta la Francia e oltre per la sua bontà e proprietà medicamentose. Alcuni documenti conservati nella Grand Chartreuse raccontano di come il Cardinale Richelieu fosse grato al priore della certosa per avergliene inviata una boccetta. Oggi in tutte le sue varianti è il liquore più famoso e conosciuto al mondo, base di diversi cocktail, lo Chartreuse verte, è presente nello scaffale di ogni buon barista.
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