martedì 17 ottobre 2023

'Kedoshìm' e 'mechilàh', Vendetta e Perdono parole grosse smerciate mentre Israele si accinge alla sua operazione sulla Striscia di Gaza.

Interessante, dal web. Riguarda la cronaca attuale; ma anche l'umano vivere a 360°. La guerra genera guerra, la violenza violenza, l’odio odio.

Kedoshìm e mechilàh, Vendetta e Perdono

Kedoshìm e mechilàh, Vendetta e Perdono parole grosse che vengono smerciate mentre Israele si accinge alla sua operazione di terra sulla Striscia di Gaza.
Chiediamo aiuto per sviscerare i seguenti concetti a un interprete autorevole dell'ebraismo, Rav (Rabbi) Ariel Di Porto:

"Non vendicarti e non conservare rancore verso i figli del tuo popolo, e desidera per il tuo prossimo quello che desideri per te; Io sono il Signore” (Waiqrà 19,18). In questo versetto troviamo tre comandamenti distinti, due negativi ed uno affermativo: i divieti di vendicarsi e serbare rancore, e la mitzwàh di amare il proprio prossimo come se stesso. In questo breve passaggio troviamo tre dei comandamenti più difficili da mettere in pratica. Come per qualsiasi altra mitzwàh della Toràh è indispensabile comprenderne i dettagli e individuarne l’ambito di applicazione. Ci concentreremo sulle prime due mitzwot, i divieti di vendicarsi e serbare rancore.

Come si vede qui sembra esserci una limitazione: "verso i figli del tuo popolo" che nel cristianesimo non c'è, essendo il messaggio cristiano universale. Qui sembrerebbe limitato il non serbare rancore ai figli del tuo stesso popolo.

Però è interessante procedere nell'analisi.

Come si dice, la vendetta è dolce. Si dice che poi che la vendetta è un piatto che va servito freddo. Questa è la vendetta che la Toràh condanna, perché non è costruttiva. La Mishnàh (Bavà Qamà 92a) riporta la regola seguente: anche se una persona ha risarcito colui che ha danneggiato, non sarà perdonato, sino a quando non avrà chiesto perdono alla vittima. Da dove sappiamo se il danneggiato non perdona dopo aver ricevuto la richiesta è da considerarsi crudele? Da Avraham, che pregò per la guarigione di Avimelekh. Da qui impariamo che non c’è un obbligo di perdonare sino a quando ciò è richiesto, e che chi non perdona è considerato crudele, ma non necessariamente un trasgressore. Il Ritvà (Rosh ha-shanàh 17) spiega che esistono vari gradi: il non serbare rancore, cioè non covare sentimenti negativi nei confronti di chi ha procurato il danno, e in seconda battuta il rinunciare a intraprendere qualsiasi azione contro il danneggiatore. Chi è stato offeso ha una pretesa legittima, che può trovare seguito in un tribunale, terrestre o celeste esso sia. Il non serbare rancore ristabilisce i rapporti interpersonali precedenti all’offesa, ma non esclude comunque la possibilità di rivolgersi a un tribunale. La mechilàh, il perdono totale, deve essere concesso solo a fronte di una richiesta esplicita, e la mancata concessione ci permette di etichettare chi rifiuta come crudele, ma non è detto che il rifiuto sia vietato. C’è da notare però che R Bechayè attribuisca conseguenze disastrose, che avrebbero influenzato pesantemente la storia ebraica successiva, al rifiuto di Yosef di perdonare i fratelli. Il Terumat ha-deshen (1, 307) sembra indicare che ci sia un obbligo di perdonare anche quando ciò non è richiesto. Questo non esime il danneggiatore dal chiedere perdono, ma anche prima che questo avvenga chi è danneggiato deve rimuovere tutti i sentimenti malevoli dal proprio cuore.

Sottolineerei: chi è stato offeso ha una pretesa legittima.

La mechilàh, il perdono totale, deve essere concesso solo a fronte di una richiesta esplicita.

Nel caso di Israele, si è parlato anche da parte del Vaticano, di una "risposta proporzionata". Ora un nugolo di consiglieri si affannano sul capezzale di Israele, perché non si può negare che Israele sia in un letto di dolore dopo l'attacco proditorio di Hamas e tutti gli orrori da esso commessi, a dare consigli su quale sarebbe la risposta giusta e proporzionata. Ma forse anche chi parla, rappresentanti dell'ONU, Vaticano, esponenti più o meno simpatizzanti della causa del popolo della Palestina non sanno bene di cosa parlano.

Quale sarebbe la risposta proporzionata a un attacco a sorpresa, che ha avuto di mira soltanto civili inermi, famiglie e bambini inconsapevoli che si svegliano di primo mattino per prendere il latte? Qui ci rendiamo conto che un concetto generico di perdono, per dire settantavoltesette, in questo caso non tiene, non è ragionevolmente applicabile. Così noi dovremo definire i termini di applicabilità del messaggio evangelico, altrimenti rischiamo di fare fuffa.

Allora rivolgiamoci ai grandi teologi della Chiesa che ultimamente vengono consultati poco, in un'ansia di aggiornamento a ciclo continuo. Sinodale, vorrei dire. Chi sono questi indiscussi autori? Direi S. Agostino e S.Tommaso.

* * *
S.Agostino, Discorso 211:

Uno solo è il rimedio grazie al quale possiamo vivere: Dio, nostro maestro, ci ha insegnato a dire nella preghiera: Rimetti a noi i nostri debiti come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori. Abbiamo stipulato con Dio un patto, abbiamo accettato la ricetta, abbiamo sottoscritto la condizione di essere liberati dal nostro debito dietro cauzione. Possiamo chiedere con piena fiducia: Rimetti a noi a condizione che anche noi rimettiamo. Altrimenti non illudiamoci che vengano rimessi i nostri peccati. Non inganniamoci da soli, l'uomo cerchi di non ingannarsi; e Dio da parte sua non inganna nessuno. È umano adirarsi - magari potessimo non farlo! -, è umano adirarsi: ma la tua ira, che all'inizio è come un piccolo fuscello, non deve essere alimentata da sospetti fino ad arrivare alla trave dell'odio. Una cosa infatti è l'ira, altra è l'odio. Spesso anche il padre si adira contro il figlio senza per questo odiare il figlio; si adira contro di lui per correggerlo. E se si adira per correggerlo, si adira per amore. Perciò è stato detto: Vedi il fuscello nell'occhio di tuo fratello e non vedi la trave che è nel tuo occhio.

Biasimi nell'altro l'ira e tu covi odio dentro te stesso! Rispetto all'odio l'ira è come una pagliuzza. Ma la pagliuzza, se viene alimentata, diventa trave; se invece la togli da te e la getti via, si disperde.

S. Tommaso, in risposta alla ottava proposizione della XII quaestio (S.T.) sull' Ira,  Articolo I, Se ogni ira sia cattiva oppure se qualche ira sia buona, dice:

dalla legge è proibita la vendetta che risulta dal solo livore della vendetta, ma non quella che scaturisce dallo zelo per la giustizia.

Scrive il domenicano Tito Centi, autorevole interprete di San Tommaso, Cristianità n.60 (1980):

Quanto poi all’istinto della vendetta bisogna intendersi, facendo le debite distinzioni, prima di condannarlo sommariamente in blocco, come se si trattasse di un istinto diabolico. San Tommaso, infatti, insegna: trattandosi di un moto di ripulsa naturale di fronte alla cattiveria, esso non può non contenere qualcosa di positivo e di buono. La natura, ricordiamolo, non è opera del diavolo, ma è opera di Dio, il quale ha inserito negli animali l’istinto della difesa, la vis irascibilis, ben distinta dalla vis concupiscibilis.

E ciò non è in contrasto con la virtù della carità, che dispone il cristiano a perdonare le offese ricevute. Perché l’uomo virtuoso e santo «respinge le cose nocive difendendosi, oppure vendicandosi delle ingiurie subite, non con l’intenzione di nuocere, ma con l’intenzione di eliminare il male» Ed è appunto questo il compito della vindicatio, ossia di quella virtù morale, che sta nel giusto mezzo tra la crudeltà di chi gode del male altrui e la tollerante vigliaccheria.

Insomma, per san Tommaso la vindicatio, ossia la brama di veder ristabilita la giustizia con la giusta punizione del delinquente, non è condannabile: purché si metta al primo posto non il male e la sofferenza del colpevole, bensì la sua emenda, oppure «la repressione del male per la pubblica quiete, la tutela della giustizia e dell’onore di Dio».
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Nota di Chiesa e post-concilio
1. Il concetto è tratto dalla perashah (equivale alle nostre letture in quanto si tratta di suddivisione ordinata di pericopi della Scrittura): קְדֹשִׁים Kedoshim, K'doshim = 'santi'. Qadosh = santo. In ebraico la vendetta ha il significato del ripristino della giustizia; esercitato nella קדושה Qedushah = santità.

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