domenica 2 febbraio 2025

Divampa l'incendio. Accorrono i pompieri. Con che estintori?

Mi sono imbattuta in un esempio concreto di quell'affrontare una questione ineludibile aggirando l'ostacolo della denuncia diretta, che noi abbiamo espresso qui. Mentre il discorso sull'ecumenismo è chiaramente formulato [qui] nonché in una miriade di articoli e discussioni di cui è costellato questo nostro percorso, che chi frequenta il blog ben conosce.
Oggetto specifico della mia osservazione di oggi è lo scarno commento di Mons. Antonio Livi, sotto riportato, che rinvia al suo ultimo articolo su la Bussola quotidiana [qui]: Ortodossi: bei gesti, nessun vero passo avanti. [Sull'atteggiamento di Mons. Livi vedi anche]
Ora, se lo stile della comunicazione indiretta - come già osservavo [qui] insieme ad una valutazione panoramica della situazione - denota una estrema forma di riguardo per la persona del papa[1], ciò tuttavia avviene a scapito di una informazione chiara e distinta su ciò che davvero fa problema e relative conseguenze (del resto basta osservare la differenza tra l'immagine scelta a corredo dell'informazione cui mi riferisco (inserita a lato) e le molte altre che hanno fatto il giro del mondo (come quella visibile sotto). Dunque, girare la pizza, invertendo i soggetti e sorvolando su gesti davvero sconcertanti, affermando i principi ma senza mettere in risalto che il comportamento del papa appare ignorarli e oltrepassarli, mi sembra inadeguato rispetto alla gravità della situazione. Siamo certi che tutti i lettori, ma anche gran parte della stessa attuale gerarchia, siano attenti nel cogliere la discrepanza tra evento e principi? 
Dice Mons. Livi: «I gesti di cordialità e di rispetto per il Papa da parte del patriarca di Costantinopoli Bartolomeo, sono una notizia positiva [qui assistiamo all'evidente contrario, con un papa peraltro spoglio di tutte le sue insegne ed un Patriarca rivestito dei simboli della sua dignità]. Ma la dottrina sullo Spirito Santo e la questione del primato nella Chiesa restano i veri nodi che impediscono la piena unità. E su questi le parole di Bartolomeo non segnano alcun progresso reale. La giurisdizione del vescovo di Roma deriva dal dogma e non può essere accantonata senza commettere un grave peccato contro la fede».
Noi - come qualunque fedele non distratto né lontano - non facciamo confusione tra ecumenismo e dialogo interreligioso (uno degli argomenti addotti da Mons. Livi), così come distinguiamo tra normali "gesti di amicizia e rispetto tra istituzioni" (che, è noto, in questo caso non rivestono tutta l'ortodossia, ma costituiscono pur sempre un passo in una certa direzione) e gesti - chiamiamoli "simbolici" - che "parlano" visivamente di "sottomissione" inadeguata, impropria e inopportuna sia rispetto al ruolo del papa che al significato che poi ad essi attribuiscono i media oppure i "commentatori cattolici animati da buone intenzioni ma non hanno le idee chiare sugli scopi dell'ecumenismo". Non sono proprio certi gesti e comportamenti che li autorizzano a pensare che "sia ora di abbandonare il lavoro dei teologi"? E questo non lo ha detto lo stesso papa, che applica la prassi e oltrepassa il diritto e la dottrina, peraltro apostrofata con espressioni di disprezzo, e sta proseguendo nella sua opera di "Grande Riformatore"? E coloro che sono orientati in questa direzione non sono forse i soli ad essere ben lontani dalla consapevolezza che sia "una pia illusione mettere da parte il dogma", ma sono anzi convinti del contrario; tant'è che ormai il magistero pastorale, non più definitorio, lo "fa" e basta, senza codificazioni e neppure spiegazioni, sull'onda del sentimentalismo e della spinta della cultura o dell'ideologia del momento? Certo occorre fare i conti col resto dell'ortodossia e con una Tradizione che ancora "tiene"; ma intanto la china non è di quelle più augurabili e certe deformazioni corrono il rischio di provocare danni non immediatamente riparabili.

Alla fine cui prodest questo dire e non dire, tenendo ben distinto l'autore di ciò che accade dalle conseguenze che ne derivano, cercando di minimizzare la portata degli eventi o tamponare le falle con le parole mentre i fatti smentiscono? Ed è sufficiente riaffermare i principi non intaccabili de jure ma disinvoltamente oltrepassati de facto senza nessuno che finalmente lo dica apertis verbis da una tribuna autorevole?
Non giova certo alla verità né ai fedeli disorientati, che vengono piuttosto rassicurati invece che messi in guardia, mentre una certa gerarchia (non La Chiesa) corre verso il precipizio. O no?
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1. Non è tuttavia mancanza di rispetto e fedeltà esprimere argomentate perplessità sul magistero non infallibile - e tale è quello ordinario, pastorale, quando non ripropone verità dogmatiche - al quale la Lumen Gentium attribuisce «non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà». Il che evidentemente significa che si può e si deve accoglierlo e vagliarlo attraverso la ragione illuminata dalla fede, perché l'assenso non può essere puramente esteriore e disciplinare, ma deve collocarsi nella logica e sotto la spinta dell’obbedienza della fede attinta dal Depositum fidei di cui la Chiesa è custode. (Già detto. Ma repetita iuvant)

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