sabato 27 maggio 2023

A un seminarista a metà strada: vale la pena ricominciare?

Nella nostra traduzione da OnePeterFive emergono le vicende sofferte dei seminaristi costretti a scegliere tra la Tradizione e le derive ingravescenti postconciliari. Qui l'indice degli articoli su Traditionis custodes e successivi.

A un seminarista a metà strada:
vale la pena ricominciare?
Peter Kwasniewski

Un giovane mi ha inviato una lettera in cui esprime la sua perplessità sull'opportunità di entrare in una comunità che celebra entrambe le “forme” della Messa, oppure una esclusivamente tradizionale.

Caro amico,
Grazie per avermi scritto in merito alla sua difficile situazione. Ha trascorso gran parte del suo tempo in seminario, ma ha dei dubbi sul cammino da percorrere. Mi creda, non è solo in questo; molti uomini che si sentono chiamati al sacerdozio sono alle prese con questa domanda se possano o debbano celebrare il Novus Ordo. E non è difficile capire perché si tratta una lotta.

Al punto in cui siamo, decenni dopo che Montini ha imposto i nuovi libri liturgici, siamo ora così ampiamente consapevoli delle carenze e delle deformazioni presenti in tutti i riti "riformati e rinnovati" — specialmente se visti sullo sfondo nitido dei loro augusti predecessori occidentali e paralleli orientali — che è difficile non essere acutamente consapevoli che, riguardo alla liturgia in quanto tale, si sta dando al Signore qualcosa di ripiego offrendogli, per così dire, beni alterati. Sì, l'agnello del sacrificio è ancora presente, ed è per questo che non si tratta di uno spettacolo vuoto, al pari dei servizi protestanti; ma c'è quella dimensione di convenienza e autenticità che va ben oltre la validità giuridica, aprendosi alla pienezza dell'ortodossia, allo spirito di riverenza, pietà e devozione, al nutrimento spirituale. La liturgia è l'icona davanti alla quale il sacerdote trascorrerà la sua vita, e dalla cui rappresentazione sarà plasmato. Desidera apparire un Beato Angelico o un Picasso? (Di seguito fornisco alcune immagini per illustrare il punto.)

In ogni caso, la differenza tra vecchia e nuova liturgia non è una questione di mera estetica, come giustamente lei dice. Si possono vestire in modo abbastanza simile, ma temo che sia come la differenza tra il legittimo erede e il nouveau riche parvenu. L'una ha classe, cultura, buone maniere, una ricca storia familiare, naturalezza disinvolta; l'altra è un villano ben vestito catapultato nella sua posizione dal decreto papale.

Parlando con tanti sacerdoti che celebrano entrambe le “forme” ho appreso che spesso essi soffrono terribilmente per la schizofrenia pratica che ne deriva. In questo rito, mi genufletto subito dopo la consacrazione, per adorare il mio Dio; ma in quell'altro rito lo sollevo subito perché la gente lo veda, anche se ogni fibra del mio essere vuole inginocchiarsi come i Magi. In questo rito, bacio ripetutamente l'altare, donandogli l'ardore della mia fede e il mio desiderio di unione eterna con Cristo, mentre in quell'altro rito, un bacio all'inizio, uno alla fine, e poi basta. Si potrebbero trovare altri esempi ad nauseam.

Non si tratta di due forme dello stesso rito [vedi]; si tratta di due riti diversi che condividono una struttura generica e un'infarinatura di testi, ma per il resto sono mondi diversi da abitare. Mi sembra che i partigiani del biritualismo salvino le loro coscienze o almeno medichino le loro ferite con l'abbondante approvvigionamento di "incenso e campane" (nel senso di enfasi rituale in una dimensione estetica -ndT), che evidentemente assicura il successo. Il che è molto meglio del brutale Novus Ordo nelle zone selvagge di periferia. Una buona dose di riverenza può essere suscitata dall'uso del canto, del latino, ad orientem, dei paramenti e dei vasi liturgici giusti, ecc. Tuttavia, la cosmesi arriva solo a un certo punto quando ci sono profonde differenze nei contenuti tra i messali, i calendari, i mondi delle rubriche e del cerimoniale, e la spiritualità che essi incarnano e imprimono.

Insomma: un sacerdote è sacerdote perché è ordinato per offrire il sacrificio. Tutto il resto deriva da quello. Pertanto, una chiamata al sacerdozio non può essere separata né teoricamente né praticamente dalla questione del sacrificio da offrire – e non si può soltanto “offrire il sacrificio” in senso generico, deve essere sempre all'interno di una certa tradizione, orientale o occidentale; all'interno di un certo rito o uso : romano, ambrosiano, mozarabico, ordinariato anglicano, montiniano (cioè di Paolo VI); e con una dipendenza quotidiana da una regola di vita e di preghiera centrata sulla Messa e sull'Ufficio divino.

Niente di tutto questo le è nuovo. La domanda è, cosa fare? Apprezzo pienamente il desiderio di non reiterare il seminario! Tuttavia, ho incontrato seminaristi più anziani che, dopo alcuni anni di seminario diocesano, hanno deciso di ricominciare da capo in una delle comunità tradizionali: la Fraternità Sacerdotale San Pietro, l'Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, l'Istituto del Buon Pastore, o un monastero come Clear Creek, Norcia o Silverstream, affermano che è stata la decisione migliore che abbiano mai preso. La formazione accademica era di gran lunga superiore e la vita liturgica tradizionale pienamente integrata dava loro una connubio di ardore e pace che non avevano mai sperimentato in tutti gli anni difficili nel tentativo di nascondere i loro veri pensieri e sentimenti. Una solida formazione è fondamento solido di una feconda vita sacerdotale, e se il Signore nella Sua imperscrutabile Provvidenza la porta a un nuovo inizio, benedica il Suo Santo Nome per averle dato quella meravigliosa opportunità di scavare fondamenta più profonde e costruzioni più elevate con il Suo aiuto.

 Per quanto riguarda il clero secolare, il problema enorme dei nostri tempi è, naturalmente, lo stesso episcopato, che ha perso il suo “primo amore”, cioè l'offerta del culto divino nello splendore della verità e in continuità con la tradizione. Mentre ci sono alcune felici eccezioni, la maggior parte dei vescovi nel tempo peggiora, mentre si aggrappa disperatamente al proprio potere e al sogno (piuttosto, un incubo) del Concilio Vaticano II "nuova primavera". Anni fa ho letto il detto “la crisi della Chiesa è una crisi dei vescovi”, e mi sembra proprio esatto. Come dice San Gregorio Nazianzeno:
La luce e l'occhio della Chiesa è il Vescovo. Bisogna dunque che come il corpo è ben diretto finché l'occhio si conserva puro, ma va strabico quando si corrompe, così anche riguardo al Presule può essere, a seconda del suo stato, come ineludibile conseguenza, che la Chiesa naufraghi o si salvi. [1]
Se un giovane conservatore o di mentalità tradizionale sceglie di entrare in un seminario diocesano perché il vescovo in quel momento è buono, come farà a sapere come potrebbe essere il prossimo vescovo? Che dire delle centinaia di seminaristi in tutto il mondo che sono entrati sotto il Summorum Pontificum, ansiosi di imparare e offrire la Messa tradizionale, e poi sono stati ordinati dopo la Traditionis Custodes quando la scure era caduta sulle loro speranze, separando il loro futuro dal passato della Chiesa? Il cammino diocesano è veramente un cammino insidioso, disseminato di immensi ostacoli e pericoli mortali. Ciò non significa che non dovrebbe essere intrapreso da alcuni; ma occorrono nervi d'acciaio e coraggio invincibile, e si deve esser disposti, per esempio, ad allenarsi segretamente per offrire la Messa privata, che nessun prelato terreno può loro togliere.

Tempo fa per la lectio divina leggevo il libro del profeta Geremia e sono rimasto colpito dal modo in cui descrive i governanti e i principi che diventano più testardi e più sicuri mentre la caduta di Gerusalemme si avvicina e gli avvertimenti di Geremia diventano più schietti. Non è esattamente ciò a cui stiamo assistendo? I laici praticanti vedono molto chiaramente cosa sta succedendo, ma i governanti e i principi puntano i piedi e non cambieranno rotta, non si pentiranno della follia della modernizzazione e della pseudo-inculturazione. Quindi la loro casa è condannata e crollerà. Mi stupisce che più vescovi non si siano resi conto del fatto ovvio che se vogliono davvero più sacerdoti, dovranno accogliere giovani uomini che semplicemente non sono interessati al rito papale moderno e voglio celebrare l'antico rito latino. Suppongo che questo dimostri che preferirebbero vedere le loro chiese chiuse e le loro diocesi avvizzire piuttosto che concedere alla liturgia latina un posto d'onore. Questo di per sé la dice lunga, non è vero? Non è esagerato parlare di una silenziosa apostasia della gerarchia. Chiunque sia dedito ad un percorso fallimentare non è impegnato nel Signore della verità.

Nel frattempo, dove si sta verificando la crescita? Nelle comunità tradizionali che, nonostante una precaria esistenza canonica, fioriscono di clero, religiosi e fedeli. Per questo, allora, i giovani pensano seriamente alla Fraternità San Pietro, all'Istituto Cristo Re, all'Istituto del Buon Pastore, ai Figli del Santissimo Redentore, ai Missionari di San Giovanni Battista, al Canonici Regolari della Nuova Gerusalemme, e altri ordini, istituti e comunità fondati sulla roccia del rito latino tradizionale. Offrono qualcosa di assolutamente consistente e coerente, classicamente romano, e c'è una grande tranquillità nel sapere, in anticipo, che non si sarà chiamati a commettere, o tollerare, abusi e aberrazioni liturgiche, che è praticamente il modo più secolarizzato che il clero trascorre per metà della propria vita o più, mentre la coscienza sussurra: “Questo è sbagliato. Perché ne sono partecipe?

Mi sembra, come ultimo punto, che non sia impossibile in buona coscienza entrare a far parte di una comunità che usa entrambi i riti – quello romano e quello papale moderno – purché lo si faccia con la riserva mentale di celebrare il Novus Ordo solo quando richiesto dai propri superiori (allora sarebbe un atto di obbedienza), e solo se non ci fossero abusi liturgici chiesti o attesi da lei. Conosco comunità in cui molti padri hanno una decisa preferenza per l'antico rito e che lo fanno il più spesso possibile privatamente, e lo aincrementano pubblicamente a seconda delle circostanze. Poiché l'antico rito fa già parte della loro vita, lei, come membro, ne sarebbe nutrito sia nelle celebrazioni private che in quelle pubbliche. In tal modo, la sua vita sacerdotale potrebbe ancora organizzarsi attorno alla liturgia tradizionale, con la liturgia riformata come realtà periferica o marginale da tollerare.

Inutile dire che questa non è affatto una soluzione ideale, per tutte le ragioni sopra esposte (e, ancor più in dettaglio, nei miei libri); ma ha un certo richiamo pragmatico e per alcuni potrebbe essere l'unica via praticabile da percorrere. A lungo termine, credo che tali comunità alla fine arriveranno a una visuale e prassi completamente tradizionaliste, o mostreranno almeno rispetto per quei membri che hanno rimorsi di coscienza nell'usare i nuovi libri liturgici.

Spero che alcune di queste riflessioni le saranno utili per compiere i suoi prossimi passi.
Cordiali saluti, in Cristo,
Dottor Kwasniewski
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[1] Citato da San Tommaso nella Catena Aurea in Luca 11.
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A I U T A T E, anche con poco,
l'impegno di Chiesa e Post-concilio per le traduzioni
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2 commenti:

  1. La crisi della Chiesa è crisi sponsale, crisi che dipende a sua volta dal vulnus inferto alla bellezza della famiglia e all'unità coniugale dalla pastorale liberale di derivazione social-modernista-massonica. L'attentato ormai irreparabile, poteva essere evitato se l'amore per lo splendore della verità sponsale avesse caratterizzato la cultura dei vescovi.

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