venerdì 28 luglio 2023

“Solo la religione può creare il vincolo sociale”. Parole di Leone XIII

Riprendo il testo che segue dell'Osservatorio Card. Van Thuân, all'avanguardia per i contenuti sulla dottrina sociale della Chiesa. Usando il motore di ricerca interno (vedi colonna di destra della versione Web del blog)  potete trovare molti precedenti interessanti.

“Solo la religione può creare il vincolo sociale”. Parole di Leone XIII

Pubblichiamo il paragrafo conclusivo dell’articolo di Marco Nardone “Diuturnum illud, 1881. Origine dell’autorità civile” da noi pubblicato nel fascicolo 2/2023 del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” dedicato a “Il progetto sociale di Leone XIII a 120 anni dalla morte (1903-2023). Vedi e acquista qui il fascicolo.

Alcune osservazioni conclusive
Citata nella Gaudium et spes (n. 36) e ripresa nei suoi punti essenziali dal catechismo della Chiesa cattolica (nn. 1898-1903), la Diuturnum illud rimane un caposaldo della Dottrina sociale della Chiesa quanto al fondamento dell’autorità civile. Di essa, tuttavia, il Magistero successivo al Concilio Vaticano II ha lasciato sullo sfondo il motivo del nesso tra quel fondamento e la vera religione, preferendo insistere sulla libertà religiosa e sulla collaborazione tra i due poteri. Ha ribadito, è vero, ed esemplarmente con Benedetto XVI, la necessità di legare l’autorità umana all’autorità divina, in quanto l’ordine morale, dal quale essa trae la propria legittimità e la stessa virtù di obbligare, non si regge che in Dio. Per Leone XIII, però, ordine morale, Dio e religione sono strettamente connessi, tanto che egli volle chiarire proprio questo punto nella prima parte dell’enciclica Au milieu des sollicitudes, espressamente scritta, l’anno successivo (1892), a completamento della Diuturnum Illud.

Solo la religione – dice il Papa – può creare il vincolo sociale”. Scopo della società civile, infatti, è il “perfezionamento morale” dei suoi componenti. Ma “la morale, (…) poiché partecipa ad ogni atto umano, postula necessariamente Dio e, con Dio, la religione, questo sacro vincolo che ha il privilegio di unire a Dio, prima di dar vita a qualsivoglia altro legame (…). Poiché dunque la religione è l’espressione interiore ed esteriore di questa dipendenza che dobbiamo a Dio a titolo di giustizia, ne deriva un impegno tassativo”. L’estromissione di Dio dalla società finisce con l’”annientare (…) lo stesso senso della morale nel più profondo della coscienza”. Per questo la religione è stata sempre e in ogni luogo considerata il fondamento della moralità, sia personale che sociale. Ciò vale a maggior ragione per “la Religione Cattolica (…), per il fatto stesso che è la vera Chiesa di Gesù Cristo (…). Se dunque viene meno questo fondamento”, il popolo non potrà essere salvato “dalla decadenza morale e, forse, dalla dissoluzione”.
 
Prendendo atto, dopo centocinquant’anni, del valore profetico di queste parole, non possiamo evitare di chiederci perché il Magistero postconciliare, proprio contestualmente all’aggravarsi, con la secolarizzazione, della decadenza morale della società, ha sfumato sempre di più l’insegnamento tradizionale della Chiesa circa il legame tra bene comune e ruolo pubblico della religio vera. Legame che, certamente, per essere riconosciuto, suppone la presenza di una società cristiana, che oggi, come già ai tempi della Diuturnum, è solo un ricordo; esso però, ricordava Leone XIII, è nell’ordine delle cose, dal quale non può essere cancellato.
 
La questione è da anni oggetto di un dibattito al quale, in questa sede, non possiamo neppure accennare. Possiamo tuttavia proporre una nota a margine delle considerazioni espresse nella Diuturnum circa la “scelta pastorale” operata dalla Chiesa durante l’impero pagano.
 
La Chiesa, per così dire, giocò d’anticipo: trattava il potere politico non secondo la rappresentazione mitica che esso dava di sé, ma quale era considerato dalle Scritture e delle parole di Cristo, nonché dalla retta ragione, cioè secondo l’ordine naturale quale voluto da Dio. A tal fine insegnava ai Cristiani a rispettarlo come tale, anche se i governanti non ne avevano ancora piena coscienza, e a resistergli quando travalicava i suoi limiti e voleva arrogarsi i diritti di Dio. Così la Chiesa presiedeva al cantiere della società cristiana, e così anche aiutava la potestà politica ad elevarsi all’altezza della sua missione.

Era un metodo realistico, ma non positivistico: attento ai segni dei tempi, ma informato da un ideale di fede e metafisicamene fondato. Un metodo che permise alla Chiesa, in una società non cristiana, di esercitare ugualmente il suo compito di presidio al bene comune e di servire così l’autorità civile quando ancora questa non le riconosceva alcuna autorità. Anche oggi, pur con le dovute differenze, papa Leone indicherebbe forse, e a maggior ragione, la stessa via.
Marco Nardone - Fonte

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