domenica 6 novembre 2022

Mons. Schneider. Il papa ha "piena autorità" ma non può "indebolire l'integrità della fede cattolica"

Il vescovo Athanasius Schneider ha fornito a LifeSiteNews un'analisi (vedi testo completo nella nostra traduzione) in cui discute la natura e i limiti dell'obbedienza al Papa. Citando san Tommaso d'Aquino e altre fonti, spiega che ogni autorità e ogni obbedienza hanno dei limiti. “L'obbedienza”, dice, “non è cieca o incondizionata, ma ha dei limiti. Dove c'è peccato, mortale o meno, non abbiamo semplicemente il diritto, ma il dovere di disobbedire». Qui l'indice dei precedenti. Sul tema delle "due forme" del rito vedi.

«L'autorità è definita dai suoi limiti, e anche l'obbedienza è definita dai suoi limiti. La consapevolezza di questi limiti porta alla perfezione nell'esercizio dell'autorità e alla perfezione nell'esercizio dell'obbedienza».
Il giusto significato dell'obbedienza al Papa

La santa Chiesa è innanzitutto e più radicalmente un'istituzione divina, ed nel suo significato soprannaturale  è un mistero. In secondo luogo, ha anche la realtà umana e visibile, i membri visibili e la gerarchia (papa, vescovo, sacerdote).

Quando la Madre Chiesa sta attraversando una delle crisi più profonde della sua storia, come è nel nostro tempo, dove la crisi tocca in misura spaventosa tutti i livelli della vita ecclesiale, la Divina Provvidenza ci chiama ad amare la nostra Madre Chiesa, umiliata e derisa non in primo luogo dai suoi nemici, ma dall'interno dai suoi pastori. Siamo chiamati ad aiutare la nostra Madre Chiesa, ciascuno al suo posto, ad aiutarla per un vero rinnovamento attraverso la nostra stessa fedeltà all'immutabile integrità della fede cattolica, attraverso la nostra fedeltà alla costante bellezza e sacralità della sua liturgia, la liturgia di tutti i tempi, attraverso la nostra intensa vita spirituale in unione con Cristo, e attraverso atti di amore e di carità.

Il mistero della Chiesa è più grande del solo Papa o del vescovo. A volte papi e vescovi hanno fatto del male alla Chiesa, ma allo stesso tempo Dio si è servito di altri strumenti, spesso semplici fedeli, semplici sacerdoti, o pochi vescovi, per restaurare la santità della fede e della vita nella Chiesa.

Essere fedeli alla Chiesa non significa obbedire interiormente a tutte le parole e agli atti di un Papa o di un Vescovo, poiché il Papa o il Vescovo non coincidono con tutta la Chiesa. E se un Papa o un Vescovo sostiene una via che lede l'integrità della fede e della liturgia, allora non si è in alcun modo obbligati a seguirlo interiormente, perché bisogna seguire la Fede e le norme della Chiesa di tutti i tempi, degli apostoli e dei santi.

La Chiesa cattolica è l'unica Chiesa fondata da Cristo, ed è volontà espressa di Dio che tutti gli uomini diventino membri della Sua unica Chiesa, membri del Corpo mistico di Cristo. La Chiesa non è proprietà privata di un Papa; anzi, egli è solo il vicario, il servo, di Cristo. Pertanto, non si può far dipendere il divenire pienamente cattolici dal comportamento di un Papa particolare. Bisogna sicuramente obbedire al Papa quando propone infallibilmente la verità di Cristo, quando parla ex cathedra, cosa molto rara. Dobbiamo obbedire al Papa quando ci ordina di obbedire alle leggi e ai comandamenti di Dio, [e] quando prende decisioni amministrative e giurisdizionali (nomine, indulgenze, ecc.). Se però un Papa crea confusione e ambiguità circa l'integrità della fede cattolica e della sacra liturgia, allora non bisogna obbedirgli, e bisogna obbedire alla Chiesa di tutti i tempi e ai Papi che, nel corso di due millenni, hanno insegnato costantemente e chiaramente tutte le verità cattoliche nello stesso senso. Verità cattoliche che troviamo espresse nel Catechismo. Bisogna obbedire al Catechismo e alla liturgia di tutti i tempi, che i santi e i nostri antenati hanno seguito.

Insieme ad altre riflessioni si propone nelle righe seguenti un breve riassunto del magistrale intervento del Prof. Roberto de Mattei, “Obbedienza e Resistenza nella storia della Chiesa”, tenuto a Roma Life Forum, 18 maggio 2018 [qui].

È falsa obbedienza quando una persona divinizza uomini che rappresentano l'autorità nella Chiesa (papa o vescovo), quando questa persona accetta ordini e acconsente alle affermazioni dei suoi superiori, che evidentemente ledono e indeboliscono la chiarezza e l'integrità della fede cattolica.

L'obbedienza ha un fondamento, uno scopo, condizioni e limiti. Solo Dio non ha limiti: è immenso, infinito, eterno. Ogni creatura è limitata e quel limite definisce la sua essenza. Pertanto, sulla terra non esiste né autorità illimitata, né obbedienza illimitata. L'autorità è definita dai suoi limiti, e anche l'obbedienza è definita dai suoi limiti. La consapevolezza di questi limiti porta alla perfezione nell'esercizio dell'autorità e alla perfezione nell'esercizio dell'obbedienza. Il limite insuperabile dell'autorità è il rispetto della legge divina dell'integrità e della chiarezza della fede cattolica, e il rispetto di questa legge divina dell'integrità e della chiarezza della fede cattolica è anche il limite insuperabile dell'obbedienza.

San Tommaso pone la domanda: "I sudditi sono tenuti a obbedire in tutto ai loro superiori?" ( Summa teologiae, II-IIae, q. 104, a. 5); la sua risposta è negativa. Come spiega, le ragioni per cui un soggetto non può essere obbligato a obbedire in ogni cosa al suo superiore sono duplici. Primo: per ordine di un'autorità superiore, dato che la gerarchia delle autorità deve essere rispettata. Secondo: se un superiore comanda a un suddito di fare cose illecite, ad esempio quando i figli non sono tenuti a obbedire ai genitori in materia di contrarre matrimonio, preservare la verginità o simili. Conclude san Tommaso: «L'uomo è soggetto a Dio in modo assoluto, e in tutte le cose, interne ed esterne: è quindi tenuto a obbedire a Dio in tutte le cose. Tuttavia, i sudditi non sono tenuti a obbedire ai loro superiori in tutte le cose, ma solo in alcune cose. (…) Si possono quindi distinguere tre tipi di obbedienza: il primo, sufficiente alla salvezza, obbedisce solo nelle questioni obbligatorie; il secondo, essendo perfetto, obbedisce in tutte le cose lecite; il terzo, essendo disordinato, obbedisce anche nelle cose illecite» (Summa theologiae , II-IIae, q. 104, a. 3).

L'obbedienza non è cieca o incondizionata, ma ha dei limiti. Dove c'è peccato, mortale o meno, non abbiamo semplicemente il diritto, ma il dovere di disobbedire. Ciò vale anche nelle circostanze in cui è comandato di fare qualcosa di dannoso per l'integrità della fede cattolica o la sacralità della liturgia. La storia ha dimostrato che un vescovo, una conferenza episcopale, un Concilio, [e] anche un Papa hanno pronunciato errori nel loro magistero non infallibile. Cosa dovrebbero fare, in tali circostanze, i fedeli? Nelle sue diverse opere, san Tommaso d'Aquino insegna che, dove la fede è a rischio, è lecito, anzi proprio, resistere pubblicamente a una decisione papale, come fece san Paolo a san Pietro, primo papa. Infatti «san Paolo, che era soggetto a san Pietro, lo rimproverò pubblicamente per un imminente rischio di scandalo in materia di fede. Summa theologiae, II-II, q. 33, a. 4, annuncio 2).

La resistenza di san Paolo si manifestò come una correzione pubblica di san Pietro, il primo papa. San Tommaso dedica un'intera domanda alla correzione fraterna nella Summa. La correzione fraterna può essere diretta anche dai sudditi ai superiori, e dai laici contro i prelati. “Poiché però un atto virtuoso ha bisogno di essere moderato dalle debite circostanze, ne consegue che quando un suddito corregge il suo superiore, lo debba fare in modo conveniente, non con impudenza e durezza, ma con mansuetudine e rispetto” ( Summa theologiae , II-II, q. 33, a. 4, ad 3). Se c'è un pericolo per la fede, i sudditi sono tenuti a rimproverare i loro prelati, compreso il Papa, anche pubblicamente: «Perciò, a causa del rischio di scandalo nella fede, Paolo, che era infatti soggetto a Pietro, lo rimproverò pubblicamente ” (ibidem ).

La persona e l'ufficio del Papa ha il suo significato nell'essere solo il Vicario di Cristo, uno strumento e non un fine, e come tale questo significato va usato, se non si vuole capovolgere il rapporto tra i mezzi e il fine. È importante sottolinearlo in un momento in cui, soprattutto tra i cattolici più devoti, c'è molta confusione al riguardo. E anche l'obbedienza al Papa o al Vescovo è uno strumento, non un fine.

Il Romano Pontefice ha piena e immediata autorità su tutti i fedeli, e non c'è autorità sulla terra a lui superiore, ma non può, né con affermazioni errate e/o ambigue, modificare e indebolire l'integrità della fede cattolica, la costituzione divina della la Chiesa, o la tradizione costante della sacralità e del carattere sacrificale della liturgia della Santa Messa. Se ciò accade, vi è la legittima possibilità e dovere dei vescovi e anche dei fedeli laici non solo di presentare appelli privati ​​e pubblici e proposte di correzioni dottrinali, ma anche di agire nella “disobbedienza” di un ordinamento pontificio che cambia o indebolisce l'integrità della fede, della costituzione divina della Chiesa e della liturgia. Questa è una circostanza molto rara, ma possibile, che non viola, ma conferma, la regola della devozione e dell'obbedienza al Papa che è chiamato a confermare la fede dei suoi fratelli. Tali preghiere, appelli, proposte di correzioni dottrinali e una cosiddetta "disobbedienza" sono, al contrario, un'espressione di amore per il Sommo Pontefice per aiutarlo a convertirsi dal suo comportamento pericoloso nel trascurare il suo dovere primario di confermare tutta la Chiesa nella fede in modo inequivocabile e vigoroso.

Bisogna anche ricordare quanto insegna il Concilio Vaticano I: «Lo Spirito Santo è stato promesso ai successori di Pietro non perché, mediante la sua rivelazione, facessero conoscere qualche nuova dottrina, ma perché, mediante il suo aiuto, custodissero religiosamente e esponessero fedelmente la rivelazione o deposito della fede trasmessa dagli apostoli» (Concilio Vaticano I, Costituzione dogmatica Pastor aeternus, cap. 4).

Da qualche secolo nella vita della Chiesa prevale un positivismo giuridico, unito a una specie di papolatria. Tale atteggiamento tende a ridurre gli ordini esteriori del superiore e la legge a mero strumento nelle mani di coloro che detengono il potere, dimenticando il fondamento metafisico e morale della legge stessa. Da questo punto di vista legalistico, che ormai permea la Chiesa, ciò che l'autorità promulga è sempre giusto.

I trattati spirituali tradizionali ci insegnano come obbedire alla Chiesa e al Papa, o al vescovo. Tuttavia, si riferiscono ai tempi di normalità, quando il Papa e i vescovi hanno difeso e protetto valorosamente e senza ambiguità l'integrità della fede e della liturgia. Viviamo ora, ovviamente, nel tempo eccezionale di una crisi globale della fede a tutti i livelli della Chiesa. Un fedele cattolico deve riconoscere l'autorità suprema del Papa e il suo governo universale. Sappiamo però che, nell'esercizio della sua autorità, il Papa può commettere abusi di autorità a danno evidente della fede cattolica e della sacralità della liturgia della Santa Messa, come purtroppo è avvenuto nella storia. Vogliamo obbedire al Papa: tutti i Papi, compreso l'attuale Papa; ma se, nell'insegnamento di qualche Papa, troviamo una contraddizione evidente, la nostra regola di giudizio segue la tradizione bimillenaria della Chiesa, cioè il costante insegnamento dei Papi nel corso dei secoli e dei millenni.

Secondo padre Enrico Zoffoli [qui], i mali peggiori della Chiesa non derivano dalla malizia del mondo, dall'ingerenza o dalla persecuzione dei laici da parte delle altre religioni, ma soprattutto dagli elementi umani che compongono il Corpo Mistico: i laici e il clero. «È la disarmonia prodotta dall'insubordinazione dei laici all'opera del clero e del clero alla volontà di Cristo» ( Potere e obbedienza nella Chiesa, Milano 1996, p. 67):
All'autorità di un Papa o di un Vescovo che eccede i limiti della legge divina dell'integrità e della chiarezza della fede cattolica, si deve opporre una ferma resistenza, che può diventare pubblica. Questo è l'eroismo del nostro tempo, la via più grave della santità oggi. Diventare santi significa fare la volontà di Dio; fare la volontà di Dio significa obbedire sempre alla sua legge, in particolare quando ciò è difficile o quando ciò ci pone in conflitto con uomini che, pur in quanto legittimi rappresentanti della sua autorità sulla terra (papa, vescovo), purtroppo diffondono errori o indeboliscono l'integrità e la chiarezza della fede cattolica.
Tali momenti sono molto rari nella storia della Chiesa, eppure sono avvenuti, come è evidente agli occhi di tutti, accade anche nel nostro tempo.

Molti, nel corso della storia, hanno manifestato comportamenti eroici, resistendo alle leggi ingiuste dell'autorità politica. Ancora maggiore è l'eroismo di coloro che hanno resistito all'imposizione da parte dell'autorità ecclesiastica di dottrine che divergono dalla costante Tradizione della Fede e dalla Liturgia della Chiesa. La resistenza filiale, devota, rispettosa non porta all'allontanamento dalla Chiesa, ma moltiplica l'amore per la Chiesa, per Dio, per la sua Verità, perché Dio è fondamento di ogni autorità e di ogni atto di obbedienza.

A causa dell'amore per il ministero pontificio, dell'onore della Sede Apostolica e della persona del Romano Pontefice alcuni santi, ad esempio santa Brigida di Svezia e santa Caterina da Siena, non hanno esitato a ammonire i Papi, a volte anche in termini un po' forti, come possiamo vedere santa Brigida riportando le seguenti parole del Signore, rivolte a papa Gregorio XI: «Incominciate a riformare la Chiesa che ho acquistato con il mio stesso sangue, affinché sia ​​riformata e ricondotta spiritualmente al suo stato originario di santità. Se non obbedisci a questa mia volontà, allora puoi essere certo che sarai da me condannato davanti a tutta la mia corte celeste con lo stesso tipo di sentenza e di giustizia spirituale con cui si condanna e punisce un prelato mondano che deve essere spogliato del suo rango. Viene pubblicamente spogliato del suo sacro abito pontificio, sconfitto, e maledetto. Questo è quello che ti farò. Ti manderò lontano dalla gloria del cielo. Tuttavia, Gregorio, figlio mio, ti esorto ancora a convertirti a me con umiltà. Ascolta il mio consiglio” (Libro dell'Apocalisse, 4, 142).

Santa Caterina da Siena, Dottore della Chiesa, rivolse al papa Gregorio XI il seguente brusco monito, chiedendogli di riformare vigorosamente la Chiesa o, se non lo avesse fatto, di rinunciare al pontificato: «Santissimo e dolcissimo padre, la tua povera indegna figlia Caterina in Cristo dolce Gesù, si raccomanda a te nel suo Preziosissimo Sangue. La verità divina esige che tu esegua giustizia sull'abbondanza di molte iniquità commesse da coloro che sono nutriti e pascolati nel giardino della Santa Chiesa. Poiché Egli ti ha dato autorità e tu l'hai assunta, dovresti usare la tua virtù e potenza; e se non sei disposto ad usarle, sarebbe meglio tu rinunciassi a ciò che hai assunto; sarebbe più onore a Dio e salute alla tua anima”.

Quando coloro che hanno autorità nella Chiesa (Papa, Vescovi), com'è il caso nel nostro tempo, non adempiono fedelmente il loro dovere di custodire e difendere l'integrità e la chiarezza della fede cattolica e della liturgia, Dio chiama i subordinati, sovente i piccoli e semplici della Chiesa, per sopperire ai difetti dei superiori, mediante appelli, proposte di correzione e, con grande forza, mediante sacrifici vicari e preghiere.

Durante la profonda crisi della Chiesa del Quattrocento, dove l'alto clero spesso dava cattivo esempio e veniva gravemente meno ai propri doveri pastorali, Nicola cardinale di Cusa (1401-1464) fu profondamente commosso da un sogno che gli mostrava la realtà spirituale del potere dell'offerta di sé, della preghiera e del sacrificio vicario. Vide in sogno la seguente scena: Più di mille suore stavano pregando nella chiesetta. Non erano in ginocchio ma in piedi. Stavano a braccia aperte, i palmi rivolti verso l'alto in un gesto di offerta. Nelle mani di una suora magra, giovane, dall'aspetto infantile, Nicola vide il papa. Si poteva vedere quanto fosse pesante questo carico per lei, ma il suo viso irradiava un bagliore gioioso. Questo atteggiamento dovremmo emulare.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

Nessun commento:

Posta un commento