lunedì 5 giugno 2023

I seminari della «terza via»: fallimento riconosciuto e fallimento annunciato

Grazie a Res Novae, torniamo a parlare del problema dei seminari. Precedenti qui - qui.
I seminari della «terza via»:
fallimento riconosciuto e fallimento annunciato


In uno studio condotto sui sacerdoti della generazione Giovanni Paolo II, la ricercatrice Céline Béraud rileva il paradosso di questi preti, che, allo stesso tempo, evidenziano un’ambizione estremamente moderna di trovare la propria realizzazione nell’esercizio del sacerdozio e quella invece di ripristinare l’ideale sacerdotale tridentino[1].

La pubblicazione di questo studio risale al 2006 ed è il frutto di un’indagine condotta dall’autrice tra i preti delle diocesi di Parigi e di Valenza, ordinati da meno di dieci anni e di età «non superiore ai 40». Anche se il sacerdozio è stato particolarmente attaccato negli ultimi anni, soprattutto a seguito degli scandali per abusi sessuali ed a seguito del Rapporto della Commissione Sauvé, ci si può scommettere che la realtà non è stata profondamente modificata, salvo il fatto di doverla rafforzare ulteriormente sul fronte «neo-tridentino» dei preti detti, loro, della «generazione Benedetto XVI».

Se Céline Béraud compie un’osservazione interessante e pone in luce aspetti «tipici» dei sacerdoti degli Anni 2000, affronta poco invece la questione relativa alla loro formazione ed, in particolare, relativa agli ambienti di istruzione sacerdotale, come se appartenessero ad una sorta di generazione spontanea, nata unicamente dall’ammirazione verso Giovanni Paolo II e dal carisma personale che il papa polacco ha esercitato nel corso del suo lungo pontificato.

Tuttavia, alcuni seminari hanno cercato di incarnare questa sorta di «terza via», consistita nel voler coniugare una certa modernità con l’ideale sacerdotale evidenziato dal concilio di Trento e dai grandi apostoli della Controriforma. Senza pretendere di proporre uno studio esaustivo, vorremmo provare qui a fornire qualche esempio di questi seminari della «terza via».

Precisiamo subito che con «terza via», termine poco soddisfacente ma se non altro utile, intendiamo definire questo tentativo generale, incarnato da Giovanni Paolo II e dai vescovi da lui nominati (in Francia, in primo luogo, dal cardinale Jean-Marie Lustiger, arcivescovo di Parigi) di trovare una via media, adagiata su di un’interpretazione del Vaticano II nella linea del «né, né»: né rifiuto del Concilio, né passi in avanti troppo spinti.

A questo proposito, non citeremo qui Ecône e gli altri seminari della Fraternità San Pio X, né quelli delle comunità Ecclesia Dei, né inoltre la formazione sacerdotale ricevuta dai sacerdoti delle comunità religiose, essendo tutto ciò in qualche modo fuori tema, pur avendo un peso importante nello stimolare l’istituzione dei centri di formazione della «terza via».

I seminari della «terza via» riposti nel cammino comune
Paray-le-Monial – Fin dal 1969, una delle prime iniziative a veder la luce fu quella del superiore dei cappellani di Paray-le-Monial, nella diocesi di Autun, Padre Jean Ladame, specialista in apparizioni del Sacro Cuore. Quest’uomo, considerato a Roma come pio e fedele, all’epoca riunì alcuni ragazzi desiderosi di prepararsi al sacerdozio al di fuori delle strutture diocesane, colpite in pieno dal vento della rivoluzione conciliare. Non v’era in Padre Ladame il rifiuto del Concilio o della nuova messa, v’era invece la preoccupazione di evitare la rottura con tutto il passato della Chiesa. Propose un anno di spiritualità o di propedeutica in applicazione del decreto conciliare Optatam totius sulla formazione dei preti (n. 12).

L’iniziativa di Padre Ladame venne più tollerata che incoraggiata. Nel 1974 è stata ripresa in mano da Padre Guy Bagnard, che ne promosse un primo ciclo, integrando, non senza difficoltà e critiche, il seminario di Paray-le-Monial nella vita della Chiesa di Francia. I seminaristi, che seguivano la prima parte dei loro studi a Paray-le-Monial, venivano poi inviati per il secondo ciclo nei seminari delle proprie diocesi, il più delle volte peraltro all’interno di seminari interdiocesani o presso il seminario francese di Roma. Avendo ricevuto una formazione classica, improntata per lo più alla Scuola francese di spiritualità, sensibile alla liturgia nuova celebrata con rispetto, i giovani seminaristi provenienti da Paray-le-Monial dovevano poi integrarsi o esser integrati obbligatoriamente ad una formazione legata alla «pastorale» della propria diocesi. Il risultato non è stato sempre convincente. Alcuni si sono ritirati presso comunità religiose, altri sono stati allontanati, anche dopo il diaconato, mentre altri ancora, molto semplicemente, hanno reso le armi e sono tornati alla vita laicale.

Parigi – A Parigi, nel 1984, il cardinal Lustiger, in carica dal 1981, ha ripreso in mano la formazione dei suoi seminaristi. Ha avviato una strategia di aggiramento della formazione impartita presso il seminario d’Issy-les-Moulineaux così come presso il seminario di Carmes (Istituto Cattolico di Parigi). Piuttosto d’opporsi frontalmente a queste istituzioni, egli ha ampliato l’offerta e privilegiato la nuova struttura, che stava realizzando.

Al tradizionale seminario unico, che riunisce i candidati al sacerdozio e l’équipe di professori fissi, egli ha preferito la creazione di piccole case. Ha istituito la Casa Sant’Agostino, nella quale ha proposto un anno di propedeutica, poi ha sviluppato altre sette case, raggruppanti ciascuna una decina di seminaristi, i quali si ritrovavano presso la Scuola cattedrale, oggi Collegio dei Bernardini (facoltà Notre-Dame), per seguirvi la propria formazione intellettuale.

La formula, nuova nel contesto dell’epoca ma ispirata al Medioevo, riscosse un certo successo. Rispondeva ad un’esigenza molto attuale di prossimità e d’esperienza di vita in un piccolo gruppo, offrendo allo stesso tempo una formazione considerata più «classica» di quella offerta a Issy-les-Moulineaux o a Carmes.

L’esperienza Lustiger è durata 24 anni (1981-2005), corrispondenti all’incirca al regno di Giovanni Paolo II. Essa si riassume in tre cifre: dalla cinquantina di seminaristi dell’epoca del cardinal Marty, si è saliti agli oltre cento seminaristi di fine Anni Ottanta, per ripiombare ad una cinquantina all’inizio degli Anni 2000.

Fréjus-Tolone – Più o meno nello stesso periodo, nel 1983, mons. Joseph Madec, appena insediato come vescovo di Fréjus-Tolone, decise la riapertura del seminario di La Castille, prima con un anno di propedeutica e successivamente con gli altri anni. Il suo successore dal 2000, mons. Dominique Rey, ha proseguito con tale slancio, avendo a cuore l’accoglienza dei candidati al sacerdozio delle differenti comunità religiose, unitesi alla diocesi. Aperto al mondo tradizionale, mons. Rey non ha esitato, in questi ultimi anni, a conferire la direzione degli studi all’abate Dubrule dei Missionari della Misericordia, comunità che celebra il rito antico. Se tale seminario diocesano ha potuto vantare nel 2022 una cinquantina di seminaristi e quasi una decina in propedeutica, Roma nondimeno ha proibito l’ordinazione di quattro preti e sei diaconi nel mese di giugno dello stesso anno. Tuttavia, non tutto è ancora perduto per il seminario di La Castille, dove i Missionari della Misericordia sono sempre presenti e dove sono ancora possibili diversi sviluppi.

Ars – È un’altra la strategia perseguita da mons. Guy Bagnard, quando è stato nominato vescovo di Belley nel 1987 da papa Giovanni Paolo II. L’anno seguente ha istituito ad Ars il seminario internazionale san Giovanni Maria Vianney, così da offrire una formazione sacerdotale ai giovani di tutto il mondo, che desiderassero diventare sacerdoti. Il ciclo completo di formazione (dalla propedeutica alla teologia) vi viene proposto sotto l’egida della Società Jean-Marie Vianney, divenuta nel 2002 associazione sacerdotale pubblica di diritto pontificio. Essa ha come scopo quello di sostenere i preti diocesani nel loro ministero, permettendo loro di vivere un ideale sacerdotale comune, qualunque sia la loro destinazione. 25 anni dopo la sua fondazione, nel 2016, la Società Jean-Marie Vianney raggruppava 83 sacerdoti distribuiti in 32 diocesi, in Francia e all’estero.

Bloccati o rallentati da Roma (Fréjus-Tolone), messi in disparte per mancanza di sostegno episcopale dopo la partenza del vescovo fondatore (Bellay-Ars) o troppo legati al carisma del fondatore (Parigi), totalmente reintegrati all’interno dell’attuale sistema dei seminari francesi (Paray-le-Monial), la maggior parte dei seminari della «terza via» segnano il passo e sembrano avviluppati nelle contraddizioni proprie del «né, né». Si è qui lontani dai seminari della Riforma tridentina, che si basavano su di un’esigenza spirituale forte, comunitaria e personale, su di un insegnamento dottrinale esigente e su di un’identificazione alquanto sacralizzante con Cristo sacerdote. Tale via media è apparsa chiaramente per ciò che era: una via di mezzo, in tutti i sensi. E ci si ricorderà, a mo’ di paragone (e pur con i suoi limiti) che fu, in particolare, per aver constatato il fallimento della via media di Pusey e della sua corrente anglo-cattolica che il futuro cardinale Newman si ricongiunse con la Chiesa cattolica.

Un tentativo ancora attivo: il seminario della Comunità Saint-Martin
Gli esempi di Paray-Le-Monial, Parigi, Tolone e Ars s’iscrivono tutti, poco o tanto, in un contesto diocesano o interdiocesano, in ogni caso legato ad un vescovo. Il caso della Comunità Saint-Martin è diverso. Istituita nel 1976 dal sacerdote Jean-François Guérin, questa fondazione, divenuta da allora associazione sacerdotale pubblica di diritto pontificio, ha come scopo quello di formare dei preti e dei diaconi inviati in piccole comunità al servizio delle diocesi. È stata in principio accolta dal cardinal Siri, arcivescovo di Genova (Italia), prima di stabilire il suo primo apostolato in Francia presso la diocesi di Fréjus-Tolone nel 1984. La sua casa di formazione, inizialmente installata a Candé, nella diocesi di Tours, nel 1993, dal settembre 2014 si trova a Évron, nella diocesi di Laval.

Da notare che, secondo i loro documenti interni, «la Scuola superiore di filosofia e teologia» d’Évron, cioè il seminario, «è affiliata alla facoltà di teologia della Pontificia Università Lateranense» e che i suoi statuti prevedono ch’essa possa formare, oltre ai membri della Comunità, «tutti i candidati agli Ordini che i vescovi volessero affidare loro». Oltre all’esplicito riferimento a san Tommaso d’Aquino, il Vaticano II funge da bussola altrettanto esplicita per gli studi all’interno del seminario.
Nel 2021, secondo il quotidiano La Croix, 168 preti della Comunità Saint-Martin svolgevano il proprio ministero in trenta diocesi. Sempre secondo tale fonte, «la comunità potrebbe rappresentare tra il 20 ed il 40% del clero attivo nel giro di trent’anni, quando i sacerdoti nati negli Anni Cinquanta non ci saranno più»[2]. Una prospettiva rafforzata dal fatto che un centinaio di seminaristi si stanno preparando al sacerdozio proprio tra le mura del seminario d’Évron. Sta di fatto, come ha notato La Croix, che in Francia «gli ingressi in seminario si sono divisi per dieci nel giro di mezzo secolo (una realtà che Saint-Martin non cambia). La Comunità si contenta di attirare gran parte delle vocazioni rimaste, per la maggior parte provenienti da famiglie cattoliche classiche, ove la sacralità della messa e la figura del prete rimangono centrali. In questi ultimi anni, altri seminari hanno assunto questo ruolo come quello di Belley-Ars o di Tolone. Ormai, un quinto dei sacerdoti consacrati nel 2021 giunge da Saint-Martin».

Nel contesto presente, la Comunità Saint-Martin sembra dunque fare eccezione, al punto da spingere lo stesso quotidiano La Croix a interrogarsi e da esser parsa a numerosi vescovi come un salvagente. Resta il fatto di come le stesse cause producano inevitabilmente i medesimi effetti, un’iniziativa conservatrice, per quanto particolarmente tipicizzata, non può che fallire nel produrre una controriforma. Le sue difficoltà giungono sicuramente dalla forma particolare che assume in essa l’incarnare la via media. Certo, latino, gregoriano e san Tommaso d’Aquino in seminario, ma celebrazioni conformi alla pastorale attuale delle diocesi nell’apostolato. Con un solo, netto rifiuto… quello di celebrare anche secondo la liturgia tradizionale. In una parola, una grande frattura permanente ed, alla fine, dolorosa.
Pierre Benoît
___________________________
[1] Céline Béraud, «Prêtres de la génération Jean-Paul II: recomposition de l’idéal sacerdotal et accomplissement de soi» [«Preti della generazione Giovanni Paolo II: ricomposizione dell’ideale sacerdotale e realizzazione di sé»], Archivi di scienze sociali delle religioni, 133 | gennaio – marzo, 2006 
[2] Mikael Corre, «Communauté Saint-Martin, l’avenir de l’Église de France?» [«Comunità Saint-Martin, avvenire della Chiesa di Francia?»], La Croix, 20/09/2021.

Nessun commento:

Posta un commento