lunedì 26 giugno 2023

La restaurazione, non la riforma, è l'unica via da seguire

Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement la Lettera del prof. Kwasniewski a un sacerdote che si adopera per il graduale miglioramento della liturgia riformata in luogo del semplice ritorno o ripristino del rito romano dei secoli. Qui l'indice degli articoli su Traditionis custodes e successive restrizioni. Vedi anche mie riflessioni del 2011, tuttora valide, sulla cosiddetta 'Riforma della riforma' qui.

La restaurazione, non la riforma, è l'unica via da seguire
Dato il successo della seconda puntata di “Mass of the Ages", mi è parso opportuno condividere la seguente lettera, basata su una lettera inviata qualche tempo fa a un prete che aveva sostenuto che avrei dovuto essere più favorevole alla “Riforma della Riforma” come un modo per ricollegare la nuova liturgia a quella vecchia – la via del miglioramento graduale piuttosto che del semplice ritorno o restaurazione.
Caro padre Hermes,
mentre sa che apprezzo la sua paterna sollecitudine, e considero sempre con grande rispetto ciò che ha da dire, in questo caso le nostre divergenze non possono essere facilmente risolte.

L'inconcepibile marea di innovazioni e archeologismi [insano archeologismo liturgico, tendenza modernista così definita dalla Mediator Dei -ndT] di Paolo VI, spinto dall'esercizio abusivo del suo potere, non può che nuocere all'identità, alla coerenza e alla missione della Chiesa. Non c'è futuro per una liturgia che ha reciso i suoi legami con il passato, il suo legame con la Fede di ogni generazione, dispiegatasi attraverso i secoli.

Il sacrificio sacramentale compiuto dalla doppia consacrazione è sempre gradito a Dio in sé stesso. Nella misura, però, che il nuovo rito non rispetta i doni della tradizione che Nostro Signore stesso ha ispirato nella sua Chiesa e non gli rende, qui e ora, l'onore e la riverenza che gli sono dovuti nel nostro culto esteriore, in quella stessa misura non piace allo stesso Signore della storia e della santità, e non dovrebbe continuare ad esistere.

Come è stato dimostrato ormai troppe volte per contarle (Pristas, Cekada, Fiedrowicz e Hazell sono nomi che vengono subito in mente), la moderna lex orandi è carente nei suoi testi, rubriche e cerimonie; non riesce a incarnare adeguatamente e a comunicare chiaramente la piena lex credendi della Chiesa cattolica. Questa è una ferita oggettiva nel Corpo di Cristo e non può essere mascherata con intenti caritatevoli o miglioramenti surrettizi.

Vale la pena sottolineare che la rivista Notitiae, che ormai da decenni fornisce le linee guida ufficiali per il Novus Ordo, ha affermato ripetutamente che gli elementi del vecchio messale non avrebbero mai dovuto essere incorporati nel nuovo e che il celebrante non dovrebbe farlo. Questo avveniva nei giorni in cui la rottura era chiaramente ammessa, prima che per un po' si assumesse l'atteggiamento politico di negare che ci fosse stata una rottura. Certo ora ci troviamo allo stesso punto:
Non va mai dimenticato che il Messale di Papa Paolo VI, dall'anno 1970, ha preso il posto di quello che viene impropriamente chiamato “il Messale di San Pio V” e che lo ha fatto totalmente, sia nei testi che nelle rubriche. Dove le rubriche del Messale di Paolo VI non dicono nulla o dicono poco nello specifico in alcuni luoghi, non è quindi da dedurre che si debba seguire l'antico rito. Di conseguenza, i molti e complessi gesti di incensazione secondo le prescrizioni del Messale anteriore (cfr Missale Romanum, TP Vaticanis, 1962: Ritus servandus VII et Ordo Incensandi, pp. LXXX-LXXXIII) non devono essere ripetuti. [ Notitiae 14 (1978): 301–302, n. 2]
Come si diceva nella risposta n. 2 del Commentario Notitiae 1978, p. 301: laddove le rubriche del Messale di Paolo VI non dicono nulla, non si deve quindi dedurre che sia necessario osservare le rubriche antiche. Il Messale restaurato non integra quello antico ma lo sostituisce. In realtà il Messale indicava anticamente all'Agnus Dei, di colpire tre volte il petto, e nel pronunciare il triplice Domine, non sum dignus, colpendo il petto... dice tre volte. Poiché, però, il nuovo Messale non dice nulla al riguardo (OM 131 e 133), non c'è motivo di supporre che a queste invocazioni debba essere aggiunto alcun gesto. [ Notitiae 14 (1978): 534–535, n. 10]
Come generalmente accade, [il modo in cui un sacerdote alza le mani e le unisce nel Prefazio o nella benedizione finale] è una questione di abitudine che viene dalle rubriche del Messale precedente. Si osservino però le indicazioni dell'OM... Così non si conservi il rito antico... [ Notitiae 14 (1978): 536–537, n. 12]
Mentre sono pienamente disposto a mettere in discussione la credibilità della Congregazione per il Culto divino e persino la posizione canonica delle sue decisioni, non c'è dubbio che citazioni come quelle precedenti esprimano bene l'intenzione dominante di rottura liturgica che ha generalmente animato il Vaticano fino ad oggi, con una breve e parziale tregua sotto Benedetto XVI. Ciò per cui non vedo spazio è una graduale “tridentinizzazione” del nuovo rito, perché ciò non è né coerente con le sue rubriche né possibile, in ultima analisi, date le sue ampie mutazioni genetiche. Le specie eucaristiche possono essere le stesse ma le specie liturgiche sono diverse, e non c'è percorso evolutivo dall'una all'altra.

Pertanto, mentre simpatizzo con un sacerdote che desidera fare del suo meglio per offrire il Novus Ordo nel miglior modo possibile, con la giusta intenzione e spirito, è difficile trovare ragioni storiche o teologiche oggettive per sostenere un tale approccio come politica formale o principi su cui basare un progetto, ciò che intendo con la frase “Riforma della Riforma”: un modo per ricollegare il Novus Ordo al Vetus Ordo o, per parlare più sinceramente, per ricollegarlo alla tradizione liturgica organicamente sviluppata dell'Occidente, da cui si è totalmente allontanato per il semplice fatto che tutto è stato sottoposto al vaglio degli esperti e filtrato attraverso il loro sistema ideologico. Tutto ciò che rimane è completamente moderno, anche gli elementi che vengono dal passato.

Se la liturgia non è trattata come un dono della tradizione che riceviamo umilmente, diventa un prodotto che realizziamo, qualcosa  che convalidiamo, a cui diamo diritti e che potremmo altrettanto facilmente buttar via. Mi sembra che questo sia parte del motivo per cui alcuni ecclesiastici, come p. Bryan Houghton e p. Roger-Thomas Calmel [qui], han detto fin dal primo momento che non potevano, in buona coscienza, celebrare il Novus Ordo.

Penso che un prete pecchi dicendolo? No, se nella sua mente e nel suo cuore lo considera un rito degno e accettabile per offrire il sempre degno sacrificio della Croce. Ero solito pensare come lei su questo argomento, come si può trovare in molti miei articoli, ma il mio cambiamento di pensiero e le ragioni per esso sono state articolate non meno chiaramente.

Quello che ho scritto sopra le suonerà senza dubbio come un'esagerazione, un non riuscire a fare varie distinzioni. Come tomista, sono in grado di fare molte distinzioni, ma le distinzioni non sono magiche; non possono superare certi tipi di difficoltà fondamentali. Non sono d'accordo con l'assunto (neo?)scolastico che la Chiesa non possa mai sbagliare in materia di disciplina universale, almeno nel senso di imporre al popolo qualcosa che cagioni problema e danno, anche se, in senso stretto, fosse esente da eresia. Dedurre l'inerranza nella disciplina dalla dottrina dell'infallibilità papale richiede una serie di presupposti e molto ottimismo; la sua negazione non minaccia l'indefettibilità della Chiesa. C'è un'ipotesi in particolare che merita di essere respinta, e cioè che la liturgia sia semplicemente una questione meramente disciplinare e riformabile che i papi possano completamente dismettere. Nella misura in cui un papa ha parlato o agito come se avesse un potere assoluto sulla tradizione depositatasi nei secoli, mina la natura del suo stesso ufficio. In correlazione, sicuramente saremmo in disaccordo anche sull'infallibilità delle canonizzazioni.

Credo che un certo livello di disordine sia compatibile con il governo umano e il sostegno divino della Chiesa, a condizione che l'accesso ai mezzi di salvezza, in particolare la grazia sacramentale, rimanga disponibile per coloro che lo cercano, e che la tradizione della Chiesa continui a rimanere non distorta da qualche parte, ovunque. Non c'è dubbio che la tradizione persista, non solo qui o là, ma in molti luoghi, in molte menti e cuori. Anche se è stata raggiunta dai barbari, saccheggiata e paralizzata, la barca non affonderà e non soccomberà. Ma sarà necessario un completo cambiamento di capitano ed equipaggio prima che ci sia una reale speranza che la liturgia venga riportata alla sua forma immemorabile e venerabile, in accordo con la legge sovrana della Provvidenza cristiana.

Non dovrebbe sorprenderci che ci siano enormi divergenze di opinione su come interpretare la strana situazione liturgica in cui gli ecclesiastici del ventesimo secolo hanno manipolato la Sposa di Cristo sulla terra.
Suo in Cristo nostro Re,
dottor Kwasniewski
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