domenica 13 dicembre 2020

Permanere nella verità di Cristo

Riprendo un vecchio articolo che non ha perso di attualità. La Verità non sta nella maggioranza e va difesa nonostante diventi sempre più difficile andare contro corrente.
Permanere nella verità di Cristo

Premessa
Noto con preoccupata perplessità che alcune figure di riferimento della gerarchia ecclesiale, che si sono levate focalizzando il discorso sui noti temi caldi del sinodo, giustamente sottolineano che non si può sganciare la morale dalla verità dalla quale la morale scaturisce e affermano che la pastorale non può essere sganciata dalla dottrina; ma ignorano completamente le distorsioni innescate dai punti controversi del Concilio. Non saprei dire se per prudenza – vista l’aria che tira – o per assuefazione da mitridatizzazione. E quindi c’è da chiedersi se e quando potranno venire al pettine i nodi generati proprio da quei semi di trasformazione subdolamente indotta in chiave di una 'continuità' dichiarata ma in termini sofisti, oggi ben individuati (più volte espressi e di seguito ribaditi), sui quali tuttavia è di fatto preclusa ogni discussione e rifiutato il confronto.

A questo proposito penso alla nota affermazione di Mons. Schneider [qui] che il Concilio può esser letto in continuità; ma ad alcune condizioni. In effetti Mons. Athanasius Schneider. autore di un lungo e articolato excursus di taglio teologico pastorale sulle "luci del Concilio" - che si collocano in quel livello, citato da Mons. Gherardini, nel quale il concilio riprende le verità già definite - ha affermato che la 'rottura' si manifesta
  1. nella svolta antropocentrica e nel campo Liturgico, mentre nella Sacrosantum Concilium non ce n'è traccia (a meno che non si ponga attenzione ai tagli e ai famosi ecc: e "ma anche" che sono stati la porta d'accesso di eccezioni divenute regola),
  2. ed è individuabile nel chiasso ermeneutico delle applicazioni contrastanti e nei gruppi eterodossi.
La sua trattazione [qui] è una sintesi mirabile e magistrale della missione e della realtà della Chiesa, operata riprendendo e tracciando il filo conduttore fornito dai testi selezionati del Concilio stesso e dei pronunciamenti dei Papi, seguendone il filo aureo attraverso citazioni puntuali e rivelative; il che non esclude la invocazione conclusiva, evidentemente mossa dagli effetti, ormai sotto gli occhi di tutti, delle applicazioni sconsiderate che hanno vanificato l'autentico spirito della 'continuità' nel rispetto della Tradizione non in senso storicista. Dunque la continuità è effettivamente possibile a due condizioni:
  1. se si 'pescano' gli elementi assertivi in sintonia con la Tradizione che effettivamente non mancano;
  2. e se avviene la correzione autorevole delle applicazioni in patente 'rottura', individuate e motivate ma mai ammesse dall' attuale gerarchia, che anzi continua a procedere in direzione opposta, tuttora permeata di quello che Mons. Gherardini ha chiamato senza mezzi termini il gegen-Geist: il contro-spirito del Concilio.
Situazione e dinamiche: l'opera dei 'normalizzatori'

È questa la ragione per cui, nella temperie attuale, siamo immersi in una grande confusione motivata dal fatto che chi detiene l'autorità nella Chiesa – e dovrebbe chiarire e guidare – spesso agisce in modo enigmatico, quando non evidentemente rivoluzionario.

Ed è per questo che gli interrogativi si sono fatti sempre più numerosi, insistenti e sempre più inquietanti. Non solo – perché i prodromi [qui] vengono da lontano – ma in particolare dalla sera del 13 marzo 2013 [vedi], e fino ad oggi, attraverso i fatti che sono andati dipanandosi e le parole che ci raggiungono attraverso i media, filtrate o meno che ne siano. Ed è proprio a molti di questi fatti e parole che cerchiamo di dare risposte chiare e limpide, basate su un sensus fidei autenticamente cattolico.

Ovviamente non perché mossi da quella “vana curiositas”, così definita da Mons. Antonio Livi(1) nell’invitare reiteratamente i laici a rimanere all’angolo; ma interpellati come fedeli. E neppure mossi dall'ardimento di voler prendere di mira la persona del Papa; ma dalla convinta intenzione di non eludere gli interrogativi su ciò che, oggi in maniera del tutto inedita, la persona del papa sta provocando. E il focus non è sulla persona di questo Papa. Che sia questo o un altro non cambia: non si tratta del fenomeno opposto a quello della tifoseria papista affetta da papolatria che sembra aver preso il sopravvento in tanti ambiti. Il focus è su parole e atti del Papa e sulle loro conseguenze per quanto è dato comprendere alla luce del Magistero perenne.

E proprio a Mons. Livi(2), che cerca di distogliere l’attenzione dei laici dalla figura del Pontefice, non ho potuto fare a meno di obiettare, senza esito finora, che non si può più far finta di nulla e che in altre epoche la figura del Papa non era così popolare e incidente direttamente sui fedeli; per il fatto, lapalissiano, che non c'erano le tecnologie che rendono gli eventi e le relative informazioni accessibili – e dunque incisive – in tempo reale. Le modalità comunicative, tempi e ritmi di vita diversi hanno i loro effetti, che cerchiamo di non subire, ma di gestire con impegno consapevole.

Ho citato Mons. Livi perché lo considero una figura autorevole ma anche emblematica nel panorama ecclesiale odierno, in quanto – senza nulla togliere alla stima che ho per la sua serietà e profondità di studioso che conosco personalmente – rappresenta uno degli elementi ‘normalizzatori’, e in qualche modo anestetizzanti, delle coscienze, non per quello che afferma nei suoi impeccabili scritti, ma per come è renitente a esplicitare i guasti del concilio e per come mette all’angolo l’impegno pubblico dei laici. 

Personalmente ho tentato, senza esito finora, di rompere la coltre di reticenza con la quale anche lui glissa sulla ‘discontinuità’ indotta dal concilio e richiama l’attenzione dei laici sui documenti del Magistero solenne e ordinario [ma il munus docendi dal vivo e relativa maieutica di autentici pastori non può essere sostituito dai documenti] sui quali – a suo dire – i fedeli dovrebbero limitarsi a far affidamento  invece di dare ascolto e reagire alle distorsioni da cui essi (e tutti noi) siamo bombardati [qui - qui - qui]. Ciò in teoria può apparire valido. Ma, in pratica, come conciliare l’odierna quasi totale mancanza di riferimenti al magistero? Quello solenne, attualmente non esiste più. Quanto a quello ‘ordinario’, non tutto può fregiarsi dell’infallibilità, con l’aggravante che viene impropriamente spacciata per magistero – e nella massa incide come tale – qualunque esternazione del papa (ad esempio: la pletora di interviste, esternazioni e conversazioni con interlocutori di ogni risma, sorvolando sui deficit comunicativi insieme a fatti e detti dirompenti del recente viaggio Cuba-USA).

Oggi ci si richiama sempre più spesso all’Evangelii Gaudium che, per esplicita affermazione dello stesso Bergoglio all’inizio del documento, non è magistero, ma offre solo indicazioni programmatiche sulla direzione verso cui egli intende condurre la Chiesa e quindi non insegna una dottrina ufficiale. (Tralascio per ovvi motivi le espressioni rivoluzionarie. Ne cito solo una fra le molte su cui mi sono soffermata: la conversione del papato [qui]. Da brividi, se se ne coglie il senso nemmeno recondito. Il nostro blog si occupato a più riprese di molte altre).

Siamo ormai sommersi (penso soprattutto alle nuove generazioni) dalla pletora di magistero liquido, sul quale le nostre contestazioni non hanno presa perché è impossibile far valere la logica e il diritto laddove si è introdotta la rivoluzione copernicana dei paradigmi ed è prevalsa la fumoseria soggettivista e l’anomia. Oggi è questo magistero liquido e cangiante la prevalente forma di espressione, peraltro da anomale tribune spesso mediatiche, della nuova Chiesa dialogante e nemmeno più docente, offerta appunto dalla Mater non più Magistra, sempre a dire dello stesso Bergoglio (per chi è giustamente attento alle fonti: nel Discorso ai partecipanti al congresso internazionale della pastorale delle grandi città (27 novembre 2014). Un’affermazione del genere non è una constatazione realisticamente riferita alla situazione dell'oggi cui dare risposta; ma ha il sapore di una resa, dato che insieme al munus docendi della Magistra, viene meno anche quello sanctificandi, essendo stato colpito il cuore pulsante del culto autentico a Dio, che è quello del Figlio, da Lui consegnato alla Sua Chiesa e celebrato in Suo Nome dal Sacerdote e, mediante il sacerdote, dal corpo mistico di Cristo, prim’ancora che generico e antico-testamentario ‘popolo di Dio’, come usa dire oggi. Mentre l'unica risposta enfatizzata da questo ed altri discorsi sono i soliti mantra del "dialogo"; della missionarietà socio-umanitaristica; dell'accoglienza indiscriminata; della misericordia senza giustizia, che hanno espulso il soprannaturale e ignorano e dunque vanificano l’azione divino-umana del Signore affidata ai Suoi e attraverso essi prolungata fino alla fine dei tempi.
Quanto accade procede secondo i presupposti razionalisti della mentalità moderna che parte dal fenomeno umano e lì resta ancorata, in una prospettiva tutta orizzontale, nell’alveo della svolta antropocentrica indotta dai punti nevralgici del nuovo impianto conciliare.

Partecipazione: intenti e modalità

Tornando all’invito di mons. Livi, più che far riferimento ai documenti dovremmo avere delle guide autorevoli in carne ed ossa: i nostri Pastori, Sacerdoti e Vescovi, senza i quali non andiamo da nessuna parte, ma troppi di loro sono indaffarati, distratti, lontani o conniventi, quando non in incognito per non mettere a rischio il loro contesto.

A pensarci bene, piuttosto che limitarci a fare i "topi di Magistero" – e per di più bombardati da fonti inquinate da un lato, silenziati da altre renitenti o malevole dall'altro – dobbiamo continuare ad usar bene la nostra libertà di espressione consentita proprio dalla Rete sulla quale riaffermiamo la nostra Fede anche dibattendo e confrontandoci. Il che, insieme all'impegno quotidiano sul fronte personale e comunitario di ognuno, può contribuire a far da barriera alla rivoluzione, dapprima soft, oggi esplosa nelle sue estreme conseguenze, ad opera della corrente egemone che ha preso il sopravvento.

Di quanto ho appena detto offre una valutazione positiva un recente articolo da noi tradotto dal blog Rorate caeli, da cui riprendo una citazione, che peraltro riguarda una realtà ed un impegno apertamente riconosciuti e incoraggiati da esplicite recenti esortazioni sia di Mons. Schneider che del card. Burke. Cito, nell’ordine, Mons. Schneider e l’autorevole prelato romano autore dell’articolo di Rorate, le cui affermazioni ci dimostrano quanto, qui e adesso, siamo in linea con le esigenze che ho richiamato, da noi così sentite e che orientano il nostro impegno.
Mons. Schneider: 
…Come mezzo per questo obiettivo [che è quello di diffondere con coraggio la verità cattolica tutta intera, in particolare sugli insegnamenti della Chiesa sulla famiglia, sulla natura, e i comandamenti di Dio], dobbiamo fare uso di tutte le risorse che il mondo moderno ci offre. Non ci asteniamo dal diffondere attraverso i media questi messaggi.
Non dobbiamo aspettare che ogni singolo parroco li predichi dal pulpito. Dobbiamo abbracciare le nuove forme mediatiche che ci permettono di diffondere il Vangelo e gli insegnamenti della nostra Santa Madre, la Chiesa. Dobbiamo introdurre il nostro messaggio su Internet, pubblicarlo su siti web, blog e reti sociali.  Ma non dobbiamo dimenticare di impegnarci con i nostri fratelli cattolici nelle forme più tradizionali. Dovremmo organizzare conferenze e simposi a livello accademico. Dovremmo usare queste per creare pubblicazioni, documenti e libri che possono essere utilizzati come riferimento e ampliare la nostra discussione.  (testo integrale qui)
E ora cito da Rorate caeli:
...i conservatori (termine oggi di per sé ambiguo ma qui è riferito a chi ama la tradizione; ma oggi può tranquillamente essere riferito ai conservatori dello status quo). Dunque i conservatori (nel senso di chi ama ed è fedele alla Tradizione) hanno mostrato una capacità assolutamente straordinaria e inaspettata di adattamento ai nuovi media. La loro capacità di essere presenti, il loro desiderio di reagire, di commentare tempestivamente, per fornire analisi non appena gli eventi accadono, è moltiplicata attraverso i blog, i siti web e tutto il mondo dei social media... C'è da dire che il cattolicesimo tradizionale oggi, in tutte le sue forme e tendenze, è in parte il risultato della modernità e... del Vaticano II. Questo Concilio ha voluto dare voce ai laici. E, per lo stupore dei custodi dello «spirito del Concilio», i laici hanno preso la parola! Non i laici clericalizzati dell'establishment liberale, ma i nuovi cattolici ortodossi. Dalla promozione dell'individualismo scaturita dai cambiamenti attuati nella Chiesa, sono stati in grado di trarre profitto in una maniera che gli artigiani e i partigiani di questi stessi cambiamenti non avrebbero mai potuto prevedere. Al tempo del Vaticano II, la rabbia dei liberali si è scatenata contro il cardinale Ottaviani, che sono riusciti a far fuori. Oggi, i liberali si trovano di fronte eserciti di piccoli Ottaviani in tutti i forum e media cattolici. E molti di loro sono abbastanza abili! (testo integrale qui)
Ebbene, questo è un dato che oggi può fare la differenza rispetto agli anni ’60, anche se per contro è completamente sfaldato il tessuto connettivo, sia sociale che ecclesiale, che allora avrebbe ancor meglio supportato e tenuto la “resistenza” agli errori veicolati attraverso le applicazioni ‘pastorali’ peraltro ancora non così conclamati e dunque non evidenti ai più.

Status quaestionis

Al punto in cui siamo, il variegato panorama che ci appare (tralasciando i due estremi del sedevacantismo e del modernismo) mostra ben 8 tendenze e comportamenti corrispondenti, spesso anche sommati negli stessi soggetti e contesti. Specchio di una apparentemente insormontabile frammentazione che non consente di convogliare le migliori energie sugli obbiettivi da condividere.
Li ho analizzati uno per uno più di una volta, e li ribadisco tutti insieme perché chiamano in causa i principali oppositori ad ogni azione di critica costruttiva e relative ragioni. 
  1. Sono molti coloro che, spinti da una fedeltà cieca alla persona del Papa, hanno tentato e tentano i salti mortali per difendere e giustificare quel che appare indifendibile. Come se fosse minor fedeltà esprimere argomentate perplessità sul magistero non infallibile – e tale è quello ordinario, pastorale, quando non ripropone verità dogmatiche – al quale la Lumen Gentium attribuisce «non proprio un assenso di fede, ma un religioso ossequio dell’intelletto e della volontà». Questo evidentemente significa che si può e si deve accoglierlo e vagliarlo attraverso la ragione illuminata dalla fede, perché l'assenso non può essere puramente esteriore e disciplinare, ma deve collocarsi nella logica e sotto la spinta dell’obbedienza della fede attinta dal Depositum fidei di cui la Chiesa è custode.  Ed è questo che caratterizza la nostra riflessione e azione.
    A me non convince l’infallibilità (che diventa infallibilismo) attribuita al magistero ordinario universale anche in conseguenza di un concilio dichiaratamente non dogmatico sia dal sedevacantismo che dal modernismo. A pagina 96 della rivista Divinitas n.1/2103 [precisazioni sul Magistero], Mons. Gherardini spiega che il Magistero del Concilio Ecumenico è Magistero autentico, ma non ipso facto infallibile se non vuole definire ed obbligare a credere. Ora durante e subito dopo il Concilio Vaticano II Paolo VI ha dichiarato la volontà di non definire, quindi il Vaticano II non ha voluto essere infallibilmente assistito. Il cardinal Pietro Palazzini scrive: “Una definizione dogmatica per vincolare come tale la Fede deve constare in modo certo e manifesto; di conseguenza una definizione dubbia è praticamente una definizione nulla” (F. Roberti – P. Palazzini, Dizionario di teologia morale, Roma, Studium, voce “Magistero ecclesiastico”, IV ed. 1968, II vol., p. 937). Perciò è lecito asserire che la dottrina del Vaticano II su La Libertà religiosa (Dignitatis humanae), su L’ecumenismo (Unitatis redintegratio e Nostra aetate), su La Collegialità (Lumen gentium) diverge dalla Tradizione apostolica (p. 99) e chiedere all’Autorità ecclesiastica di togliere questo equivoco mediante un pronunciamento dogmatico.
    Utile a questo proposito riprendere ciò che dice padre Serafino M. Lanzetta nel suo ultimo libro Il Vaticano II. Un concilio pastorale. Ermeneutica delle dottrine conciliari, Cantagalli, Siena 2014: «La qualificazione teologica più adeguata per le dottrine da noi esaminate, salvo meliore iudicio, sembra essere quella di sententiae teologicae ad fidem pertinentes: questioni su cui il magistero non si è ancora pronunciato definitivamente, la cui negazione potrebbe condurre a mettere in pericolo altre verità di fede e la cui verità è garantita dal loro intimo collegamento con la Rivelazione» (pp. 430-431). La discussione di queste tesi teologiche è ancora libera e aperta. [in un contesto sano dovrebbe esserlo, ma in questo contesto ideologico di fatto non lo è -ndr] Il dato dottrinale del Vaticano II, scrive ancora padre Lanzetta, va letto alla luce della perenne Tradizione della Chiesa e il Concilio non può che iscriversi in questa ininterrotta Tradizione (p. 37). «Ciò che solo può far da guida nella comprensione del Vaticano II è l’intera Tradizione della Chiesa: il Vaticano II non è l’unico né l’ultimo concilio della Chiesa, ma un momento della sua storia» (pp. 74-75). «La perenne Traditio Ecclesiae è, quindi, il primo criterio ermeneutico del Vaticano II» (p. 75). Questo è ciò che dovrebbe essere. Ma chi lo applica?
  2. Altri hanno preferito sospendere ogni giudizio, forse perché ancora impastoiati in quella stessa obbedienza cieca che credo sia stata la causa che ha bloccato soprattutto il clero – tranne alcune luminose ma presto vanificate eccezioni – dal reagire ad alcune deviazioni del post-concilio. Deviazioni che non nascono solo da una “cattiva interpretazione delle proposizioni conciliari”, (altro mantra ricorrente) ma hanno le loro radici – ben individuate, argomentandone da par loro, da molti valenti studiosi: Amerio, Gherardini et alii – in quei precisi punti controversi  già ricordati, presenti nei documenti della 21ma Assise, sulle cui ambiguità e numerosi “ma anche…” (cioè l’affermazione di una verità perenne, subito dopo intaccata da eccezioni divenute regole), si fondano le applicazioni delle quali stiamo subendo le conseguenze.
    E quanto non è stato cambiato in termini “definitori”, che sono stati aboliti, l'attuale Gerarchia continua a cambiarlo con la ‘pastorale’: il magistero non è più il luogo della definizione né del dogma, ma della prassi magmatica che una dottrina, sia pure implicita, la sottende sempre. Ciò che non è magistero infallibile non può intaccare le essenze, ma molte anime le intacca e sta deformando quel che resta della Chiesa visibile. Non dimentichiamo che qualunque adeguamento ai tempi operato attraverso 'forme' su essi modulate, porta lontano il pontefice e la sua rivoluzione permanente dalla fontale primazialità voluta dal Signore. Ogni 'forma' veicola e manifesta una sostanza corrispondente pur se implicita. Difendere la manifestazione della sostanza significa difendere la sostanza stessa, nella consapevolezza che la negazione di una dimensione accidentale rischia di essere un ferimento che la sostanza può sopportare solo fino ad un certo punto. Anche questo non possiamo più ignorarlo, altrimenti lo iato che si è già creato diventerà sempre più difficilmente colmabile e la tradizione storicista continuerà ad evolversi portando in sé le tracce del tempo e non più il respiro dell'Eterno, che appartiene alla Tradizione perenne consegnataci dalle generazioni che ci hanno preceduto e destinata anche a quelle che seguiranno.
  3. Altri ancora si sono auto-silenziati nella convinzione che non ci sia più nulla né da dire né da fare, vista l’ineluttabilità della china. Per non parlare di chi è stato neutralizzato dai superiori.
  4. Ci sono poi quelli che si astengono dall'approfondire ogni notizia riguardante il Papa perché ne ricevono un turbamento superiore alla loro soglia di adattamento o di coinvolgimento. E questi non fanno storia, che in genere appartiene alle minoranze determinate…
  5. C'è poi chi attribuisce la responsabilità della confusione alla stampa, ai media: sarebbero essi che stravolgono in chiave liberal o secondo le proprie ideologie ciò che il papa non direbbe oppure cambierebbero il significato di ciò che dice. Il che di fatto accade; ma si tratta solo di una faccia della complessa situazione. Tra l’altro, se può accadere è perché ci sono molte comunicazioni non chiare, quando non distorte e comunque, se ‘passano’ e si diffondono messaggi in modo distorto, essi non sono fatti oggetto di alcuna smentita da parte di chi ne avrebbe il compito. Tanto per fare un esempio, ci sono sacerdoti che già danno l'assoluzione a divorziati risposati in situazioni lontane dal ravvedimento.
  6. Strettamente collegato al fenomeno-Bergoglio, si è manifestato anche un nuovo atteggiamento da parte di studiosi autorevoli e capaci di analisi e sintesi di valore. Essi, pur di non vedersi coinvolti in una critica nei confronti della persona del papa anche su questioni controverse che non investono l'infallibilità, hanno scelto di rimanere sul generale, divulgando con parresìa le verità cattoliche, ma senza l'aggancio diretto agli errori che le stanno minacciando seriamente. C'è addirittura chi usa la formula delle domande e delle risposte, sempre rimanendo sul generico.
    Questo, se da un lato è e resta valido e utile sul piano generale e fornisce l'orientamento giusto a chi è in ascolto o si pone interrogativi, da un altro lato glissa sui punti specifici che destano allarme e spesso son proprio quelli che traggono in inganno i più sprovveduti, perché monchi, privi di approfondimenti necessari o addirittura obliteranti aspetti ineludibili, che devono essere ripresi e ripareggiati nel contesto specifico in cui divergono o sono omessi, altrimenti viene meno l'efficacia della sana reazione puntuale.
    E in questi casi la critica non può esser altro che costruttiva e utile a tutti se fondata sulla verità nella carità. Certo non si può star lì a rincorrere ogni esternazione né ci può interessare la cronaca spicciola; ma sono diverse le questioni, niente affatto banali, che ci vengono incontro e ci interpellano anche perché ne siamo bombardati dai media. (Potete trovare molti esempi nei testi raccolti nei 'Memoranda', il cui indice è richiamato nella colonna destra del blog)
  7. Inoltre c’è la nutrita serie di coloro che “tengono famiglia” o hanno un ‘orticello’ più o meno importante da salvaguardare.
  8. Infine ci sono i nuovi laudatores del bergoglismo, che dimenticano che il papa è Servus Servorum Dei e non il capo di un regime  e per giunta tirannico. La confusione di ambiti, linguaggi, identità e ruoli ha ormai superato il livello di guardia. Non dimentichiamo che c'è un limite al potere papale e una linea che il Papa non può oltrepassare senza tradire la Chiesa e il suo divino Fondatore, mettendo in pericolo le anime dei fedeli. Ricordo le parole del Card. Burke a France2: «In questo bisogna essere attenti e guardare al potere del papa. La frase classica è che il papa ha la pienezza del potere, questo è vero, ma non è un potere assoluto. È al servizio della dottrina della fede. Non ha il potere di cambiare l’insegnamento, la dottrina... Nella nostra fede è la verità della dottrina che ci guida» [vedi]. C’è dunque una responsabilità – del papa e della Gerarchia ecclesiale in primis, senza escludere quella di ogni battezzato – innanzitutto di fronte a Dio e poi anche di fronte agli uomini di questa generazione e di quelle che verranno.
Osservazioni generali

In questa situazione paradossale è rimarchevole il fatto che una volta chi dissentiva dal papa contestava la dottrina della Chiesa, mentre oggi avviene esattamente il contrario: chi formula alcune critiche al papa, lo fa per difendere quella stessa dottrina. Naturalmente quando parliamo di dottrina cattolica, ci riferiamo all’insegnamento che Cristo ha trasmesso ai suoi apostoli e consegnato alla sua Chiesa nei Vangeli, creduto dai Santi Padri e trasmesso sino a noi dalla Tradizione bimillenaria: insegnamento che dobbiamo seguire fedelmente se vogliamo conoscere la verità e se vogliamo essere liberi e salvi. Del resto una pastorale che non sia ancorata saldamente alla verità rivelata non conduce alla libertà e non porta alla salvezza. Qualunque “piano pastorale”, se non ha a monte le idee e i principi che non sono quelli della dottrina cattolica divinamente rivelata, sarà inevitabilmente “altro”. E magari sempre più vicino a una Nuova Religione Mondiale, propria di una falsa chiesa universale, che non viene da Cristo Signore.

Ne vediamo le avvisaglie nei reiterati refrain che inducono falsamente a credere che ogni religione, se ritenuta vera, produce intolleranza, fanatismo e conflitti. E quindi  si insiste nel costringere le confessioni religiose negli angusti e innaturali spazi di un “minimo comun denominatore”, che non è altro che quello invocato dalla Massoneria a garanzia di un ordine politico nel quale la religione non deve avere alcuna influenza pratica. E con questo si vorrebbero vincere le schiavitù e la povertà. Ma chi ricorda più al mondo che la vera schiavitù è quella del peccato e che solo Cristo Signore è colui che salva ed è solo da questo e non dalle volontà umane che tutte le schiavitù possono essere eliminate? E che solo a partire da questa salvezza possono essere rimosse le cause di ogni ingiustizia e di ogni povertà non soltanto materiale?

Poste queste premesse, come la mettiamo con lo sconcerto e il disorientamento di tanti fedeli comuni, col modernismo incuneato nelle parrocchie, nei seminari, nelle università pontificie, nei media cattolici più influenti, che provoca lo sfaldamento della realtà ecclesiale divenuta temerariamente inclusivista e in rivoluzione permanente?
  • inclusivista (falso ecumenismo: la Chiesa è naturaliter ecumenica ma il vero ecumenismo si realizza attraverso il reditus dei separati nella Catholica, custode e portatrice della Verità v maiuscola e non nella convergenza verso un non meglio identificato punto omega comune al di fuori di essa alla ricerca di una verità, che non è non già data (Rivelazione Apostolica), e che nessuno possiede integralmente per effetto della desistenza de La Catholica e della pari dignità arbitrariamente assegnata a chi professa l’errore non più riconosciuto come tale. L'autentica unità, cioè la comunione, può realizzarsi solo nel Signore, non può coincidere con l'unità fittizia messa in campo dal volontarismo umano, “guardando a ciò che unisce” mentre ciò che divide continua a generare fratture non risolte e umanamente non risolvibili. Papa Pio XI nella Mortalium animos: "La Chiesa cattolica possiede la pienezza del Cristo e, questa pienezza, non deve perfezionarla ad opera delle altre confessioni."
  • in rivoluzione permanente, per effetto del nuovo linguaggio introdotto dal concilio espressione della volontà esplicitamente de-dogmatizzante, che ha cambiato l'approccio alla realtà.
Prendiamo come punto chiave i principi non negoziabili, che rimandano all’ordine della Creazione in rapporto organico con l’ordine della redenzione e ad essa già orientato. È rompendo questo legame che viene meno l’essenza della cattolicità: il connubio tra ragione e fede, tra naturale e sovrannaturale, tra la natura e la grazia. La grazia è scomparsa dall’orizzonte ecclesiale. E, in effetti, eliminato l’ordine della creazione, la Creazione nuova ri-generata nella risurrezione del Signore non è più riconosciuta indispensabile per la salvezza, che la comunità umana si auto-costruisce.
Ed ecco le eresie che rompono questa relazione e che alla fine sono sempre riconducibili o allo gnosticismo o al pelagianesimo. Se non si riconosce l’ordine naturale, non c’è neppure la natura decaduta a causa del peccato originale e dunque non c’è bisogno dell’opera divino-umana del Signore dalla sua venuta fino alla fine dei tempi.
Ed ecco lo scadimento della fede a sentimento, esperienza e non conoscenza, opinione e non verità.

Difficile dunque dire che la cristianità, da mezzo secolo, non sia stata segnata dalle suggestioni storiciste e personaliste che nascono dai 'lumi' e che l’hanno indotta al dialogo col mondo con le conseguenze ormai macroscopiche.

Dico cose a tutti voi note, ma è la sintesi puntuale della situazione e giova martellare e ripetere per non distogliere l'attenzione e per chi ci leggesse solo ora. Inoltre è comunque da qui che bisognerebbe ripartire.

Ciò che accade è il frutto maturo del concilio, considerato come evento che fa da spartiacque tra due ecclesiologie per effetto del prevalere della “scuola renana”, portatrice della nouvelle théologie, su quella “romana”, custode della tradizione viva perché portatrice dell’Eterno nel tempo, non certo 'fissista' come pretendono e non vivente in senso storicista. (La cosiddetta “tradizione vivente” è oggi intesa tale in senso storicista e quindi mutevole a seconda dei tempi e non “vivente”, nel senso di portatrice della fecondità di Colui che la anima e che la Chiesa è chiamata a inverare e trasmettere nel tempo, nell’oggi di ogni generazione. Il cambiamento paradigmatico trasferisce al soggetto Chiesa e al suo divenire nella storia la continuità che appartiene all’oggetto Rivelazione contenuto e trasmesso dal dogma. In tal modo viene conferita al magistero una prerogativa che non gli è propria: quella di essere sempre riferito al “presente”, con tutta la mutevolezza e la precarietà proprie del divenire, mentre la sua peculiarità è quella di essere, nel contempo, passato e presente, portando il germe del futuro escatologico). Ed è ciò che ha aperto le porte agli ideologi attuali e a tutti i novatori che stanno rispolverando la TdL ed altro, con annessi e connessi, che portano alle estreme conseguenze la pastorale ateoretica scissa dalla dottrina.

Vorrei in ogni caso ricordare che pastorale significa “tradurre” la dottrina in prassi non apportare modifiche alla dottrina e neppure servirsi della prassi per scavalcarla.

Sono in diversi, ad affermare che ciò non è possibile (i cardinali Burke e Sarah, per citare i più illustri); ma di fatto continua ad accadere senza che nessuno opponga ai fatti altri fatti e non solo parole.

Conclusione

Come accennato, e altrove sviluppato, nei documenti conciliari sono presenti punti precisi che ci danno le ragioni del come e del perché tutto questo sta accadendo. Non volerlo riconoscere significa essere ciechi guidati da altri ciechi.

Purtroppo l'inganno è stato nutrito dal clima anticonformista e libertario del '68, dall’ottimismo ingenuo di Giovanni XXIII e dal culto dell’uomo e del dialogo di Paolo VI e le spinte antropocentriche di fatto applicate dai successori, senza trovare la saldezza degli antidoti presenti nella philosophia perennis e nella metafisica, oggi messe all’angolo, che invece nutrono la Tradizione perenne non storicista.

Ora siamo arrivati ad un punto in cui molti nodi stanno venendo al pettine sia nel mondo ecclesiale che nelle variazioni antropologiche che insidiano il futuro dell'intera umanità.
Non rendersi conto di questo e perdersi in inutili e sterili contrapposizioni, come purtroppo accade anche nel nostro mondo tradizionale invece di creare sinergie, denota un altro tipo di cecità, che non permette di opporsi efficacemente al male così come si sta manifestando nel nostro tempo.

E come si fa a tacere se i teologi più vicini al papa possono dichiarare che l'ortodossia è “una violenza metafisica”? E se dichiarazioni similari si vanno moltiplicando?
La rivista internazionale di teologia Concilium ha dedicato il suo ultimo numero al tema: Dall’“anathema sit” al “Chi sono io per giudicare?”», a partire dalla famosa frase di Papa Francesco sull’omosessualità: «chi sono io per giudicare», pronunciata di ritorno dal Brasile, nel luglio 2013. Gli autori «ritengono che le formule e i dogmi non possono comprendere l’evoluzione storica, ma ogni problema vada collocato nel suo contesto storico e sociopolitico. Il concetto di ortodossia va superato, o quanto meno ridimensionato, perché, viene utilizzato come “punto di riferimento per soffocare la libertà di pensiero e come arma per sorvegliare e punire”... Essi definiscono l’ortodossia come “una violenza metafisica”. Al primato della dottrina va sostituito quello della prassi pastorale…» (Concilium, 2/2014, p. 11).

E come si fa a tacere se la Chiesa si inoltra sempre più in una prassi ateoretica in cui l'agire precede il conoscere, la sensazione precede e sostituisce il ragionamento e l'assimilazione che orientano la volontà, con conseguenze di destabilizzazione facilmente intuibili?

Molto dipende dallo scambio - così ben individuato da Romano Amerio che lo definisce Dislocazione della Divina Monotriade - tra Seconda e Terza Persona Trinitaria. Si 'ama' non si sa bene cosa, si 'fa esperienza' di non si sa bene cosa, talvolta. Una delle differenze di fede per es. nel Cattolicesimo e nel Luteranesimo, è proprio quel Logos che si lascia conoscere anche razionalmente in parte; ha necessità anche di definizioni comprensibili; è quello Spirito Santo che non è solo Spirito d'Amore, rapimento, ma anche Spirito di Verità. La fede cattolica è assenso anche dell’intelletto alle verità rivelate; quindi la ragione è chiamata in causa per valutare la ragionevolezza delle verità rivelate, anche dove non ci sia completa dimostrabilità. Al posto di una rinascita e una rigenerazione (in Cristo) che è una mutazione ontologica, oggi si parla di esperienze umane, di cose da fare, in cui l'elemento anche sentimentale e individuale del momento, ha la prevalenza sia sul dato rivelato, sia sul razionale. Oltre a non mettere più le cose al proprio posto, con questo atteggiamento non è più la Verità divina, intesa come assoluta, sacra, che giudica l’esperienza, ma l’esperienza del momento, la soggettività transeunte che elevandosi a misura del sacro pretende di giudicare la Verità. Così non si andrà molto lontano....

Ed è così che prevalgono gli insegnamenti “in pillole”, lanciati come frecce acuminate, che colpiscono il sentimento ma non nutrono la ragione[3] e le comunicazioni-slogan che, mancando dei necessari approfondimenti, risultano monche e quindi passibili di interpretazioni plurime e perciò foriere di confusione e strumentalizzazione. Normalmente nella Chiesa, parole e azioni del Papa sono quelle che «spiegano», non quelle che «hanno bisogno di spiegazioni».

Non possono dunque mancare le carrellate impietose sulle varie componenti di un piano ormai in larga parte svelato. E nel nostro lavoro a mani giunte versus i pollici in alto, non possiamo non chieder conto anche dei comportamenti nei confronti di persone che con le loro idee, i loro atti, i loro atteggiamenti, perseguono il male. E chiederci se si può essere servili nei confronti del male o affrontarlo con viltà, con stupidità o con calcolo strumentale. Ma in questo caso se ne diventa schiavi. E, se possono permetterselo – e neppure fino in fondo – politici o intellettuali, ciò non può e non deve appartenere a chi siede sul Soglio di Pietro per confermare i fedeli nella retta fede e per insegnar loro a distinguere il bene dal male.

Concludo, con una citazione di Dietrich von Hildebrand che sembra scritta oggi:
La vittoria di Cristo in ogni dominio della vita è il fine reale della Religione. Tuttavia la seppelliamo insieme con una vita cristiana, quando tentiamo di superare la sterilità della religione legalistica voltandoci dallo spirito di Cristo verso il “saeculum”, sostituendo il sacro fuoco di Cristo con un entusiasmo secolare, dimenticando la vitalità soprannaturale dei Santi, ed abbracciando le preoccupazioni nervose, frenetiche, profane del mondo moderno.
Maria Guarini
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1. Ho notato con soddisfazione la sua recente pubblica presa di posizione , insieme a Claude Barthe e Alfredo Morselli: Osservazioni sull'"Instrumentum laboris". Offerte all'attenzione dei Padri Sinodali. Roma, 29 settembre 2015 [qui]. Anche in questa occasione, sono le emergenze del Sinodo che spingono ad intervenire. Il problema è che non se ne prendono in considerazione le cause e le 'radici' , [espresse qui - qui - qui]
2. Si tratta di osservazioni di mons. Livi nei confronti dei laici che esprimono interrogativi e riflessioni anche sulla rete, di cui sono disseminati alcuni suoi articoli [qui - qui] nonché le sue prudentissime prefazioni ai testi di Radaelli, che alla fine si dissociano da qualunque affermazione sugli specifici temi scottanti, da lui considerata 'soggettiva', pur se basata sul magistero perenne. Ed è così facendo che si sottrae al confronto dialettico proprio sulle distorsioni provocate dal concilio.
3. Tipo l’“uscire da sé” senza sapere né chi si è né dove si sta andando, basta che sia una “periferia” o “l'abbattere i muri” senza tener conto che esistono anche i muri portanti, abbattendo i quali crolla tutto l'edificio. E non sono anche i limiti  - i muri, appunto - che definiscono la realtà? 

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