Questo articolo può esser utile a tanti lettori per orientarsi ed avere un'idea obiettiva dei fatti
storici coinvolti, nel quale l'Autore ha appunto cercato di far parlare i fatti. Precedente, sul blog: A 150 anni da Porta Pia, non è stato ancora risolto in Italia il nodo Chiesa-Stato e lo Stato italiano deve ritenersi ancora “illegittimo”? Una tesi che non convince [qui].
L’ 11 febbraio 1929 i Patti Lateranensi, che realizzarono la “Conciliazione” tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano unitario, nato dal Risorgimento.
di Paolo Pasqualucci
di Paolo Pasqualucci
Trattandosi di un evento di importanza capitale per la nostra storia recente e presente ma oggi in sostanza ignorato dai più, credo che il miglior modo di celebrarne la ricorrenza sia quello di presentarne sinteticamente le circostanze e il significato complessivo, come a suo tempo delineati nel testo di un Maestro del diritto ecclesiastico italiano, da tempo scomparso: Pietro Agostino d’Avack.
“Come abbiamo detto, sotto il nome di Patti Lateranensi si comprendono due atti diversi, seppure tra loro collegati e interdipendenti, contemporaneamente stipulati tra la S. Sede e lo Stato italiano: il Trattato e il Concordato.
Col primo si è determinata e stabilita di comune accordo la posizione e il regime giuridico speciale della S. Sede stessa quale ente sovrano della Chiesa cattolica in Italia e nei confronti dell’ordinamento statale e si è composta la cosiddetta cruciale Questione romana vertente fra le due autorità.
Col secondo si è fissata e disciplinata la posizione e il regime giuridico della religione e della Chiesa cattolica in Italia.
I due protocolli, firmati dai rispettivi plenipotenziari (il card. Pietro Gasparri e l’on. Benito Mussolini) l’11 febbraio 1929 nel palazzo pontificio di S. Giovanni in Laterano in Roma e ratificati il successivo 7 giugno in Vaticano, furono lo stesso giorno pubblicati dalla S. Sede negli Acta Apostolicae Sedis e resi esecutivi in Italia con la legge 27 maggio 1929 n. 810, entrata in vigore con lo scambio stesso delle ratifiche (legge cit. art. 4), e sono oggi solennemente riconosciuti in vigore nella nostra stessa Carta costituzionale repubblicana all’art. 7. [2]
Per comprendere la ragione di essere di questi due protocolli distinti, occorre richiamarsi a quella che era la situazione anteriore esistente in Italia nei confronti della Chiesa cattolica e alle peculiarità che la caratterizzavano rispetto a quella degli altri Stati.
Come ho accennato, il problema, che si presentava per la soluzione dei rapporti fra Stato e Chiesa in Italia, era duplice: l’uno rifletteva la situazione giuridica della Chiesa cattolica italiana, che il nostro Stato aveva preteso regolare sovranamente con norme proprie, quale istituzione ad esso soggetta, ed era un problema comune, dal più al meno, a tutti gli Stati moderni come conseguenza della loro pretesa di disciplinare a proprio arbitrio la materia ecclesiastica e della pretesa opposta dalla Chiesa a escludere viceversa ogni ingerenza e competenza dell’autorità laica al riguardo.
L’altro invece rifletteva la posizione giuridica dell’ente centrale della Chiesa, cioè della S. Sede, che il nostro Stato, dopo averla spodestata del potere temporale, aveva regolato unilateralmente con la famosa legge delle guarentigie [o garanzie, per il Sommo Pontefice e il clero, del 13 maggio 1871 n. 214, abrogata dall’art. 26 e penultimo del Trattato Lateranense], ed era un problema esclusivamente proprio e specifico dell’Italia, privo di ogni riscontro per gli Stati esteri, in quanto esso non era che una conseguenza del fatto della residenza della S. Sede stessa sul territorio italiano.
Di per sé i due problemi erano indipendenti l’uno dall’altro e potevano essere risolti separatamente […] Di fatto però i due problemi finivano per essere strettamente connessi e interdipendenti fra loro e non risolubili quindi che contemporaneamente, in quanto la S. Sede si rifiutava di discutere il problema religioso finché non fosse stata sistemata la sua stessa posizione personale in modo soddisfacente, affermando di mancare altrimenti della necessaria libertà e indipendenza di fronte allo Stato italiano per poter trattare un qualunque accordo con lui. E si rifiutava insieme di sistemare la propria posizione indipendentemente dalla soluzione del problema religioso, sostenendo di non poter entrare in rapporti con uno Stato che informava il suo comportamento e la sua legislazione religiosa a presupposti e indirizzi condannati dalla Chiesa e contrari ai suoi dogmi.”[3]
La posizione della Chiesa era ineccepibile. Nel “problema religioso”, ricordo, rientrava anche l’istituto matrimoniale. Il codice civile del 1865 aveva istituito il matrimonio civile quale unico riconosciuto dallo Stato, pur se senza divorzio, che si tentò invano di introdurre per tre volte (oltre alla Chiesa, mobilitatasi con tutte le sue forze contro l’iniquo progetto, anche la monarchia era contraria). E difatti lo Stato italiano, come sappiamo, pur mantenendo il matrimonio civile, “consegnò” (o riconsegnò) praticamente alla Chiesa l’istituto matrimoniale, con il riconoscere piena validità nel suo ordinamento al matrimonio celebrato in chiesa, la cui registrazione civile poteva esser fatta dallo stesso parroco celebrante. L’art. 34 del Concordato così esordiva: “Lo Stato italiano, volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradizioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacramento del matrimonio, disciplinato dal diritto canonico, gli effetti civili.” [4]
Le trattative che portarono agli Accordi furono condotte con il massimo riserbo e la loro improvvisa, pubblica conclusione colse un po’ tutti di sorpresa: amara sorpresa per praticamente tutto l’antifascismo militante e per la componente anticlericale dello stesso movimento fascista. Le trattative, iniziate per volontà di Mussolini e successivamente autorizzate dal Re, Vittorio Emanuele III, anticlericale notorio e inizialmente assai diffidente, non furono semplici, come si può immaginare. Il più serio ostacolo, osserva giustamente d’Avack, era rappresentato proprio dalla “ connessione ed interdipendenza attribuita dalla Chiesa ai due problemi”.
Infatti, gli Accordi lateranensi non scaturirono dal nulla. C’erano stati in passato ripetuti tentativi per giungere ad una “conciliazione” tra Chiesa e Stato in Italia, già con lo stesso Cavour. Ma tutti fallirono, in primo luogo perché non si voleva attribuire al Pontefice una sovranità temporale piena e completa, quella di un vero e proprio Capo di Stato. Tale sovranità, nota d’Avack, era riconosciuta solo nel progetto elaborato da Erzberger, capo del Centro Cattolico tedesco, durante la Grande Guerra, nel caso di vittoria degli Imperi Centrali; i quali, unitamente ad altri Stati, l’avrebbero imposto ad un’Italia vinta. Esso prevedeva la sovranità temporale del Papa “su un territorio comprensivo del colle Vaticano e di una striscia di terreno che lo congiungeva con il Tevere e con la ferrovia di Viterbo (art. 1)”. Inoltre, “la perpetua indipendenza e neutralità di tale sovranità sarebbe stata garantita da parte di tutti gli Stati firmatari (art. 3)”. Sembra che tale progetto “avesse carattere ufficiale in quanto approvato sia dal governo tedesco che dall’imperatore d’Austria e visto di buon occhio dalle stesse sfere vaticane.” Naturalmente, si trattava di un semplice progetto, la cui proposta appare comunque simile a quanto poi stabilito nel Trattato Lateranense.[5]
Fu comunque solo con il fascismo al potere che le cose cambiarono in meglio per la Chiesa. Nell’ambito di tutta una serie di iniziative a favore della Chiesa e della religione (tra le quali: restituzione al culto di luoghi ed edifici sacri; accoglimento di festività religiose in quelle civili; ricollocazione del Crocifisso negli edifici pubblici; imposizione dell’insegnamento della religione alle elementari; riconoscimento dell’Università Cattolica e dell’Istituto Superiore di Magistero ‘Maria Immacolata’ di Milano), si stabilì nel 1925 una Commissione ministeriale italiana, cui parteciparono tre ecclesiastici espressamente autorizzati dalla Santa Sede, per elaborare un disegno di legge sulla riforma della legislazione ecclesiastica. Ma quanto i lavori erano al loro termine, ricorda d’Avack, la Santa Sede disapprovò il metodo seguito, affermando pubblicamente che nessuna trattativa si poteva fare e nessun accordo si poteva raggiungere finché durava l’iniqua condizione fatta al Pontefice dallo Stato italiano. L’ Osservatore Romano dell’ 11 gennaio 1926 pubblicò un duro articolo, nel quale si affermava che l’unico modo giusto per provvedere alla pace religiosa era “provvedere alla S. Sede quella situazione di piena libertà e indipendenza, sia reale che apparente agli occhi di tutto il mondo, alla quale ha imprescindibilmente diritto, e poi procedere alla riforma di tutte le leggi ingiuste d’accordo tra le due Autorità.”[6]
La legittimità della pretesa della Santa Sede fu riconosciuta da Mussolini, Capo del Governo, in una famosa lettera al Guardasigilli Alfredo Rocco, del 4 maggio 1926: “[…] Il regime fascista, superando in questo, come in ogni altro campo, le pregiudiziali del liberalismo, ha ripudiato cosí il principio dell’agnosticismo religioso dello Stato, come quello di una separazione tra Chiesa e Stato, altrettanto assurda quanto la separazione tra spirito e materia… È logico pertanto che il Governo Fascista giudichi con piena serenità le attuali manifestazioni della Santa Sede, e le reputi degne della più attenta considerazione…”.[7]
Pertanto – riprendo d’Avack – “ i due problemi dovevano essere di necessità insieme affrontati e risolti e il mutamento di politica ecclesiastica adottato dal fascismo dopo l’avvento al potere con l’abbandono dei principi laici e separatisti fino a quel momento imperanti e con la graduale cosiddetta riconfessionalizzazione dello Stato italiano, accentuano le condizioni fin da allora favorevoli all’accordo, creando i veri presupposti politici e giuridici per la loro soluzione; soluzione, che fu infatti raggiunta l’11 febbraio 1929 con i Patti lateranensi per ambedue questi problemi contemporaneamente.
Al primo di essi, infatti, e cioè alla posizione d’indipendenza e libertà della S. Sede, si provvide con il Trattato; al secondo, cioè alla situazione della religione e della Chiesa cattolica in Italia, col Concordato.
Le trattative, iniziate prima officiosamente e poi ufficialmente nel 1926 tra il Cons. Di Stato Domenico Barone per il Governo italiano e l’Avv. Francesco Pacelli per la S. Sede [fratello del futuro Pio XII] e temporaneamente interrotte nel 1927 in seguito al dissidio sorto riguardo all’educazione della gioventù [il Regime voleva che le organizzazioni della gioventù cattolica si occupassero soprattutto dell’aspetto religioso, senza immischiarsi con la politica e l’attività sindacale], furono riprese negli anni successivi e continuate da ultimo personalmente dall’On. Mussolini, concludendosi infine l’11 febbraio 1929 con la conclusione di tali Patti, i quali, come già abbiamo accennato, mentre valsero a risolvere la famosa Questione romana [quella del potere temporale da riconoscere nuovamente alla Chiesa], segnarono insieme un completo mutamento nell’indirizzo della politica ecclesiastica dello Stato italiano e della sua stessa legislazione positiva, restando la base e il nucleo centrale del diritto ecclesiastico italiano oggi vigente.”[8]
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Il Trattato è di 27 articoli, ai quali sono annessi Quattro Allegati concernenti : 1. Il territorio dello Stato della Città del Vaticano (SCV), soggetto di diritto internazionale, Stato sovrano a tutti gli effetti; 2. Gli immobili con privilegio di extraterritorialità e con esenzione da espropriazioni e da tributi; 3. Gli immobili con esenzione da espropriazioni e da tributi; 4. La Convenzione finanziaria, costituita da 750 milioni di lire in contanti e un miliardo in titoli al portatore, versati al Vaticano.
Il Trattato stabilisce l’esistenza della Città del Vaticano come vero e proprio Stato sovrano, soggetto indipendente dotato di giurisdizione esclusiva, illustrandone le caratteristiche territoriali, patrimoniali, amministrative, organizzative in generale, con i relativi obblighi dello Stato italiano nei suoi confronti e tutte le garanzie di carattere nazionale e internazionale che devono riconoscersi allo Stato del Papa, ai suoi collaboratori (cardinali, nunzi apostolici), ai suoi cittadini e residenti.
Voglio ricordare, in particolare:
- l’art. 1, che ribadiva la piena adesione del Regno d’Italia (dell’Italia fascista) all’art. 1 dello Statuto Albertino, mai abrogato ma contraddetto dalla politica anticlericale dei governi liberali: “L’Italia riconosce e riafferma il principio consacrato nell’art. 1 dello Statuto del Regno 4 marzo 1848, nel quale la religione cattolica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato.” Le altre religioni si consideravano “culti ammessi”, purché non contrari alla morale e all’ordine pubblico. Quest’impostazione, che conservò il matrimonio concordatario, fu mantenuta anche dal Fascismo Repubblicano, durante il periodo sanguinoso e tragico della Repubblica Sociale Italiana, nel biennio apocalittico 1943-1945;[9]
- l’art. 2, che stabiliva la natura sovrana della Santa Sede dal punto di vista giuridico: “L’Italia riconosce la sovranità della Santa Sede nel campo internazionale come attributo inerente alla sua natura, in conformità alla sua tradizione ed alle esigenze della sua missione nel mondo.” Non quindi, come attributo creato dal riconoscimento statale bensì come “attributo inerente alla natura stessa della Santa Sede”, del quale lo Stato si limita a prendere atto, riconoscendolo nel Trattato. Dal punto di vista del diritto, bisogna dire che la Santa Sede e quindi la Chiesa, in quanto istituzione visibile, è ex sese sovrana ed indipendente;
- l’art. 8 che considera “sovrana ed inviolabile la persona del Sommo Pontefice” dichiarando punibile l’attentato contro di essa, anche se solo progettato, nonché “le offese e le ingiurie pubbliche commesse sul territorio italiano” nei suoi confronti, con le stesse pene stabilite per analoghi reati commessi contro la persona del Re – oggi sostituita da quella del Presidente della Repubblica – Vedi artt. 276-278 cod. pen;
- l’art. 26, con il quale si archivia finalmente la “Questione Romana”, liberandosi definitivamente delle scorie velenose del Risorgimento:
“La Santa Sede ritiene che con gli accordi, i quali sono oggi sottoscritti, Le viene assicurato adeguatamente quanto Le occorre per provvedere con la dovuta libertà ed indipendenza al governo pastorale della Diocesi di Roma e della Chiesa Cattolica in Italia e nel mondo; dichiara definitivamente ed irrevocabilmente composta e quindi eliminata la “questione romana” e riconosce il Regno d’Italia sotto la dinastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano.”
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Nel 1984 c’è stato tra lo Stato italiano e la Santa Sede un “Accordo con protocollo addizionale”, per chiarire bene il significato di certi articoli, firmato a Roma il 18 febbraio e composto di 14 articoli, mentre solo 7 sono quelli del “protocollo addizionale”. Esso ha apportato alcune modifiche al Concordato, senza toccare direttamente il Trattato, che tuttavia non ne è uscito indenne. La Chiesa ha ottenuto alcuni miglioramenti rispetto al passato ed ugualmente lo Stato italiano, ognuno nelle rispettive materie di interesse. Questo Accordo ha come è ovvio reintrodotto nei rapporti con la Chiesa una prospettiva più “laica” rispetto a quella “confessionista” del passato regime. Al contrario di quanto avveniva ai tempi del Duce, i vescovi non devono più giurare fedeltà al Capo dello Stato né più occorre una comunicazione preventiva al Capo del Governo per assicurarsi che non vi siano “ragioni di carattere politico da sollevare contro la nomina”, sia di vescovi che di parroci: la nomina è ora del tutto libera da parte dell’ autorità ecclesiastica, che si limita ad informare quella civile.[10] Ma accanto a indubbi vantaggi di questo tipo o nell’ambito patrimoniale, la Chiesa, pervasa dello spirito del Vaticano II, quello della Dignitatis humanae e della Gaudium et spes, ha accettato di buon grado e persino con soddisfazione, a quanto pare, che venisse abrogato l’art. 1 del Trattato, ossia che il Cattolicesimo cessasse di essere l’unica religione ufficiale dello Stato italiano: un passo indietro non da poco.
Recita, infatti, l’art. 1 del Protocollo addizionale nel suo art. 1 : “Si considera non più in vigore il principio, originariamente richiamato dai Patti Lateranensi, della religione cattolica come sola religione dello Stato italiano.” Il principio, come si è visto, era racchiuso nell’art. 1 del Trattato. Correlativamente, è venuta a cadere il riconoscimento del “carattere sacro” di Roma in quanto Capitale della Cattolicità, rispettato e difeso nel Concordato mussoliniano. Infatti, l’art. 2 dell’Accordo del 1984 afferma: “La Repubblica italiana riconosce il particolare significato che Roma, sede vescovile del Sommo Pontefice, ha per la cattolicità.” Questo “particolare significato” è termine vago e generico, che non impegna nessuno. Ben diverso, chiaro e assai più impegnativo il tenore dell’art. 1.2 del Concordato lateranense: “In considerazione del carattere sacro della Città Eterna, sede vescovile del Sommo Pontefice, centro del mondo cattolico e meta di pellegrinaggi, il Governo italiano avrà cura di impedire in Roma tutto ciò che possa essere in contrasto col detto carattere.”
Paolo Pasqualucci
Giovedì 11 febbraio 2021, Nostra Signora di Lourdes,
Giorno Anniversario della Conciliazione.
__________________________________Giovedì 11 febbraio 2021, Nostra Signora di Lourdes,
Giorno Anniversario della Conciliazione.
1. Vedi il mio articolo: A 150 anni da Porta Pia, non è stato ancora risolto in Italia il nodo Chiesa-Stato e lo Stato italiano deve ritenersi ancora “illegittimo”? Una tesi che non convince,. apparso su questo stesso blog il 31 dicembre 2020.
2. Per comodità del lettore, riporto l’art. 7: “Lo Stato e la Chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. I loro rapporti sono regolati dai Patti Lateranensi. Le modificazioni dei Patti, accettate dalle due parti, non richiedono procedimento di revisione costituzionale.”
3. Pietro Agostino D’Avack, Lezioni di diritto ecclesiastico italiano. Le fonti, Giuffré, Milano, 1963, pp. 147-148. 4. Citato in Giovanni Barberini (a cura di), Raccolta di fonti normative di diritto ecclesiastico, 4a ed. riveduta ed ampliata, G. Giappichelli editore, Torino, 1997, p. 49, nota n. 19. Tutti i riferimenti ai Testi dei Patti Lateranensi e all’Accordo di modifica del 1984 provengono da questa Raccolta, pp. 31-59. Oltre al riconoscimento del matrimonio religioso, la Chiesa ottenne altre importanti concessioni. Scrisse Arturo Carlo Jemolo, illustre ecclesiasticista e antifascista del Partito d’Azione, paragonando il concordato italiano con quello negoziato con Hitler nel 1934: “Nessuna speranza per la Chiesa, in regime nazista, di vedersi consegnare dallo Stato la legislazione matrimoniale, di avere illimitata libertà scolastica, di ottenere libertà completa per la predicazione del clero, di mantenere un clero che dipendesse effettivamente da Roma e che non fosse più fortemente legato al potere politico.” (A.C. Jemolo, Chiesa e Stato in Italia. Dall’Unificazione a Giovanni XXIII, Einaudi, Torino, 1965, p. 269.) I nazisti al potere si rivelarono assai presto ostili nei confronti della Chiesa cattolica mentre i rapporti tra regime fascista e Chiesa vista nel suo complesso (Santa sede, episcopato, clero) furono “cordiali, improntati ad uno spirito di collaborazione, di concessioni reciproche.” (Jemolo, op. cit., p. 277).
5. D’Avack, op. cit., pp. 148-149. 6. Op. cit., pp. 149-150.
7 Renzo De Felice, Mussolini il fascista. II. L’organizzazione dello Stato fascista. 1925-1929, Einaudi, Torino, p. 390. Il passo si trova nel cap. V, La Conciliazione, op. cit., pp. 382-436.
8. D.Avack, op. cit., pp. 150-151. 9. Punto n. 6 del Manifesto di Verona (novembre 1943) contenente i 18 punti programmatici per la Costituente, che ovviamente mai ebbe luogo, dello Stato fascista repubblicano: “La religione della Repubblica è la cattolica, apostolica, romana. Ogni altro culto che non contrasti alle leggi è rispettato.”
10. Accordo e protocollo addizionale, art. 2 dell’ Accordo, ed. cit., p. 44, con la nota n. 5.
13 febbraio 1945: il battesimo di Israel Zolli, l'ex rabbino capo di Roma, che scelse il nome di Eugenio in onore di Pio XII.
RispondiElimina"Il rabbino che si arrese a Cristo"