mercoledì 27 gennaio 2021

Omelia del Vescovo Barron nella Messa da Requiem per i non nati

Siamo al punto che il neo-presidente Biden apostrofa come "estremisti" coloro che combattono l'aborto e uno dei suoi primi atti di governo è la promozione della traduzione in legge della sentenza Roe vs. Wade. Nello stesso tempo la speaker della camera Pelosi si dice addolorata che, nel votare Trump, i cattolici pro life, rappresentino una minaccia per la democrazia. Rammentiamo che il vescovo della sua diocesi, Salvatore Cordileone, la corregge e la invita a chiedere scusa [qui]. Intervento esemplare e coraggioso proprio nel momento in cui i sostenitori dell'ex presidente rischiano la delegittimazione delle loro idee e l'isolamento sociale. È in questo alveo che si colloca l’Omelia ripresa di seguito tenuta sabato 23 gennaio scorso da mons. Robert Barron, Vescovo ausiliare di Los Angeles, nella Messa da requiem per i non nati, presieduta da mons. José H. Gomez [vedi suo recente intervento], Arcivescovo metropolita di Los Angeles e Presidente della Conferenza dei Vescovi cattolici degli Stati Uniti, nella Cattedrale di Nostra Signora degli Angeli. Una indubbia presa di posizione sui temi cari al Magistero cattolico. Non mancano citazioni di alcune delle sporadiche affermazioni corrette di Bergoglio, che non correggono l'inqualificabile sostegno esplicito del Vaticano ai nuovi indirizzi politici USA e loro rappresentanti. (M.G.)

Omelia del vescovo Barron nella Messa da Requiem per i non nati. “L’aborto non è un problema minore. Non c’è attacco più brutale alla vita umana di questo”
 
Miei cari fratelli e sorelle nel Signore Gesù, vorrei innanzitutto offrire una parola di gratitudine all’Arcivescovo Gomez per la sua guida qui nell’Arcidiocesi di Los Angeles e nella Chiesa degli Stati Uniti, soprattutto per quanto riguarda la causa pro vita. In secondo luogo, vorrei ringraziare tutti voi che lavorate per anni nella vigna del Signore, sforzandovi di proteggere la vita in tutte le fasi. Che Dio vi benedica e continui a darvi forza e coraggio!
Perché combattiamo per la vita? Lo facciamo perché siamo Americani e perché siamo Cattolici. Come Cattolici sappiamo che Dio è un Dio della vita. I versetti iniziali del libro della Genesi ci dicono che il Signore crea la vita in tutta la sua meravigliosa abbondanza e diversità e dona alla vita umana una dignità unica. Inoltre, praticamente ogni libro dell’Antico Testamento conferma che Dio sigilla le sue alleanze con l’umanità con l’ingiunzione: «Siate fecondi e moltiplicatevi!» Sappiamo dal profeta Geremia che anche la vita umana non ancora nata è sacra, poiché il Signore disse a Geremia: «Prima di formarti nel grembo materno, ti conoscevo; un profeta per le nazioni che ti ho nominato».

Sappiamo, anche, che la vita dei malati e degli anziani è importante, perché il libro dei Proverbi ci dice: «Non disprezzare tua madre quando è vecchia», e il libro del Siracide dice: «Figlio mio, aiuta tuo padre nella sua vecchiaia e non rattristarlo finché vive; anche se la sua mente fallisce, sii paziente con lui». Sappiamo che la vita dei poveri e dei dimenticati conta per il profeta Isaia, trasmettendo la voce del Signore, dice: «Non è questo il digiuno che scelgo: lasciare che gli oppressi vadano liberi e rompere ogni giogo... condividi il tuo pane con gli affamati e porta i poveri senza tetto nella tua casa».

Gli stessi temi sono suonati anche nel Nuovo Testamento. Nel decimo capitolo del Vangelo di San Giovanni, lo stesso Signore Gesù dice: «Sono venuto affinché tu possa avere la vita e averla in pienezza». E questo include la vita del nascituro, perché nella storia della Visitazione, poiché apprendiamo che «dopo aver ascoltato la voce di Maria, Giovanni Battista sussultò di gioia nel grembo di sua madre». La cosa più importante, al centro della proclamazione evangelica della Chiesa è che Gesù crocifisso è stato, attraverso la potenza dello Spirito Santo, risorto dai morti. Quindi il nostro Dio è definitivamente e in modo provocatorio un Dio della vita.

Ed è per questo che, sin dai suoi primi giorni, la Chiesa ha promosso e protetto la vita umana. In effetti, la radicale riluttanza dell’antica comunità cristiana a tollerare gli assalti alla vita era un fattore chiave per attirare le persone al nuovo movimento. Ecco perché, anche oggi, la Chiesa si oppone a qualsiasi tentativo di attaccare direttamente la vita umana in qualsiasi fase del suo sviluppo.

Ma come ho detto, siamo anche difensori della vita perché siamo Americani. I grandi valori che stanno alla base del nostro unico esperimento politico di libertà ordinata sono quelli con cui i biblici trovano una profonda risonanza. «Riteniamo che queste verità siano evidenti: che tutti gli uomini sono creati uguali e sono dotati dal loro creatore di determinati diritti inalienabili». Poiché la nostra uguaglianza nasce dall’essere creati, non pensiamo che i nascituri, gli anziani o i malati siano meno uguali del resto della popolazione. E poiché i diritti che abbiamo sono inalienabili, ottengono nei confronti dei più deboli e vulnerabili della nostra società.

E quali sono precisamente questi diritti? Thomas Jefferson ci dice: «La vita, la libertà e la ricerca della felicità». Ancora una volta, poiché provengono non dallo Stato ma da Dio, questi privilegi sono insiti in tutti. Allora, chi siamo per dire a un bambino non ancora nato, «hai perso il diritto alla vita» o a una persona malata e anziana, «la tua libertà può essere abrogata», o a qualcuno ai margini della società, «siamo indifferenti alla tua felicità». Come Americani, ci opponiamo a queste aggressioni ai diritti umani.

E amici, per affermare chiaramente ciò a cui ho già accennato, la nostra preoccupazione per la vita è ampia e profonda. Come afferma Papa Francesco, «sacra sono le vite dei poveri, di coloro che sono già nati, dei poveri, degli abbandonati e dei diseredati, degli infermi vulnerabili e degli anziani esposti all’eutanasia segreta, delle vittime della tratta di esseri umani, delle nuove forme di schiavitù e di ogni forma di rifiuto». Pertanto, chiunque sia vittimizzato, chiunque sia solo e spaventato, chiunque sia sotto oppressione politica, chiunque subisca pregiudizi razziali, chiunque sia trattato con mancanza di rispetto a causa della sua religione, chiunque sia in pericolo di salute perché non riesce a trovare cibo a sufficienza o acqua pulita, viene legittimamente sotto la cura e preoccupazione della Chiesa.

Tuttavia, la Chiesa riconosce la necessità di stabilire priorità tra le questioni della vita, alzando la sua voce con particolare insistenza quando la vita umana è direttamente minacciata. Questo è il motivo per cui l’eutanasia, la pena capitale e l’aborto sono di primaria importanza. E di questi tre, la questione dell’aborto rimane, come l’hanno definita i vescovi degli Stati Uniti, «preminente», a causa dell’enorme numero di vite che distrugge. Sapevate che ogni anno, tra il 2015 e il 2019, nel mondo si sono verificati 73 milioni di aborti indotti? Lo sapevate che tre gravidanze su dieci, in quegli stessi anni, sono finite con un aborto? Solo nel nostro paese, lo scorso anno si sono verificati più di 800.000 aborti e, dall’approvazione di Roe v. Wade, negli Stati Uniti si sono verificati oltre 61 milioni di aborti. Questo non è un problema minore; infatti, non c’è attacco più brutale alla vita umana di questo.

Così dice Papa Francesco: «Tra questi deboli, di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti». E rivolgendosi ai difensori culturalmente alla moda della posizione pro-scelta, Papa Francesco afferma: «Voglio essere del tutto onesto al riguardo. Questo non è un argomento soggetto a presunte riforme o a “modernizzazioni”. Non è progressista pretendere di risolvere i problemi eliminando una vita umana». E ancora più schiettamente: «Non è giusto “fare fuori” un essere umano, benché piccolo, per risolvere un problema. È come affittare un sicario per risolvere un problema».

Amici, da dove viene questa indifferenza alla vita? Proviene dai cuori umani peccatori, certo, ma anche da quella che San Giovanni Paolo II chiamava «la cultura della morte» e quella che Papa Francesco ha memorabilmente chiamato la «cultura dello scarto». Ciò che è necessario, quindi, sia a livello personale che sociale è il pentimento. Ascolta Gesù dalla nostra lettura del Vangelo per questa sera. Questo è il suo discorso inaugurale, le prime parole che sentiamo da lui nel primo Vangelo: «Questo è il tempo del compimento. Il regno di Dio è vicino. Pentitevi e credete nel Vangelo». Il regno di Dio è tutto ciò che ostacola la cultura della morte e la cultura dello scarto. È lo stato di cose che si ottiene quando a Dio è permesso di regnare su ogni aspetto della vita. Per entrarvi, bisogna sottoporsi alla «conversione», metanoia, che in greco ha il senso di «andare oltre la mente che si ha» o «vedere in modo nuovo».

L’espressione di Sant’Agostino per la cultura dello scarto e la cultura della morte è «la città terrena», con cui intende una comunità centrata sull’amor proprio. La conversione, per Agostino, consiste nel passare dalla città terrena a quella che ha definito «la Città di Dio», quella comunità basata non sull’amore di sé ma sull’amore di Dio. In quella città, piena di convertiti, la cultura della vita domina; in quella città nessuno è lasciato indietro; in quella città nessuno viene buttato via.

Quindi siamo tutti chiamati a un pentimento costante e sempre più profondo. Dobbiamo diventare, sempre più pienamente, cittadini della Città di Dio. Ma poi dobbiamo chiamare il resto del mondo alla conversione. La nostra prima lettura incomparabilmente ricca è tratta dal libro del profeta Giona, a cui Dio aveva ordinato di predicare alla depravata città di Ninive, la capitale di un impero profondamente nemico di Israele. Naturalmente, Giona esitò: gli fu detto di andare a est via terra, andò a ovest via mare, cercando di allontanarsi il più possibile dalla voce di Dio. Ma il Signore mandò un grande pesce che inghiottì il riluttante profeta e lo riportò dove Dio lo voleva. Una volta intrapreso il suo compito, divenne il più grande profeta di pentimento della storia. Tutti nella pagana Ninive, dal cittadino più comune allo stesso Re, indossavano il sacco – anche gli animali, ci viene detto, si pentivano!

Siamo tutti Giona! Dio vuole che predichiamo a Ninive, alla nostra società sempre più secolarizzata, a una cultura dell’usa e getta – ed è altrettanto scoraggiante ora come lo era allora. So che, come l’antico profeta, siamo tentati di scappare. Dati gli atteggiamenti e i pregiudizi della nostra società, riteniamo che questo compito sia semplicemente troppo scoraggiante. Ma se ci arrendiamo a Dio, potenti forze verranno in nostro aiuto!

Non c’è limite a ciò che il Signore potrebbe realizzare attraverso la nostra testimonianza. Predichiamo, certo, con le nostre parole, attraverso pubblicazioni, attraverso Internet, conversando con amici e nemici, marciando e alzando la nostra voce in pubblica protesta. Ma predichiamo in modo ancora più potente attraverso le nostre azioni.

Molti anni fa, il Cardinale John O’Connor di New York disse, che come espressione concreta di un impegno a favore della vita, ogni parrocchia della sua arcidiocesi dovrebbe essere disposta e in grado di prendersi cura di una donna incinta e del suo bambino, qualunque cosa accada, in ogni circostanza. Il successore del Cardinale O’Connor, il Cardinale Timothy Dolan ha raccontato una storia di pochi anni fa. Nel periodo natalizio, una giovane madre, una recente immigrata messicana, ha dato alla luce un bambino fuori dal matrimonio. Non aveva soldi; non aveva un posto decente dove stare e non aveva mezzi per prendersi cura di suo figlio. Così è andata alla sua parrocchia locale, dove si era sentita accolta e pose il suo bambino, con il cordone ombelicale ancora attaccato, nella culla del presepe. Ben presto, le brave persone ascoltarono le grida del bambino e trovarono un modo per prendersi cura di lui. Questa è una storia della Città di Dio; è così che si comportano le persone convertite; è l’opposto della cultura dello scarto. E quella storia, ripresa dai giornali di tutto il paese, predicava veramente.

E così, miei concittadini americani, miei concittadini cattolici, combattiamo per la vita. Accettiamo volentieri la scoraggiante missione che Dio ci ha affidato di andare a Ninive e predicare il pentimento – nella stagione e fuori, quando ci amano per questo e quando ci odiano per questo, nonostante la derisione e lo scoraggiamento, quando i venti politici stanno soffiando con noi e quando soffiano contro di noi. Combattiamo per la vita. Perché non c’è limite a ciò che Dio può realizzare attraverso di noi quando ci arrendiamo alla sua volontà e al suo scopo. (Fonte)

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