giovedì 28 gennaio 2021

Pio XII vide l’onda neomodernista e lanciò l’allarme

A breve tornerò su Pio XII per affrontare alcuni accenni di modernismo presenti, secondo un sacerdote nostro lettore, in alcuni suoi documenti; il che mi ha interpellata non poco, pur nella consapevolezza che i germi dell'attuale crisi vengono da lontano e hanno attraversato anche il suo pontificato. Sono molto legata alla sua figura che ho sempre ammirato e ai suoi insegnamenti, anche perché è il Papa della mia giovinezza dal quale ho ricevuto le prime benedizioni apostoliche... Sto cercando di approfondire e credo che sarò in grado di aggiustare il tiro. Il che sarà, spero, fruttuoso per tutti.

Non è un mistero che la figura di Pio XII piace poco ai cattolici progressisti e bergogliosi, e infatti ne parlano il minimo indispensabile, quando proprio vi sono costretti. Il bello è che il processo di canonizzazione, aperto nel lontano 1967, è affidato ai gesuiti: si può bene immaginare che costoro non abbiano alcuna fretta di portarlo avanti, dal momento che Pio XII rappresenta esattamente l’opposto della Chiesa che essi hanno in mente e che stanno realizzando a grandi tappe.
Non che avessero, o abbiano, alcuna ragione valida per ritardare un atto ormai dovuto; ma tant’è, come nel caso di padre Léon Dehon, che doveva essere proclamato santo nel 2005 e invece è rimasto “sospeso” a tempo indeterminato, ragioni valide, di questi tempi, non ne occorrono più: basta un sospetto, basta un bisbiglio, specie se arriva dagli onnipresenti e onnipotenti fratelli maggiori, e le pratiche si arrestano, le lingue si trattengono, i discorsi cadono come per magia.
Nel caso di Pio XII, poi, le “colpe” inespresse, ma assai gravi, che pesano sulla sua memoria sono almeno tre: oltre al preteso “silenzio” sulla persecuzione antiebraica dei nazisti, durante la Seconda guerra mondiale, ci sono la scomunica ai comunisti, col decreto del 1949 (mentre il suo successore Roncalli, per propiziarsi la benevola neutralità del regime sovietico, avrebbe stretto l’infame accordo di Metz del 1962) e, più in generale, l’aver fatto quanto poteva per ritardare quel processo di modernizzazione della Chiesa e del cattolicesimo che tanto stava a cuore ai massoni in abito talare, visto e considerato che il ritardo da recuperare nei confronti del mondo moderno, a giudizio del massone cardinal Martini, era di almeno due secoli.

Fra le altre cose, Pio XII aveva curato moltissimo la devozione mariana e, facendo ricorso la sola volta in tutto il XX secolo all’infallibilità papale, aveva proclamato il dogma dell’Assunzione di Maria (con la bolla Munificentissimus Deus, nell’Anno Santo 1950). Aveva anche chiesto prudenza nel dibattito sull’evoluzionismo, ora non più rigettato, ma ribadendo l’incompatibilità della visione scientifica materialista e la fede cattolica, e seguitando giustamente a considerare l’evoluzionismo come un’ipotesi biologica e non una verità dimostrata definitivamente.

Ma la “colpa” più grave di tutte è stata, agli occhi di quei signori, l’aver ritardato la convocazione di un concilio ecumenico, progetto che gli eretici modernisti travestiti da cattolici progressisti stavano portando avanti già da tempo, e che tessevano instancabilmente nell’ombra, come ragni in attesa della preda. Pio XII, in effetti, vedeva che la struttura amministrativa della Chiesa necessitava di riforme e si era anche chiesto se non fosse il caso di indire un concilio; ma si era sempre trattenuto per una ragione molto semplice: conosceva assai bene la penetrazione della massoneria nell’alto clero e temeva, a ragione, che i vescovi massoni avrebbero colto prontamente l’occasione per sferrare l’attacco decisivo contro la liturgia e la dottrina. Fu lui, infatti, a dare in forma privata, o piuttosto in segreto, al coraggioso sacerdote don Luigi Villa, l’incarico di condurre la sua pericolosa missione volta a tracciare una vera e propria mappa della presenza massonica nella Chiesa, come già lo aveva esortato a fare san Pio da Pietrelcina, col quale questi s’era incontrato nel convento di San Giovanni Rotondo, e che era preoccupato quanto il Santo Padre per la stessa minaccia; missione che, infatti, sarebbe costata a don Villa la bellezza di sette tentativi di assassinio, tutti sventati fortunosamente, ma non sempre senza danni anche piuttosto seri, grazie alla protezione della Santissima Vergine Maria, alla quale si era affidato.

Parlando con il suo amico conte Enrico Pietro Galeazzi (1896-1986), architetto e progettista della basilica di Sant’Eugenio a Roma, Pio XII una volta ebbe a dire (in: Paolo Risso, Gesù dove lo hanno messo?, a p. 9 del numero del 22/11/20 del Settimanale di Padre Pio, l’ottima rivista dei Francescani dell’Immacolata che continua ad uscire, nonostante il commissariamento dell’istituto voluto da Bergoglio fin dal luglio del 2013):
Supponga, caro amico, che il comunismo sia uno degli strumenti di sovversione più evidenti usati contro la Chiesa e la Tradizione della Rivelazione divina: allora noi assisteremo alla contaminazione di tutto ciò che è spirituale: filosofia, scienza, legge, insegnamento, arti, media, letteratura, teatro e religione.
Sono scosso dalle confidenze che la Santissima Vergine ha fatto alla piccola Lucia di Fatima. Questo insistere da parte della Buona Signora sul pericolo che minaccia la Chiesa è un avvertimento divino contro il suicidio che rappresenterebbe l’alterazione della Fede nella sua liturgia, nella sua teologia e nella sua anima.
Sento intorno a me che i novatori vogliono smantellare la Sacra Cappella [la Chiesa], distruggere la fiamma universale della Chiesa, rigettare i suoi ornamenti e procurarle rimorsi per il suo passato storico. Ebbene, mio caro amico, sono convinto che la Chiesa di Pietro dovrà rivendicare il suo passato, altrimenti si scaverà la sua stessa tomba.
Io combatterò questa battaglia con tutte le mie forze all’interno della Chiesa, come al di fuori di Essa, anche se le forze del male forse un giorno potrebbero approfittarne per distorcere la mia persona, le mie azioni o i miei scritti, come si prova oggi a deformare la storia della Chiesa. Tutte le eresie umane che alterano la Parola di Dio sono fatte per sembrare di essere migliori di Essa.
E a un cardinale di curia, con accenti ancor più profetici (op. cit., p. 11):
Verrà un giorno i cui il mondo civilizzato rinnegherà il suo Dio; e la Chiesa dubiterà come dubitò Pietro. Essa sarà allora tentata di credere che l’uomo è diventato Dio, che il Figlio suo Gesù Cristo non è che un simbolo, una filosofia come tante altre. Nelle chiese i cristiani cercheranno invano la lampada rossa dove Gesù li aspetta; e grideranno, come la Maddalena in lacrime davanti alla tomba vuota: «Dove lo hanno messo?».
Sarà allora che si alzeranno i sacerdoti dall’Africa, dall’Asia, dalle Americhe – quelli formati nei seminari missionari – che diranno e grideranno che il “pane della vita” non è un pane ordinario, ma il Corpo di Cristo, che la Madre dell’Uomo-Dio non è una madre come le altre. E essi saranno fatti a pezzi per aver testimoniato che il Cristianesimo non è una religione come le altre, poiché il suo capo è il Figlio di Dio e la Chiesa Cattolica è la sua Chiesa.
Colpisce, oltre la lucidità dell’analisi di Pio XII sulla situazione della Chiesa, la dimensione profetica delle sue parole. Il fatto è che noi ci siamo talmente abituati alla situazione presente, o, nel caso dei più giovani, l’hanno sempre vista così, da non percepire neanche più quanto d’incongruo, di disordinato, d’intrinsecamente sbagliato vi è in essa. Noi oggi entriamo in una chiesa per pregare e non rivolgiamo istintivamente lo sguardo al tabernacolo col Santissimo, non cerchiamo per prima cosa quel lumino rosso che segnala la Presenza Viva di Gesù Cristo nel suo tempio, e infatti spesso non c’è, o non è visibile, perché molti bravi preti modernisti hanno pensato bene di nasconderla, di metterla in qualche altare laterale o addirittura in sacrestia: non sia mai che “certe superstizioni da Medioevo” allignino nella loro parrocchia, nella quale è lecito parlare solo di problemi sociali, di migranti, di ambiente e di cambiamento climatico, e non si nomina quasi più Gesù Cristo, né si parla di questioni etiche che sono tabù per gli anticattolici, come l’aborto, per “non creare divisioni” ma in compenso ci si riempie la bocca di continuo con espressioni come: Francesco ha detto così, Francesco ha fatto colà, come ci ricorda sempre papa Francesco, ecc. Allo stesso modo, si direbbe che per molti “cattolici”, o sedicenti tali, sia cosa normale udire un papa, o sedicente tale, dire che Maria era una donna, anzi, una ragazza come tutte le altre; ma in Pio XII l‘intuizione che un simile scandalo sarebbe arrivato, e che sarebbe arrivato proprio dalla gerarchia, come del resto la Madonna ha tante volte profetizzato, da Fatima a La Salette, nella prima metà del XX secolo, ha qualcosa di soprannaturale. E basterebbero queste intuizioni, questi lampi di acuta, dolorosa consapevolezza, come peraltro li ebbe padre Pio da Pietrelcina, il santo frate perseguitato oltre ogni limite di cattiveria da una gerarchia marcia di corruzione, per misurare tutta la grandezza di Pio XII: anche se non è passato alla storia con l’appellativo di “papa buono”, come il suo successore.

Ricordiamo che con l’enciclica Humani generis del 12 agosto 1950 Pio XII aveva condannato alcune erronee opinioni della cultura moderna che andavano a minare direttamente le basi stesse della dottrina cattolica, in particolare la cosiddetta Nuova Teologia (Nouvelle théologie di matrice francese) e il neo-modernismo che, a detta di Jacques Maritain, si configurava allora come una vera polmonite, laddove il modernismo dei primi anni del Novecento era stato al confronto una semplice febbre da fieno; e al tempo stesso riaffermava l’accordo fra ragione naturale e Rivelazione cristiana, sul solco della grande teologia tomista: con la sola luce naturale della ragione si può provare con certezza l’origine divina della religione Cristiana.

Vale la pena di rileggersi il passaggio centrale del terzo capitolo dell’enciclica, dedicato al rapporto tra ragione e fede e deplorante la tendenza a disprezzare il filone più ricco e vitale dalla teologia cattolica, il tomismo, per una smania disordinata e inconcludente di novità fine a se stessa:

Tutti sanno quanto la Chiesa apprezzi il valore della ragione umana, alla quale spetta il còmpito di dimostrare con certezza l’esistenza di un solo Dio personale, di dimostrare invincibilmente per mezzo dei segni divini i fondamenti della stessa fede cristiana; di porre inoltre rettamente in luce la legge che il Creatore ha impressa nelle anime degli uomini; ed infine il còmpito di raggiungere una conoscenza limitata, ma utilissima, dei misteri (Cfr. Conc. Vat. D. B. 1796).

Ma questo còmpito potrà essere assolto convenientemente e con sicurezza, se la ragione sarà debitamente coltivata: se cioè essa verrà nutrita di quella sana filosofia che è come un patrimonio ereditato dalle precedenti età cristiane e che possiede una più alta autorità, perché lo stesso Magistero della Chiesa ha messo al confronto con la verità rivelata i suoi principî e le sue principali asserzioni, messe in luce e fissate lentamente attraverso i tempi da uomini di grande ingegno. Questa stessa filosofia, confermata e comunemente ammessa dalla Chiesa, difende il genuino valore della cognizione umana, gli incrollabili principî della metafisica cioè di ragion sufficiente, di causalità e di finalità ed infine sostiene che si può raggiungere la verità certa ed immutabile. (…) Qualsiasi verità la mente umana con sincera ricerca ha potuto scoprire, non può essere in contrasto con la verità già acquisita; perché Dio, Somma Verità, ha creato e regge l'intelletto umano non affinché alle verità rettamente acquisite ogni giorno esso ne contrapponga altre nuove; ma affinché, rimossi gli errori che eventualmente vi si fossero insinuati, aggiunga verità a verità nel medesimo ordine e con la medesima organicità con cui vediamo costituita la natura stessa delle cose da cui la verità si attinge. Per tale ragione il cristiano, sia egli filosofo o teologo, non abbraccia con precipitazione e leggerezza tutte le novità che ogni giorno vengono escogitate, ma le deve esaminare con la massima diligenza e le deve porre su una giusta bilancia per non perdere la verità già conquistata o corromperla, certamente con pericolo e danno della fede stessa.

Se si considera bene quanto sopra è stato esposto, facilmente apparirà chiaro il motivo per cui la Chiesa esige che i futuri sacerdoti siano istruiti nelle scienze filosofiche "secondo il metodo, la dottrina e i principi del Dottor Angelico" (Corp. Jur. Can., can. 1366, 2), giacché, come ben sappiamo dall'esperienza di parecchi secoli, il metodo dell'Aquinate si distingue per singolare superiorità tanto nell'ammaestrare gli animi che nella ricerca della verità; la sua dottrina poi è in armonia con la Rivelazione divina ed è molto efficace per mettere al sicuro i fondamenti della fede come pure per cogliere con utilità e sicurezza i frutti di un sano progresso...

Pare che alcuni documenti di Giovanni Paolo II, come l’enciclica Veritatis splendor del 6 agosto 1993, e di Benedetto XVI, in particolare l’enciclica Caritas in veritate del 29 giugno 2009, ma anche la “lectio magistralis” Fede, ragione e università, nota come Discorso di Ratisbona, del 12 settembre 2006, riecheggino e sviluppino questo aspetto della pastorale di Pio XII. Con una grossissima differenza, però: che mentre i papi del post-concilio si sono dovuti arrampicare sugli specchi per mettere d’accordo le novità conciliari col tomismo e il Magistero perenne, inventandosi un’ermeneutica della continuità che di fatto non esiste, tale difficoltà non si pone affatto per Pio XII. Anche da ciò si può misurare la statura di colui che è stato l’ultimo grande papa della Chiesa cattolica.
Francesco Lamendola, 25 Gennaio 2021 - Fonte

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