venerdì 2 settembre 2022

Müller, l’intervento negato al Concistoro. Una Chiesa iper-papalista è una caricatura

Anche il cardinale Müller non tace, al pari di Brandmüller (qui). Lo apprendiamo da LifeSiteNews. Qui l'indice degli articoli su Sinodo e sinodalità.

Müller, l’intervento negato al Concistoro.
Una Chiesa iper-papalista è una caricatura.


Il cardinale Gerhard Müller, ex capo della Congregazione per la dottrina della fede (CDF), ha gentilmente fornito a LifeSite una copia delle sue riflessioni sulla riforma della Curia in corso di attuazione con il documento pontificio Praedicate Evangelium, firmato da Papa Francesco il 19 marzo. Müller aveva intenzione di presentare la sua dichiarazione al Concistoro dei cardinali che si è riunito a fine agosto a Roma, ma a causa del tempo limitato concesso per parlare alla riunione, non ha potuto consegnarla.
Nella sua dichiarazione, il cardinale tedesco, che è stato licenziato da Papa Francesco in modo improvviso nel giugno 2017, chiarisce che vede una tendenza preoccupante attualmente in atto nella Chiesa. Egli si oppone sia a un forte papalismo che mina l’autorità di insegnamento sacramentale di ogni singolo vescovo, sia all’indebolimento dell’ufficio e dell’autorità ordinati attraverso la delega a laici di posizioni di comando nella Curia romana e nelle diocesi.
“Non è un progresso dell’ecclesiologia”, scriveva, “ma una palese contraddizione con i suoi principi fondamentali, se tutta la giurisdizione nella Chiesa è dedotta dal primato giurisdizionale del Papa. Anche la grande verbosità del ministero, della sinodalità e della sussidiarietà non può nascondere la regressione a una concezione teocratica del papato”.
Il prelato tedesco ha insistito sul fatto che l’autorità del Papa si basa sul fatto che Cristo stesso gli ha dato l’autorità, e nessun altro. “Pietro agisce nell’autorità di Cristo come suo vicario. La sua autorità di legare e sciogliere non è una partecipazione all’onnipotenza di Dio”, ha insistito Müller. Continua dicendo che “l’autorità apostolica del Papa e dei vescovi non è un diritto proprio, ma solo un potere spirituale conferito per servire la salvezza delle anime attraverso l’annuncio del Vangelo, la mediazione sacramentale della grazia e la direzione pastorale del popolo di Dio pellegrino verso la meta della vita eterna”.
In altre parole, l’autorità del Papa è vincolata e limitata dal suo dovere di condurre le anime alla salvezza nel modo in cui Cristo stesso l’ha ordinata. Non è indipendente dal mandato di Cristo.
Pertanto, “una Chiesa totalmente fissata sul Papa era ed è sempre la caricatura dell'“insegnamento cattolico sull’istituzione, la perpetuità, il significato e la ragione del sacro primato del Romano Pontefice”, ha spiegato il cardinale.

Basandosi sul principio dei limiti dell’autorità del Papa, il cardinale Müller chiarisce che il Papa non può cambiare l’ordine gerarchico e sacramentale della Chiesa nominando dei laici a capo di una diocesi o di un ufficio curiale. “Né il Papa può conferire a un laico in modo extra-sacramentale – cioè con un atto formale e legale – il potere di giurisdizione in una diocesi o nella curia romana, in modo che i vescovi o i sacerdoti possano agire in suo nome”, ha scritto il prelato.
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Intervento del Card. Gerhard Müller

Non è un progresso dell’ecclesiologia, ma una palese contraddizione con i suoi principi fondamentali, se tutta la giurisdizione nella Chiesa viene dedotta dal primato giurisdizionale del Papa. Anche la grande verbosità del ministero, della sinodalità e della sussidiarietà non può nascondere la regressione a una concezione teocratica del papato.

Questi ideali non devono solo essere trasmessi agli altri come desiderata, ma devono essere dimostrati quotidianamente nel trattamento esemplare dei propri collaboratori, soprattutto dei sacerdoti. È necessario avere assolutamente chiara la differenza fondamentale tra l’autorità ecclesiastica del Papa come successore di Cristo e le sue funzioni politico-mondane come sovrano dello Stato Vaticano o della Santa Sede come soggetto di diritto internazionale. Ogni giurisdizione ecclesiastica è di natura apostolica-sacramentale e legata alla salvezza delle anime, distinta dalla natura politico-giuridica dell’esercizio del potere in uno Stato, compreso lo Stato Vaticano. Pietro agisce nell’autorità di Cristo come Suo Vicario. La sua autorità di legare e sciogliere non è una partecipazione all’onnipotenza di Dio. Egli infatti non gli disse: “A te è stato dato ogni potere in cielo e in terra” (cfr. Mt 28,18). L’autorità apostolica del Papa e dei vescovi non è un diritto proprio, ma solo un potere spirituale conferito per servire la salvezza delle anime attraverso l’annuncio del Vangelo, la mediazione sacramentale della grazia e la direzione pastorale del popolo di Dio pellegrino verso la meta della vita eterna. Poiché Pietro ha confessato Gesù come Figlio del Dio vivente sulla base della Rivelazione del Padre, Cristo gli ha fatto la promessa: “Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia (!) Chiesa”. (Mt 16,18).

Una chiesa totalmente fissata sul Papa era ed è sempre la caricatura dell'”insegnamento cattolico sull’istituzione, la perpetuità, il significato e la ragione del sacro primato del Romano Pontefice” (Lumen gentium 18). Con questa concezione qualsiasi ecumenismo con gli ortodossi e i protestanti è destinato a fallire fin dall’inizio.

Per quanto riguarda la classica separazione tra potestas ordinis e jurisdictionis, che dovrebbe stabilire una giurisdizione papale totale, il Vaticano II vi ha rinunciato a causa della sua inadeguatezza. Già secondo Tommaso d’Aquino, la potestas ordinis non significa semplicemente l’autorità di amministrare i sacramenti. Piuttosto, potestas ordinis significa che nell’ordinazione vengono conferiti tutti i poteri, anche se l’ufficio pastorale può essere limitato nella sua giurisdizione concreta. (S.th. II-II q. 39 a.3). Non esistono quindi due categorie equivalenti di potestas ecclesiastica, ma solo un’unica potestas ordinis, di cui la potestas jurisdictionis è parte integrante ma subordinata.

Inoltre, la separazione del vescovo di Roma con la sua potestas ordinis per la sua diocesi dalla potestas juridictionis del Papa come successore di Pietro per la Chiesa universale contraddice formalmente il dogma del Vaticano I (Dog. Cost. Pastor aeternus 2. Cap. Canone: “Si quis dixerit…. Romanum pontificem non esse beati Petri in eodem primatu sucessorem anathema sit”. DH 3058). La Curia romana è la partecipazione istituzionalizzata della Chiesa romana al primato petrino. Non può essere organizzata in modo puramente secolare secondo i criteri di una fondazione multinazionale. Questo sembra essere il problema di fondo irrisolto nell’approccio del “Praedicate Evangelium”. Si vendica quando, nell’elaborazione di importanti documenti papali, viene trascurata la teologia sistematica e, invece di chiari principi dogmatici, una combinazione di desideri spirituali e categorie secolari di potere costituiscono l’approccio ermeneutico di base.

La Chiesa come sacramento universale della salvezza del mondo è radicata nell’Incarnazione. Non possiamo, come i protestanti, dividere la Chiesa in una comunità invisibile di grazia (communio) e una comunità visibile di diritto (societas). La comunità visibile della fede non è un’organizzazione religiosa fondata da esseri umani, ma il Corpo ecclesiale-sacramentale di Cristo (Vat. II. Lumen gentium 8). Essa serve nella martyria, nella leiturgia e nella diakonia l’unione più intima degli esseri umani con Dio e l’unità dell’Umanità (LG 1). Pertanto, è sempre Cristo stesso che, attraverso il vescovo, insegna, santifica e governa pastoralmente o giuridicamente (LG 20f). Né il Papa e i vescovi né – come nel sistema statale protestante e cattolico – le autorità secolari o un corpo misto di laici ed ecclesiastici (vedi l’aberrazione sinodale tedesca!) possono guidare la Chiesa di Dio come un’organizzazione secolare, sia in forma autoritaria-monocratica, sia in forma sinodale-democratica.

Per la sua natura sacramentale e non solo per le norme giuridiche positive, l’ufficio del vescovo può essere esercitato solo collegialmente in comunione con l’intero episcopato cum et sub Petro. Ogni vescovo, in virtù della sua consacrazione, partecipa alla giurisdizione dell’episcopato nel suo complesso, mentre il Papa, in quanto capo del collegio, può anche parlare e agire in nome di Cristo per tutta la Chiesa. Ogni vescovo, in virtù del diritto divino, partecipa al Concilio Ecumenico (LG 25).

Il Papa, tuttavia, non è un supervescovo o un sovrano assoluto della Chiesa, come se partecipasse all’onnipotenza di Dio, ma, in quanto capo della Chiesa locale di Roma, è il perpetuo principio visibile e fondamento dell’unità nella fede e della communio ecclesiarum (LG 18,23).

Né il Papa può conferire ad alcun laico in via extra-sacramentale – cioè con un atto formale e giuridico – il potere di giurisdizione in una diocesi o nella curia romana, affinché i vescovi o i sacerdoti agiscano in suo nome. “I vescovi, dunque, con i loro aiutanti, i presbiteri e i diaconi, hanno assunto il servizio della comunità, presiedendo al posto di Dio al gregge, di cui sono pastori, come maestri per la dottrina, sacerdoti per il culto sacro” (Lumen gentium 20).

I casi contrari nella storia della Chiesa e del Papato non sono argomenti teologici, ma solo prove di una teologia carente o dell’abuso dell’autorità spirituale per scopi secolari. È di cattivo auspicio la soppressione delle congregazioni dei cardinali (come assemblea parziale del concistoro di tutti i cardinali) a favore dell’uguaglianza formale di tutte le istituzioni della Curia e della Santa Sede come autorità burocratiche e amministrative con il nome di Dicastero.

Certo, il Dicastero per la comunicazione mediatica può essere diretto da un laico competente, ma non le Congregazioni per la Dottrina della Fede, per la Liturgia, per i Vescovi, per il Clero, ecc. i cui prefetti, in quanto chierici della Chiesa romana, collaborano con il Vescovo di Roma in qualità di successore di San Pietro (in breve, “il Papa”).

Di conseguenza, la sacramentalità dell’episcopato significa anche che i vescovi non sono né deputati né delegati del Papa (LG 27). Essi esercitano i poteri spirituali conferiti loro da Cristo durante l’ordinazione nel nome di Cristo, non nell’autorità del Papa, come vuole ancora una volta questo papalismo estremo di oggi. La deposizione di un vescovo o la pressione morale su di lui perché si dimetta volontariamente può essere giustificata davanti a Dio solo come ultima ratio in vista del bonum ecclesiae. È necessaria una rilettura del “Praedicate evangelium” alla luce della dottrina vincolante per la Chiesa della Costituzione dogmatica del Vaticano II, “Lumen gentium”.

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