giovedì 28 settembre 2023

Il cardinale Sarah sulla teologia liturgica di Joseph Ratzinger e l'allontanamento da essa di Francesco

Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement, un articolo del Porf. Peter Kwansiewski sulla posizione del card Sarah nei confronti degli evidenti contrasti tra la teologia liturgica di papa Ratzinger e quella di Bergoglio. Ineludibile il riferimento a Traditionis custodes (vedi indice articoli). La posizione del card. Sarah è notoriamente tra i 'conservatori'; ma in questo caso viene ripareggiata la verità.

Il cardinale Sarah sulla teologia liturgica di Joseph Ratzinger
e l'allontanamento da essa di Francesco

New Liturgical Movement ha più volte riportato il nome e gli scritti del cardinale Robert Sarah, che Benedetto XVI scelse come suo stretto collaboratore nella sacra liturgia, e che fu messo da parte nei primi anni dell'attuale pontificato.

Il cardinale Sarah non ha mai smesso di testimoniare con chiarezza la priorità della liturgia nella vita della Chiesa e l'urgente necessità di un ritorno a una sana prassi liturgica dopo il subbuglio del Concilio. Ne ha parlato con particolare chiarezza fin dall'uscita di Traditionis Custodes.

È quindi di notevole interesse notare che abbia pubblicato un importante articolo sulla rivista Communio dal titolo “L’inesauribile realtà: Joseph Ratzinger e la Sacra Liturgia” (vol. 49, inverno 2022), reso disponibile gratuitamente dalla testata (qui). Sebbene l’intero articolo meriti di essere letto, vorrei attirare particolare attenzione sui passaggi seguenti.

Alle pp. 639-40:
Uno dei contributi “inosservati” ma importanti de Lo Spirito della Liturgia [di Joseph Ratzinger] è la sua riflessione sull’autorità – in particolare sull’autorità papale – e sulla sacra liturgia. Notando che la liturgia occidentale è qualcosa che (prendendo in prestito le parole di JA Jungmann, SJ) “è arrivata ad essere”, cioè “uno sviluppo organico”, non “una produzione artatamente artificiosa”, “qualcosa di organico che cresce e le cui leggi di crescita determinano le possibilità di ulteriore sviluppo”, osserva il cardinale Ratzinger che nei tempi moderni “quanto più vigorosamente si è manifestato il primato [petrino], tanto più si è posta la questione della portata e dei limiti di questa autorità, che ovviamente non era mai stata considerata. Dopo il Concilio Vaticano II è emersa l'impressione che il Papa potesse davvero fare qualsiasi cosa in materia liturgica, soprattutto se agisse su mandato di un Concilio ecumenico. Infine, l’idea della della liturgia come dono, il fatto che non se ne possa fare ciò che si vuole, è scomparso dalla coscienza pubblica dell'Occidente. Il Concilio Vaticano I, infatti, non aveva in alcun modo definito il papa come un monarca assoluto. Al contrario, lo presentava come il garante dell'obbedienza alla Parola rivelata. L'autorità del papa è legata alla Tradizione della fede, e ciò vale anche per la liturgia. Non è "fabbricata" dalle autorità. Anche il papa può solo essere un umile servitore del suo legittimo sviluppo e della sua integrità e identità durature. . . . L'autorità del papa non è illimitata; è al servizio della Sacra Tradizione”. [1] 
In questa affermazione dell'oggettività della sacra liturgia nelle sue forme rituali sviluppate, e del dovere della massima autorità della Chiesa di rispettare questa realtà, [2] il cardinale Ratzinger ha posto le basi teologiche per la considerazione di una riforma della riforma dell'ordine liturgico, o anche per aver legittimamente lasciato da parte i riti riformati in favore di quelli precedenti. L’obbedienza acritica all’autorità papale – qualcosa già da tempo abbandonata diffusamente, ma a cui altri si aggrappavano come garanzia dell’ortodossia in tempi turbolenti – fu inferto un duro colpo, almeno per quanto riguarda la riforma liturgica, da uno dei più alti prelati nella Chiesa (anche se scriveva a titolo privato).
Ancora, alle pp. 643-45:
L'atto di governo liturgico più famoso di Papa Benedetto è stato, ovviamente, il suo motu proprio Summorum pontificum (2007), “Sull'uso della liturgia romana prima della riforma del 1970”, stabilendo che i riti liturgici più antichi non sarebbero mai stati “abrogati” ( 1) e potrebbero quindi essere liberamente utilizzati, e anzi che devono essere accolte le richieste di gruppi di fedeli per la loro celebrazione. I vescovi non potevano più escludere a priori la loro celebrazione. La regolamentazione di questi principi da parte di Papa Benedetto è stata permissiva, segnando un netto cambiamento rispetto all'approccio limitativo di troppi vescovi fino a quel momento.
La sua “Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera Apostolica 'Motu Proprio Data' Summorum Pontificum sull'uso della liturgia romana prima della riforma del 1970” della stessa data, affrontò abilmente la forte opposizione che questo provvedimento aveva suscitato ancor prima della sua apparizione; ha preso atto della realtà pastorale secondo cui «anche i giovani hanno scoperto questa forma liturgica, ne hanno sentito il fascino e hanno trovato in essa una forma di incontro con il mistero della santissima Eucaristia, a loro particolarmente adatta»[3], e ha rivolto un appello ai vescovi : «Apriamo generosamente il nostro cuore e facciamo spazio a tutto ciò che la fede stessa permette». Il Papa ha affermato chiaramente:
«Nella storia della liturgia c'è crescita e progresso, ma nessuna rottura. Ciò che le generazioni precedenti ritenevano sacro, rimane sacro e grande anche per noi, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o addirittura considerato dannoso. Spetta a tutti noi preservare le ricchezze che si sono sviluppate nella fede e nella preghiera della Chiesa, e dare loro il giusto posto”.
Anche in questo caso, per chi conosceva il pensiero liturgico di Joseph Ratzinger, questa presa di posizione non sorprende. La sua apertura alle realtà interessate – storiche, teologiche e pastorali – è chiara. Ma per coloro che non condividevano né la sua visione né la sua apertura, si trattava di atti retrogradi che mettevano in discussione il Concilio Vaticano II e la sua riforma liturgica.
L’argomento, così com’era, è stato vinto nel tempo da quella che è diventata nota come “la pace liturgica di Benedetto XVI”, in cui le “guerre liturgiche” dei decenni precedenti che avevano stabilito “rito vecchio” e “rito nuovo” le fazioni si placarono e, certamente grazie a molti vescovi della generazione più giovane, diedero il via ad una convivenza pacifica, alla tolleranza e anche ad un certo grado di arricchimento reciproco tra le forme liturgiche che durò ben oltre la fine del suo pontificato, riparando l'unità dei Chiesa in una certa misura e valorizzandola nel rispetto delle legittime differenze di espressione all’interno della Chiesa di Dio. [il discorso dell'arricchimento reciproco è una di quelle formule che vorrebbero salvare  capra e  acvoli e  appartengono alla ventilata (dal card, Sarah) "riforma della riforma", auspicabile per una ri-sacralizzazione del Novus Ordo ma che presenterebbe dei rischi se si dovesse pensare anche ad una ibridazione del Rito Antiquior -ndT].
È profondamente deplorevole che il motu proprio Traditionis custodes (16 luglio 2021) e i relativi Responsa ad dubia (4 dicembre 2021), percepiti da molti come atti di aggressione liturgica, sembrano aver danneggiato questa pace e potrebbero persino rappresentare una minaccia per l’unità della Chiesa. Se ci fosse una ripresa delle “guerre liturgiche” postconciliari, o se le persone semplicemente andassero altrove per trovare la liturgia più antica, queste misure si sarebbero ritorte contro. È troppo presto per fare una valutazione approfondita delle motivazioni che ne sono alla base, o del loro impatto finale, ma è tuttavia difficile concludere che Papa Benedetto XVI avesse torto nell’affermare che le forme liturgiche più antiche “non possono essere improvvisamente del tutto proibite”. o addirittura considerate dannose”, soprattutto quando la loro celebrazione senza restrizioni ha manifestamente prodotto buoni frutti.
Note (dall'articolo originale di Communio )
[1] Ratzinger, Lo spirito della liturgia, 165–66. Come Papa Benedetto XVI, svilupperà questo tema rispetto al più ampio ministero petrino nell'omelia in occasione della presa di possesso della cattedra vescovile di Roma nella Basilica di San Giovanni in Laterano, il 7 maggio 2005.
[2] Una realtà insegnata dal Catechismo della Chiesa Cattolica, §§1124–125.
[3] Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi in occasione della pubblicazione della Lettera apostolica “Motu Proprio Data” Summorum Pontificum sull'uso della Liturgia Romana prima della riforma del 1970 (Città del Vaticano, 7 luglio 2007). Posso testimoniare questa realtà anche attraverso i tanti incontri con giovani – laici, laici, religiosi, seminaristi e sacerdoti – le cui vocazioni nel mondo, sia al matrimonio cristiano che alla vita religiosa o apostolica, sono radicate e alimentate dalla forme liturgiche più antiche in modo veramente vivificante. A questo proposito, non potrò mai dimenticare la mia visita al pellegrinaggio di Pentecoste a Parigi-Chartres nel 2018: quanta speranza danno questi giovani alla Chiesa di oggi e del futuro!

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

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