martedì 19 settembre 2023

Siamo arrivati al 'Solum Magisterium'?

L'ho spostato in alto, per facilitarne la lettura ai nuovi visitatori. poiché lo trovo particolarmente interessante.
Nella nostra traduzione da Crisis Magazine una nuova trattazione sugli insegnamenti innovatori del nuovo corso di Bergoglio e sodali: "L'affermazione dell'arcivescovo Victor Fernández su una "dottrina del Santo Padre" rischia di far crollare ogni distinzione tra il magistero e le sue fonti normative, come la Scrittura e la Tradizione.".  Ci troviamo infatti di fronte al solum magisterium gestito da un'autorità assoluta dotata di un carisma unico... Mi pare una delle migliori affermazioni su come la Chiesa (e il suo munus docendi) sia al servizio di "coloro cui è stato fatto dono" della rivelazione divina, e non di una regola autogiustificante, come alcuni apologeti la presentano oggi. Il tutto persino al di là dei documenti conciliari abbondantemente citati nell'articolo... 
Sulla minaccia del primato delle fonti si conio conciliare vedi il mio testo: Fusione delle fonti della Rivelazione con l'assorbimento della Tradizione nella Sacra Scrittura. Ma ora, come già detto, siamo persino oltre...

Siamo arrivati al 'Solum Magisterium'?

Come può la Chiesa conciliare l'insegnamento secondo cui il magistero è servitore della Parola di Dio («Magisterium verbum Dei ministrant») e non al di sopra di essa («non supra verbum Dei»), come afferma Dei Verbum (§10), con la presunzione, espressa recentemente in un’intervista con Edward Pentin dal cardinale designato arcivescovo Victor Manuel Fernández, che Papa Francesco abbia un
carisma particolare... un carisma unico, ...un dono vivo e operante, che opera nella persona del Santo Padre...[non solo] per la custodia del deposito della fede... [ma anche per] la dottrina del Santo Padre.
L'affermazione di Fernández è sconcertante. Una cosa è affermare che il magistero ha un carisma attinente alla missione di custodire infallibilmente la Fede consegnata una volta per tutte alla Chiesa (Lettera di Giuda 1,3); altra cosa è affermare che il papa stesso ha un carisma che garantisce la propria dottrina.
Possiamo riassumere una descrizione della presunzione che il papa abbia un carisma unico che garantisce la propria dottrina con il seguente sillogismo: “Ciò che il magistero papale insegna con l'assistenza dello Spirito Santo deve essere vero; ma il magistero pontificio insegna X. Quindi X deve essere vero”. Questo è un argomento a priori che pretende di essere il fondamengto del confidare nella promessa di Cristo secondo cui lo Spirito di verità guiderà la Chiesa alla pienezza della verità (Giovanni 16:13).

L'affermazione di mons. Fernández sull'unicità del carisma del papa rischia di far crollare ogni distinzione tra il magistero e le sue fonti normative, come la Scrittura, che, come sostiene Ratzinger, “minaccia il primato delle fonti che, se si continuasse logicamente in questa direzione) finirebbe per distruggere il carattere di servizio del munus docendi”. In breve, il problema con questo argomento a priori è che confonde la differenza tra due affermazioni: primo, dovremmo accettare l’insegnamento della Chiesa perché è vero, in conformità con la supremazia della Scrittura e di altre fonti autorevoli di fede e, secondo, dovremmo accettare l'insegnamento della Chiesa semplicemente perché la Chiesa lo insegna.

La prima affermazione è vera, ma non la seconda. Ratzinger elabora l'implicazione che deriverebbe dalla verità di quest'ultima affermazione:
Il risultato di questo [argomento a priori] era che la Scrittura veniva considerata fondamentalmente solo dal punto di vista della prova che offriva ad affermazioni già esistenti, e anche quando ciò veniva fatto con grande cura e con metodi esegetici moderni, questo modo di procedere difficilmente consentiva un tema da sviluppare dalla prospettiva della Scrittura stessa o questioni da sollevare dalla Bibbia non trattate nel corpo dell'insegnamento della Chiesa.
La direzione logica di questo argomento a priori, e quindi dell'affermazione di Mons. Fernández, è solum magisterium.
La posizione del solum magisterium è talvolta chiamata “positivismo ecclesiastico”. Il card. Avery Dulles descrive la direzione logica di questa posizione come segue:
In alcune presentazioni sembrava che il credente dovesse dare un assegno in bianco al magistero. La fede cattolica era intesa come una fiducia implicita nell'ufficio di insegnamento, e la prova dell'ortodossia era la disponibilità di una persona a credere a qualunque cosa la Chiesa potesse insegnare proprio per la ragione che la Chiesa lo insegnava. Un pericolo di questo approccio era che generasse una certa indifferenza verso il contenuto della rivelazione. Si sentiva dire da credenti che, se la Chiesa insegnasse che in Dio esistono cinque o dieci persone, essi lo crederebbero con la stessa fede con cui ora credevano nelle tre Persone divine.
Ora, la posizione del solum magisterium è sbagliata perché fa del magistero della Chiesa la norma suprema della fede [fa il paio col sola Scriptura di Lutero -ndT]. In altre parole, la Chiesa cattolica non ritiene che la sua autorità sia la base – “credo per autorità della Chiesa” – per assentire intenzionalmente alla verità divina che è creduta, insegnata e proclamata dalla Chiesa. Piuttosto, la Chiesa è uno strumento divino attraverso il quale acconsentiamo a quella verità.
La posizione del solum magisterium è sbagliata perché fa del magistero della Chiesa la norma suprema della fede. 

Consideriamo qui, ad esempio, le osservazioni di Ratzinger sui limiti dell'autorità della Chiesa riguardo all'ordinazione delle donne. Le sue osservazioni qui riguardano la Lettera Apostolica di Giovanni Paolo II del 1994, Ordinatio Sacerdotalis. Ratzinger scrive riguardo all'affermazione chiave di questa Lettera:
[Volendo restare fedele all’esempio del Signore], «la Chiesa non ha in alcun modo la facoltà di ammettere le donne all’ordinazione sacerdotale». In questa affermazione il Magistero della Chiesa professa il primato dell'obbedienza e i limiti dell'autorità ecclesiastica: La Chiesa e il suo Magistero hanno autorità non in sé e per sé, ma piuttosto solo dal Signore. La Chiesa credente legge le Scritture e le vive... nella comunione viva del popolo di Dio di ogni tempo; sa di essere vincolata da una volontà che l'ha preceduta, da un atto di “istituzione”. Questa volontà preveniente, la volontà di Cristo, si esprime nel suo caso con la nomina dei Dodici.
E più di trent’anni prima Ratzinger scrive sulla stessa linea:
La “tradizione” infatti non è mai una semplice e anonima trasmissione di un insegnamento, ma è legata a una persona, è una parola viva che ha nella fede la sua realtà concreta. E, viceversa, la successione [apostolica] non è mai l'assunzione di alcuni poteri ufficiali che sono poi a disposizione del titolare; è piuttosto un essere assunti al servizio della Parola, all'ufficio di testimoniare qualcosa che ci è stato affidato e che sta al di sopra del suo portatore, così che questi passa in secondo piano rispetto a ciò che è preponderante ed è [per usare l'immagine meravigliosa di Isaia e di Giovanni Battista) solo una voce che fa sì che la Parola sia ascoltata nel mondo.
Il punto principale che Ratzinger sottolinea qui è che l'autorità del magistero della Chiesa non si fonda su se stessa, e quindi non è la Chiesa stessa la norma della fede. La Chiesa afferma il primato dell'autorità di Dio, della Sua Parola, insomma della rivelazione divina, sull'autorità magisteriale della Chiesa, che è autorità derivata da Cristo.

Certo, la Chiesa ha l'autorità d'insegnare, anzi partecipa dell’autorità della Scrittura, ma “è solo una regola secondaria”, dice Yves Congar, “commisurata alla regola primaria, che è la Rivelazione divina”. Forse possiamo chiarire meglio questo punto distinguendo tra la “ragione formale” della fede e l'autorità magisteriale della Chiesa. Il primo è il motivo per cui crediamo in qualcosa, ad esempio che Gesù Cristo è vero Dio e vero uomo. Lo crediamo in virtù della rivelazione divina. “La rivelazione divina è quindi la ragione senza la quale non ci sarebbe motivo di avere fede”. Quest’ultima – l’autorità della Chiesa – è il mezzo di cui dispone la Chiesa “per evitare di perdere quella rivelazione preziosissima”. Il cardinale domenicano Caietano (1469-1534) spiega quali sono questi mezzi:
E affinché nessun errore apparisse nella proposta o nella spiegazione delle cose da credere, lo Spirito Santo ha provveduto una regola costituita, che è il senso e la dottrina della Chiesa, così che l'autorità della Chiesa è la regola infallibile della proposizione e spiegazione di cose che bisogna credere per fede. Nella fede concorrono quindi due regole infallibili, cioè la rivelazione divina e l'autorità della Chiesa; c'è tra loro questa differenza: la rivelazione divina è la ragione formale dell'oggetto di fede, e l'autorità della Chiesa è il soggetto che amministra l'oggetto di fede.
La negazione del solum magisterium rinuncia all'autorità del magistero? In altre parole, il magistero della Chiesa è, secondo le parole del cardinale Dulles, “capace di certificare la verità rivelata con autorità divina”? Sì, il magistero della Chiesa serve come “colonna e sostegno della verità” (1 Timoteo 3:15), nel senso che parla in modo autorevole e dogmatico a tutta la Chiesa in nome della Chiesa. Come insegna Dei Verbum §10,
Il quale magistero però non è superiore alla parola di Dio ma la serve, insegnando soltanto ciò che è stato trasmesso, in quanto, per divino mandato e con l'assistenza dello Spirito Santo, piamente ascolta, santamente custodisce e fedelmente espone quella parola, e da questo unico deposito della fede attinge tutto ciò che propone a credere come rivelato da Dio.
In sintesi, il cardinale Dulles spiega un moderato infallibilismo riguardo all'autorità del magistero e un corrispondente carisma per preservare la Chiesa:
  1. Dio fornisce alla Chiesa mezzi efficaci perché essa possa continuare a rimanere nella verità del Vangelo fino alla fine dei tempi.
  2. Tra questi mezzi rientrano non solo le Scritture canoniche ma anche, come controparte essenziale delle Scritture, l'ufficio pastorale. Senza tale ufficio pastorale la comunità cristiana non sarebbe adeguatamente protetta contro le corruzioni del Vangelo.
  3. L'ufficio pastorale è esercitato per la Chiesa universale dal detentore dell'ufficio petrino (che significa, per i cattolici, dal papa). È quindi ragionevole supporre che il papa sia dotato da Dio di uno speciale carisma (o grazia di stato) per interpretare correttamente il Vangelo alla Chiesa universale, come le circostanze lo richiedano.
  4. Affinché il papato possa adeguatamente adempiere alla sua funzione di preservare l'unità nella fede e di smascherare errori pericolosi, il carisma papale deve includere il potere di affermare la verità del Vangelo e di condannare gli errori contrari in modo deciso e obbligatorio. I pronunciamenti autorevoli dell'ufficio petrino che vincolano seriamente tutti i fedeli devono avere una verità sufficientemente certificata, poiché non potrebbe esserci alcun obbligo di credere a quello che probabilmente potrebbe essere un errore.
In che modo, allora, l’ufficio petrino certifica adeguatamente la verità? Se la tradizione e la Chiesa sono intrinsecamente e necessariamente legate alla Scrittura, cioè costituiscono una rete di autorità interdipendenti, presumibilmente ciò significa che la Chiesa non può giustificare, o certificare adeguatamente, nessuna verità proveniente dalla sola Scrittura, ma del resto nemmeno solo dalla tradizione, né solo dal magistero. Sì, queste autorità funzionano insieme (ciascuna a modo suo) differendo nel grado di autorità, con la Scrittura che è la regola suprema della fede, la norma normans non normata (la norma senza norme su di essa), in modo tale che la Scrittura non è sottomessa a tradizione o al magistero della Chiesa.

La Chiesa, inoltre, non ritiene che il magistero della Chiesa operi per conto proprio, cioè senza riferimento ad alcuna norma superiore. Ancora, nella Dei Verbum, §10:
È chiaro dunque che la sacra Tradizione, la sacra Scrittura e il magistero della Chiesa, per sapientissima disposizione di Dio, sono tra loro talmente connessi e congiunti che nessuna di queste realtà sussiste senza le altre, e tutte insieme, ciascuna a modo proprio, sotto l'azione di un solo Spirito Santo, contribuiscono efficacemente alla salvezza delle anime.
C’è una coerenza tra Scrittura, tradizione e Chiesa nel modello dell’autorità teologica tale che in modo intrinseco e necessariamente correlato essi “sono così legate e unite insieme che l’una non può stare senza le altre”. Ma “ciascuna a suo modo” opera sotto l’azione dello Spirito Santo in modo tale che all’interno di quel modello la Scrittura ha la priorità – prima Scriptura, secondo Dei Verbum, §21–26. Probabilmente, quindi, quando Dei verbum afferma una relazione necessaria e intrinseca della tradizione e della Chiesa con la Scrittura, afferma anche una prima Scriptura, anzi, chiama la Scrittura la “regola suprema della fede”.

Quindi, con buona pace dell’arcivescovo Fernández, non può esistere qualcosa come la “dottrina del Papa”. Questa frase mi ricorda il riferimento di un giornalista alla messa funebre di Giovanni Paolo II al “divieto del papa” sulla contraccezione, sulle donne prete, ecc. Non esiste una cosa del genere. Come giustamente afferma il cardinale Charles Journet riguardo all'attività del magistero di insegnare la verità della fede, è quindi necessario che vi sia
un'infallibile omogeneità e continuità tra il deposito della fede divinamente rivelato, rivelato una volta per tutte dagli apostoli, da un lato, e la sua effettiva conservazione attraverso i secoli mediante un insegnamento divinamente assistito, dall'altro.
Il punto di Journet non è incoerente con l'idea e la pratica dello sviluppo dottrinale espressa da San Giovanni XXIII nel suo discorso di apertura al Vaticano II, ribadendo il Vaticano I, che, a sua volta, citava Vincenzo di Lérins: “Per il deposito della fede, il una cosa sono le verità contenute nella nostra veneranda dottrina; il modo in cui si esprimono, ma con lo stesso significato e lo stesso giudizio [ eodem sensu eademque sententia ], è un’altra cosa».

La clausola subordinata in questo passaggio è parte di un passaggio più ampio della costituzione del Concilio Vaticano I, Dei Filius, e questo passaggio è esso stesso dal Commonitorium 23 di Vincenzo di Lérins:
Ci sia dunque crescita e progresso abbondante nell'intelligenza, nella conoscenza e nella sapienza, in ciascuno e in tutti, nei singoli e in tutta la Chiesa, in ogni tempo e nel corso dei secoli, ma solo entro i dovuti limiti, cioè entro lo stesso dogma, lo stesso significato, lo stesso giudizio (in eodem scilicet dogmate, eodem sensu eademque sententia).(1)
Anche se le verità di fede possono essere espresse diversamente, la Chiesa deve sempre valutare, alla luce delle garanzie ecclesiali, come le Sacre Scritture, i concili ecumenici, i dottori della Chiesa, i fedeli cristiani e il magistero, se quelle nuove verità le formulazioni preservano lo stesso significato e giudizio ( eodem sensu eademque sententia ), e quindi la continuità materiale, l'identità e l'universalità di quelle verità. Solo allora potremo distinguere tra vero e falso sviluppo.
Eduardo Echeverría 

 Eduardo Echeverria è professore di Filosofia e Teologia Sistematica al Seminario Maggiore del Sacro Cuore di Detroit. Ha conseguito il dottorato in filosofia presso la Libera Università di Amsterdam e il STL presso l'Università San Tommaso d'Aquino (Angelicum) a Roma. È autore di diversi libri, tra cui Dialogue of Love: Confessions of an Evangelical Catholic Ecumenist (Wipf & Stock, 2010).
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Nota di chiesa e post.concilio
Sempre dal Commonitorium: «È necessario dunque che, con il progredire dei tempi, crescano e progrediscano quanto più possibile la comprensione, la scienza e la sapienza così dei singoli come di tutti, tanto di uno solo, quanto di tutta la Chiesa. Devono però rimanere sempre uguali il genere della dottrina, la dottrina stessa, il suo significato e il suo contenuto. La religione delle anime segue la stessa legge che regola la vita dei corpi. Questi infatti, pur crescendo e sviluppandosi con l'andare degli anni, rimangono i medesimi di prima. Vi è certamente molta differenza fra il fiore della giovinezza e la messe della vecchiaia, ma sono gli stessi adolescenti di una volta quelli che diventano vecchi. Si cambia quindi l'età e la condizione, ma resta sempre il solo medesimo individuo. Unica e identica resta la natura, unica e identica la persona.»
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[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

A I U T A T E, anche con poco,
l'impegno di Chiesa e Post-concilio anche per le traduzioni
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