domenica 1 agosto 2021

Traditionis Custodes: l’enorme scappatoia in un testo mal scritto e confuso.

Riprendo da Stilum Curiae, nella traduzione di Carlo Schena, un articolo apparso su Canon Law Made Easy [qui], relativo a Traditionis Custodes. Qui l'indice dei precedenti e correlati.
[Nota del Traduttore: mi sembra importante portare all’attenzione del pubblico italiano – auspicabilmente, anche di qualche sacerdote o vescovo – questo articolo che segnala un argomento canonistico che permetterebbe, pur giocando al gioco sporco del redattore materiale di Traditionis Custodes, di ritenere larga parte di questa triste lettera Motu Proprio in larga parte inapplicabile. Ammesso, e fermamente non concesso che un Romano Pontefice abbia il potere di vietare ciò che la Tradizione ci consegna, quasi fosse un monarca assoluto col potere di ridurre la Messa alle sole parole della consacrazione.
Sul punto, non posso concordare con l’amico prof. Peter Kwasniewski: il Papa (come già nel 1969, verrebbe da dire) ha agito ultra vires, non avendo alcun Papa il potere di abrogare un rito tradizionale (o di crearne a tavolino uno nuovo). Tuttavia, si comprende la necessità di Realpolitik di tollerare, per quanto possibile – secondo l’insegnamento di S. Tommaso – azioni che pur si colorano, in sé considerate, di un carattere tirannico, di “giocare con le carte che ci vengono date” e di contrastare le nuove deliberazioni facendo ricorso alle norme del diritto (e in particolare di quello canonico), al pari di S. Tommaso Moro di fronte al processo nel quale era ingiustamente accusato di tradimento: argomentando con prudenza e con astuzia, esplorando tutte le vie legali per perorare la nostra causa; ma sapendo che, qualora i figli di questo mondo si rivelassero, alla fine, più scaltri di noi, battendoci a questo gioco, non potranno impedirci di professarci, per parafrasare il Moro al patibolo, “servitori fedeli del Papa, ma prima di Dio”].

L’Enorme Scappatoia nella Traditionis Custodes
Cathy Caridi, J.C.L.
29 luglio 2021
Domanda: Io e gli altri parrocchiani siamo così scioccati e feriti dalla deliberata distruzione della Messa Tradizionale da parte del Santo Padre [nel suo nuovo Motu Proprio Traditionis custodes]… Tutti concordano sul fatto che sia scritta malissimo, e – come certamente saprai – ci sono molti articoli su Internet che spiegano le incongruenze di questo documento. Ora ci chiediamo se si possa in qualche modo dire che tutto ciò renda il documento inapplicabile, dal momento che è così poco chiaro. O se forse esiste una scappatoia che in qualche modo possiamo usare… – Ciara

Risposta: L’intuizione è ottima, Ciara! È senz’altro vero che su questo motu proprio sono già state scritte molte migliaia di parole in numerose lingue, da parte di cattolici non solo totalmente esterrefatti dal messaggio del documento, ma anche confusi su ciò che la stessa formulazione del documento vuol mai significare. Se esistesse un premio per il documento vaticano più confuso e mal scritto mai emanato, la Traditionis custodes (TC) vincerebbe, probabilmente, a mani basse. Vi si trovano più d’una contraddizione interna (le vedremo meglio più sotto), ed è zeppa di imprecisioni dall’inizio alla fine.

Fortunatamente per noi, il Codice di Diritto Canonico include un canone dal contenuto chiarissimo e direttamente applicabile a questa situazione; e una volta che lo si sia applicato correttamente, diviene subito evidente che c’è realmente, in questo documento, un’enorme scappatoia, che rende gran parte di esso del tutto irrilevante. Anzitutto, diamo un’occhiata a quel canone, e poi esaminiamo ciò che il testo di TC effettivamente dice.

Quel che per noi è qui rilevante è il canone 18, il quale afferma che le leggi che stabiliscono una pena, o che restringono il libero esercizio dei diritti, o che contengono un’eccezione alla legge, sono sottoposte a interpretazione stretta [cioè restrittiva, NdT]. TC riguarda senza dubbio la “restrizione del libero esercizio dei diritti”, perché limita la libertà dei sacerdoti cattolici di celebrare la Messa Tradizionale. Dunque, il canone 18 è direttamente pertinente a questa situazione.

Cosa significa “interpretazione stretta”? Ebbene, a titolo di esempio si consideri un immaginario documento vaticano che dichiari: “I sacerdoti che fanno X siano puniti con la scomunica”. In base al canone 18, non è possibile estrapolare dal documento per arrivare a concludere: “I sacerdoti saranno scomunicati se faranno X o Y o Z”, perché ciò non è quanto afferma il documento. Similmente, sarebbe impossibile sostenere che questa affermazione immaginaria si applicherebbe anche ai diaconi e/o ai seminaristi. Il testo parla solo di “sacerdoti”, e quindi si applicherebbe solo ai sacerdoti. Punto.

Abbiamo esaminato una situazione di vita reale in cui il canone 18 era chiaramente applicabile nell’articolo “Canon Law and Bad-Mouthing the Pope” [Diritto Canonico e Parolacce al Papa, NdT]. In quel caso, la questione era se il canone 1370.1, che afferma che chi usa violenza fisica contro il Papa incorre nella scomunica, si applichi anche a una persona che aggredisce il Papa soltanto verbalmente [qui]. La risposta, in breve, è un incontrovertibile no. Ciò perché il canone 1370.1 menziona specificamente la “violenza fisica”, e in base al canone 18, non possiamo estrapolare dalla norma per includervi anche altre azioni non fisiche dirette contro il Papa.

Tenendo bene a mente il canone 18, proviamo ora a capire cosa effettivamente dice la TC. La confusione incomincia immediatamente nell’articolo 1, che dichiara,
“I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”.
Notate che l’articolo 1, in realtà, non comanda alcunché: è solo un’affermazione di fatto. Ciò non è necessariamente un problema, in sé: il Codice di Diritto Canonico contiene parecchi canoni costruiti nello stesso modo, comunemente chiamati “canoni teologici”. Ne abbiamo visto un esempio in “Contraception and Marriage Validity” [Contraccezione e Validità del Matrimonio, NdT], dove abbiamo visto che il canone 1055.1 non ci dà regole, ma fornisce semplicemente la descrizione teologica della Chiesa circa il sacramento del matrimonio.

Ma i canoni teologici nel codice, ovviamente, sono accurati dal punto di vista storico e dal punto di vista teologico, mentre l’articolo 1 della TC non lo è né da un punto di vista né dall’altro. Possiamo lasciare agli storici della chiesa e ai liturgisti il compito di spiegare perché “la lex orandi del rito romano” includa in effetti sia la Messa Tradizionale che il Novus Ordo; ciò che qui ci interessa per i nostri scopi è la formulazione del testo. L’articolo 1 afferma, sia pure indirettamente, che la Messa Tradizionale è ora abrogata? No, e per due ragioni:
  1. l’articolo 1 non afferma che la Messa Tradizionale è ora abrogata (e secondo il canone 18, ciò dovrebbe essere affermato esplicitamente, dal momento che il testo deve essere interpretato in senso restrittivo!); e
  2. Altrove, TC afferma esplicitamente che in determinate circostanze la Messa Tradizionale è consentita.
Quindi, se l’articolo 1 non abroga la Messa Tradizionale… che senso ha?

Purtroppo, l’articolo 1 non è un’aberrazione [giuridica, NdT]. L’Articolo seguente ha un senso, ma viene poi contraddetto direttamente da un altro Articolo dello stesso documento! L’articolo 2 ci dice:
“Al vescovo diocesano, quale moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica nella Chiesa particolare a lui affidata, spetta regolare le celebrazioni liturgiche nella propria diocesi. Pertanto, è sua esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962 nella diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica”.
Bene. Ma più avanti, l’articolo 4 ci dice questo:
I presbiteri ordinati dopo la pubblicazione del presente Motu proprio, che intendono celebrare con il Missale Romanum del 1962, devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica”.
Quindi, da un lato, è “esclusiva competenza” del Vescovo diocesano “autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962 nella diocesi” – non fosse che egli dovrà consultare la Sede Apostolica “prima di concedere l’autorizzazione” ai sacerdoti della diocesi di usare il Messale Romano del 1962 nella sua diocesi. Se il Vescovo ha la competenza esclusiva ad autorizzare l’uso del Messale del 1962, allora che senso ha consultare la Sede Apostolica ogni volta che vuole farlo?

Come abbiamo visto in “Canon Law and Bishops of Bling” [Diritto Canonico e Vescovi “ingioiellati”, NdT], c’è una grande differenza canonica tra il consultare e il consentire. La Chiesa può benissimo richiedere che un vescovo diocesano si consulti con qualcun altro prima di fare X; ma anche se il riscontro ricevuto dal vescovo fosse del tutto negativo, egli può comunque liberamente scegliere di fare X in ogni caso. Ciò è ben diverso dal caso in cui a un vescovo venga richiesto di ottenere il consenso da qualcun altro: il che significa che se l’altro o gli altri si oppongono a X, quel vescovo non sarebbe legalmente autorizzato a fare X.

Ora l’articolo 4 di TC richiede che un vescovo (che è a ciò esclusivamente competente, ricordate?) si consulti con Roma prima di permettere a un sacerdote di dire la Messa Tradizionale nella sua diocesi. Ma poiché il consultare non è sinonimo di consentire, Roma potrebbe tranquillamente dire “pensiamo che non dovresti farlo!”, e il vescovo potrebbe farlo comunque. Allora qual è esattamente lo scopo di questa consultazione con Roma? E come si coniuga con la affermata competenza dal vescovo, che si dice “esclusiva”? TC non riesce a darne una spiegazione.

Ma queste incongruenze interne non sono nulla in confronto alla scappatoia gigantesca, che cambia veramente le carte in tavola, che troviamo nell’articolo 3. Questo articolo piuttosto lungo si riferisce ai “gruppi” legati alla Messa in latino già esistenti in una diocesi e procede a imporre loro nuove limitazioni, con l’intenzione abbastanza ovvia di cercare di eliminarli del tutto.

Oppure no?

Non dimentichiamoci che qualsiasi documento restrittivo dei diritti deve essere interpretato in senso stretto, in accordo con il canone 18. E diamo un’occhiata alla formulazione della prima riga dell’articolo 3:
“Il vescovo, nelle diocesi in cui finora vi è la presenza di uno o più gruppi che celebrano secondo il Messale antecedente alla riforma del 1970: […]”
Ogni sottosezione che segue nell’articolo 3 si basa su questa prima frase. Ma qui c’è un problema: “il Messale antecedente alla riforma del 1970” non è il Messale Romano del 1962.

Rivediamo rapidamente i diversi Messali Romani che furono approvati da Roma all’epoca del Concilio Vaticano II:
  1. Il Messale Romano del 1962 fu promulgato da Papa (oggi san) Giovanni XXIII, più di un anno prima della promulgazione della Sacrosanctum Concilium, la Costituzione del Concilio Vaticano II sulla Sacra Liturgia. Quando i cattolici parlano della “Messa Tradizionale”, ordinariamente è questa la Messa a cui si riferiscono. Quando Papa Benedetto XVI emanò il Summorum Pontificum nel 2007, ampliando la possibilità di celebrare la Messa Tradizionale, egli parlò specificamente della “edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato”.
  2. Il Messale Romano del 1965, che fu emanato verso la fine del Concilio Vaticano II, e incorporava le riforme menzionate nella Sacrosanctum Concilium. Sebbene evidenzi sicuramente alcuni cambiamenti rispetto al Messale del 1962, questa è riconoscibilmente ancora la Messa Tradizionale.
  3. Il Messale Romano del 1970, che ha dato alla Chiesa il Novus Ordo Missae, il quale è, come la maggior parte dei cattolici sa, nettamente diverso dalla Messa Tradizionale in latino. Ci sono poi state diverse edizioni e nuove traduzioni nelle varie lingue del mondo, ma questa è in buona sostanza la Messa che la maggior parte dei cattolici d’oggi conosce.
Dunque è chiaro che quando la TC parla del “Messale antecedente alla riforma del 1970”, questa frase debba essere applicata al Messale del 1965. È interessante notare che questo Messale sembra essere stato poco utilizzato in tutto il mondo; e, in effetti, è completamente ignorato da alcuni ambienti ecclesiali che pretendono di fornire una storia della revisione del Messale Romano dopo il Concilio Vaticano II (se ne vedano due esempi qui e qui).

Ora diamo un’occhiata alle sottosezioni dell’articolo 3, che molti, erroneamente, ritengono ora porre limitazioni alla celebrazione della Messa secondo il Messale del 1962. Tra le altre cose, al vescovo della diocesi in cui si celebra la messa per un gruppo che utilizza “il Messale antecedente alla riforma del 1970” viene chiesto, al paragrafo 2, che:
“indichi, uno o più luoghi dove i fedeli aderenti a questi gruppi possano radunarsi per la celebrazione eucaristica (non però nelle chiese parrocchiali e senza erigere nuove parrocchie personali)”.
E la bizzarra frase di prima viene riutilizzata nel paragrafo 4, dove si chiede al vescovo che:
“nomini, un sacerdote che, come delegato del vescovo, sia incaricato delle celebrazioni e della cura pastorale di tali gruppi di fedeli. Il sacerdote sia idoneo a tale incarico, sia competente in ordine all’utilizzo del Missale Romanum antecedente alla riforma del 1970 [sottolineatura aggiunta]”.
Il paragrafo 3 dell’articolo 3, tuttavia, dice qualcosa di diverso! Ora, al vescovo si richiede che:
“stabilisca nel luogo indicato i giorni in cui sono consentite le celebrazioni eucaristiche con l’uso del Messale Romano promulgato da san Giovanni XXIII nel 1962”.
Ma non dimentichiamo che il comma 3 – come tutti gli altri commi dell’articolo 3 – riguarda solo “Il vescovo, nelle diocesi in cui finora vi è la presenza di uno o più gruppi che celebrano secondo il Messale antecedente alla riforma del 1970”. Quindi, se nella tua diocesi non ci sono gruppi che celebrano la Messa usando il Messale Romano del 1965, il paragrafo 3 (come tutti gli altri paragrafi di questo articolo) non si applica.

Al contrario, gli articoli 4 e 5 di TC parlano esplicitamente del “ Missale Romanum del 1962”. Queste sono tra le poche frasi del documento che si possono definire coerenti.

Confusi?

Se volete verificare se nella vostra parrocchia o nel vostro “gruppo” si usa il Messale Romano del 1965, ovvero “il Messale antecedente alla riforma del 1970”, potete trovare un link all’intero testo di quel messale scorrendo in fondo a questa pagina. E, a proposito, complimenti al non-canonista che ha scritto quell’articolo, il quale ha correttamente individuato questo problema sfuggito (comprensibilmente!) a così tanti canonisti.

A questo punto, cominceranno sicuramente le risatine. “Dai, lo sai che non è ciò che Papa Francesco voleva dire!” Forse non lo è. Ma non possiamo sapere con assoluta certezza “cosa Papa Francesco voleva dire”: possiamo solo sapere con assoluta certezza ciò che ha effettivamente detto. E come ci dice il canone 18, non possiamo estrapolare, non possiamo fare ipotesi, non possiamo ampliare la formulazione di un documento come TC, che limita diritti. Farlo non sarebbe solo presuntuoso; sarebbe anche illegale.

Nel mondo del diritto civile statunitense, esiste una dottrina giurisprudenziale che afferma che “un testo incomprensibile è inoperante” [o inefficace, NdT]. In altre parole, se proprio non riesci a capire cosa significa una legge, non puoi in alcun modo seguirla, e non dovresti essere colpevolizzato per non averlo fatto. Sfortunatamente, nel mondo del diritto canonico un tale principio giuridico non è mai stato affermato esplicitamente, presumibilmente perché non era necessario, fino ad ora [sul punto il Traduttore si permette di dissentire dal momento che, tra l’altro, lo stesso canone 14 CJC esprime proprio il principio lex dubia non obligat, NdT].

Non è semplicemente concepibile che questo documento, che va a colpire così tanti cattolici in tutto il mondo, sia stato redatto e poi revisionato/editato da autentici esperti di storia e liturgia della Chiesa. Al contrario, TC dà la netta impressione di essere stata composto da un solo individuo che (per dirla nel modo più franco possibile) non aveva idea dell’argomento di cui stava scrivendo, e non si è nemmeno preso la briga di controllare su internet l’accuratezza dei fatti storici indicati; e poi non si è nemmeno premurato di chiedere i commenti o il contributo dei funzionari dei competenti uffici vaticani (in questo caso, la Congregazione per il Culto Divino, così come la Congregazione per la Dottrina della Fede, e in particolare la sua sezione che comprende la ex Pontificia Commissione Ecclesia Dei). Insomma, sembra il lavoro di qualcuno che scrive di fretta, di qualcuno che non è abituato a scrivere con precisione. E possiamo soltanto immaginare quale sia la vera storia di questo documento.
[Traduzione a cura di Carlo Schena]

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