lunedì 16 agosto 2021

Maria Guarini. Traditionis custodes e i rigurgiti della 'discontinuità'

Indice degli interventi su Traditionis custodes.
San Clemente al Laterano.
Il trionfo della Croce
Il card. Sarah [qui] afferma che una nuova comprensione del Vetus Ordo aiuta ad armonizzare le innovazioni — cioè il Novus Ordo — che scaturiscono organicamente dalle nobili forme preesistenti senza rotture ed in dinamica di continuità. Non manca inoltre, tra i vescovi post conciliari che mostrano benevolenza nei confronti del Rito antico, una strana confusione e commistione tra i due riti e non solo per l'uso mutuato dalla terminologia del Summorum [vedi] che li definisce "due forme" dello stesso rito.
È mai possibile questo, quando i due riti, l'Antico e il Nuovo, riflettono e veicolano ecclesiologia e teologia diverse: teocentrica la prima, antropocentrica la seconda? Alcune notazioni essenziali sono condensate qui. Ma il tema richiede congrui approfondimenti dall'articolazione complessa e ulteriormente dettagliabile, che ho sviluppato di seguito.
Dopo aver scritto l’articolo, ho letto quest’altra dichiarazione del Card. Sarah [qui] di cui, in calce, riprendo ampi stralci e inserisco le relative osservazioni. Il tutto, ora,  nel seguente ordine: 
1. Premessa; 2. Il Summorum: uno spartiacque con molti punti deboli; 3. Lo sviluppo organico della Liturgia, 4. Numquam abrogatam; 5. Ha un papa il diritto di abrogare la Messa?; 6. Radicale continuità e credibilità della Chiesa; 7. Conclusione. 
Premessa
Un animo nutrito all’incontaminato cattolicesimo non può che restare deluso dinanzi ad un mistero immenso, il Sacrificio di Cristo, validamente celebrato sì, ma nel contesto di un rito nel quale sono state tagliate o messe ai margini molte verità cattoliche. Esattamente quanto il card. Sarah e tutti i conservatori conciliari, molti dei quali eredi del Summorum, non focalizzano :
  1. lode alla Santissima Trinità, quasi sparita dalla messa, col prefazio prima predominante nell’anno liturgico ora solo una volta presente nella festa che almeno è rimasta.
  2. Riferimenti alla “Comunione dei Santi” e alle intercessioni della Vergine.
  3. Sacrificio espiatorio, propiziatorio, impetratorio, oltre che di lode.
  4. Offertorio sacrificale.
  5. Chiara affermazione della transustanziazione e della presenza reale.
Per questo, il nuovo rito, nella sua quotidianità banalizzante, non prepara né edifica né fa crescere nella fede. Ne consegue che la riconciliazione liturgica, se non porta alla eliminazione dello spirito del Novus Ordo, resta uno slogan vuoto, come l’ermeneutica della continuità: tutti ne parlano e nessuno l’argomenta.
Non si può ignorare, infatti, che Paolo VI e Monsignor Annibale Bugnini avevano lo scopo di modificare i riti cattolici per togliere ogni pietra d’inciampo al dialogo coi protestanti, noncuranti della serietà e dello spessore della forma sacra e solenne della Santa e Divina Liturgia: è bastato sovvertirla, infatti, per intaccare ciò che essa è davvero. Ed è esattamente quel che si è perso e risulta diluito, se non oltrepassato e cancellato, oggi. Per approfondirne alcuni dettagli [vedi]
Quanto al pericolosissimo oblio del carattere sacrificale della Messa cattolica, esso conduce lentamente ma inesorabilmente all'eresia. Cito Michael Davies, da tenere a memoriale: 
“nel nuovo rito anglicano della messa, quello del Prayer book del 1549, non troveremo affermate delle eresie, ma omesse verità di fede essenziali. Le omissioni, il “taciuto”, in liturgia è sempre grave, perché rinunciare ad affermare con completezza e chiarezza tutte le verità di fede implicate, può portare a un vuoto di dottrina nei sacerdoti e nei fedeli che nel futuro apre il campo all'eresia: in parole semplici oggi sei cattolico con una messa eccessivamente semplificata, domani senza saperlo ti ritrovi protestante perché la forma della tua preghiera non ha nutrito più la tua fede. Ecco cosa dicono i vescovi cattolici inglesi: “Per dire le cose brevemente, se si compara il primo Prayer Book di Edoardo VI con il messale (cattolico), vi si scoprono sedici omissioni, il cui scopo era evidentemente quello di eliminare l’idea di sacrificio”
È una consapevolezza che nella Chiesa appartiene solo a chi è legato alla Tradizione, mentre la massima concessione che viene fatta a chi tenta di argomentare le ragioni della crisi epocale che ha nella Liturgia la sua più drammatica espressione,  è quella di una "cattiva applicazione del concilio" insieme alle istanze di "reciproco arricchimento" evocate dal cardinale Sarah.
Ma da cosa può esser determinata concretamente una cattiva applicazione se non dalle 'variazioni' contenute nei suoi documenti e subdolamente applicate attraverso la nuova pastorale da tutti i papi fino ad oggi, col frutto maturo, ma anche anomalo, di Bergoglio? E sono decenni che nella Chiesa è negata ogni possibile argomentata critica, mentre siamo arrivati al punto che la Traditionis custodes dispone apertis verbis : 
  1. "I libri liturgici promulgati dai Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano" (art.1); 
  2. e che il vescovo "accerti che i gruppi [legati alla Messa tradizionale] non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici;" (art.3 § 1. ) 
Non senza aver espulso le celebrazioni in Rito antico dalla Basilica di San Pietro. [qui].

Il Summorum: uno spartiacque con molti punti deboli.  
Già appena promulgato il Summorum Pontificum (2007) fervevano le discussioni e l'unica sponda per il confronto, all'epoca, fu trovata nel Card. Albert Malcolm Ranjith, Arcivescovo di Colombo, già Segretario della Congregazione per il Culto Divino. Egli affermava che una errata comprensione degli insegnamenti del Concilio Vaticano II, insieme all’influenza delle ideologie secolari, offriva ragioni per concludere che «il vero momento del Concilio Vaticano II ha ancora da venire» - secondo l'analoga affermazione dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger nel 1985 - e ne desumeva che, soprattutto nel campo della liturgia, la riforma dovesse andare avanti.

La 'riforma della riforma'. Tramontata?
Lo stessa lettera di Ratzinger ai vescovi, che accompagna il Summorum Pontificum afferma:
Del resto le due forme dell’uso del Rito Romano possono arricchirsi a vicenda: nel Messale antico potranno e dovranno essere inseriti nuovi santi e alcuni dei nuovi prefazi. La Commissione Ecclesia Dei in contatto con i diversi enti dedicati all’“usus antiquior” studierà le possibilità pratiche.
Allo stato dei fatti, tuttavia, non può non mettersi in risalto l’evolversi in negativo della “Riforma della riforma" che non ha mai voluto eliminare il Novus Ordo, ma ridare ad esso una dignità ed una sacralità che purtroppo non gli sono proprie sia per i tagli selvaggi subìti dalla struttura del rito che veicolano una ecclesiologia antropocentrica, sia per effetto della progressiva diluizione del sacrificio del Signore con l’enfatizzazione della “mensa della Parola” e del convito fraterno.
Se è un bene che per far rivivere il senso del sacro Benedetto XVI avesse riproposto l’orientamento dell’azione liturgica, la Croce al centro dell’altare, la comunione in ginocchio, il canto gregoriano, lo spazio per il silenzio, una certa cura dell’arte sacra, restava e resta pur sempre il nodo vero da sciogliere, e cioè: se in luogo del convivio fraterno non si ripropone chiaramente il Sacrificio di Cristo, che è il cuore della nostra Fede e il vero culto da rendere a Dio primaria funzione della Chiesa da cui tutto il resto scaturisce, cambieranno solo alcune “forme”, ma non cambierà la sostanza. E questo può avvenire solo tornando a quello che un liturgista illustre come Klaus Gamber chiama il Ritus Romanus, in contrapposizione al Ritus Modernus.
I gesti liturgici introdotti da Benedetto XVI sono innovazioni formali, che hanno dato maggiore sacralità e dignità alla celebrazione, ma non incidono su alcuni “vizi” di fondo della sua struttura, che sembrerebbero restare immutati e senza più alcun riferimento neppure alla cosiddetta “Riforma della Riforma”.
Riprendo, perché emblematiche della mentalità che regna nelle attuali gerarchie e nei turiferari che vanno per la maggiore, i temi di una intervista rilasciata nel dicembre 2010 da Antonio Cañizares Llovera - uno dei cardinali ritenuti più "conservatori", tanto da essere chiamato "il piccolo Ratzinger" e che peraltro in questi giorni, tanto prontamente quanto sorprendentemente, ha applicato Traditionis custodes sospendendo le celebrazioni Vetus Ordo a Valencia "in attesa di discernere" - che dichiarava:
Perciò apriremo una nuova sezione della nostra Congregazione dedicata ad “Arte e musica sacra” al servizio della liturgia. Ciò ci porterà a offrire quanto prima criteri e orientamenti per l’arte, il canto e la musica sacri. Come pure pensiamo di offrire prima possibile criteri e orientamenti per la predicazione.
Già sarebbe un bene recuperare il patrimonio ricchissimo del canto e della musica sacri, colpiti dalla stessa iconoclastia nei confronti dell’Antico Rito e di tutte le ricchezze ad esso legate, anche se, riguardo al gregoriano, i novatori postconciliari hanno fatto a brandelli una splendida preziosa veste d'alta sartoria, cesellata su misura e con arte sublime per un evento unico vissuto da una Domina di rango eccelso, riprendendo e adattando alla meglio alcuni di questi brandelli per la festa di una donzelletta campagnola [qui - qui]...
Tuttavia, il dramma degli abusi liturgici, sembra non sfiorare affatto il cardinale,  e il rimedio di cui parla è solo di tipo “burocratico”. Egli affermava ancora:
Non so se si possa, o se convenga, parlare di “riforma della riforma”. Quello che vedo assolutamente necessario e urgente, secondo ciò che desidera il Papa, è dar vita a un nuovo, chiaro e vigoroso movimento liturgico in tutta la Chiesa.
Praticamente sembra dichiarare già “tramontata” la “Riforma della Riforma” di Benedetto XVI. Chi lo ha stabilito: la Curia? Ed è saggio parlare di un movimento che così com’è adombrato sembra venire “dal basso”, in un ambito così sacro e serio come la Liturgia?
Un’affermazione del genere risulta comprensibile soltanto in un discorso di efficienza funzionalista di un rito non più inteso come mistico, ma esclusivamente come tecnico. E soprattutto come azione umana e non come Opera teandrica del Figlio.
Queste sono le parole chiave dell’intervista del cardinale quando accenna al “nuovo movimento liturgico”:
Questo impegno sarà accompagnato dalla revisione e dall’aggiornamento dei testi introduttivi alle diverse celebrazioni (praenotanda). Siamo anche coscienti che dare impulso a questo movimento non sarà possibile senza un rinnovamento della pastorale dell’iniziazione cristiana.
Un movimento liturgico dal basso suscita non solo perplessità, soprattutto se agganciato alla non meglio definita "pastorale di iniziazione cristiana" che ha eliminato il senso del peccato e predica una misericordia a buon mercato sganciata dalla giustizia senza alcun riferimento ai novissimi. In ogni caso qualunque modifica non può nascere dal basso, ma deve sgorgare dalla fede viva dalla preghiera e dalla “sapienza” di chi ha dimestichezza e conoscenza anche storica - in riferimento alla Tradizione - ma soprattutto spirituale delle “cose sacre” e della Liturgia, che davvero è la fonte e il culmine della nostra Fede e, poiché lex orandi è lex credendi, ogni innovazione deve rifuggire sia dalle improvvisazioni, sia dalle sperimentazioni, sia dagli spiriti che hanno perso il contatto con la Tradizione e che purtroppo non mancano di darcene drammatiche riprove.
Dice ancora il Cardinale Cañizares,
La bellezza è fondamentale, ma è qualcosa di ben diverso da un estetismo vuoto, formalista e sterile, nel quale invece talvolta si cade. Esiste il rischio di credere che la bellezza e la sacralità del liturgia dipendano dalla ricchezza o dall’antichità dei paramenti [...].
Può anche darsi il caso; ma mettere l’accento sull’estetismo non fa altro che ricalcare gli slogan ricorrenti di chi si riferisce al rito usus antiquior proprio in questi termini, ma lo fa pregiudizialmente perché si sofferma solo su dati esteriori senza coglierne l'essenza.

Lo sviluppo organico della Liturgia
Non è possibile anticipare timori né speranze, in attesa del configurarsi delle innovazioni e di passi concreti per imprimere cambiamenti, soprattutto in merito agli abusi liturgici, mentre il pauperismo e la sciatteria odierni, coniugati con l'avversione conclamata per il Rito antico, ci invitano ad attendere con pazienza orante tempi migliori.
Le rivelative dichiarazioni sopra riportate, non possono non suscitare perplessità, perché un movimento liturgico che parte dal basso e che corre il rischio di essere ispirato all’iperattivismo, all’arrembanza (non possono non venire in mente i teologi del Sant'Anselmo dichiarati ispiratori del TC), francamente fa venire i brividi, intuendo la inevitabile persistenza di abusi ed arbitrarie inclusioni (effetto della incongrua creatività di conio conciliare, mai estirpati dal NO). Tanto più se consideriamo che un ambito così serio e sacro come la Liturgia, che ci porta il respiro della Fede Apostolica arricchita da quella delle generazioni e dei grandi Santi che ci hanno preceduto, non può essere messo in mano né a laici cosiddetti ispirati o carismatici, né a liturgisti improvvisati e neppure costruito a tavolino, come già accaduto per il Novus Ordo.

Gli innovatori, anche attuali, vedono la Liturgia - come pure la Tradizione - con criteri storicistici, che le concepiscono entrambe in evoluzione a seconda dei tempi; ma non ha senso parlare di evoluzione, perché la liturgia e la tradizione non possono evolvere in senso storicistico, nel senso di subire mutazioni profonde che ne snaturano il senso principale e allontanano sempre più dalle radici; mutazioni indotte paradossalmente col pretesto dell'adeguamento ai tempi o di un supposto, enfatizzato, impossibile ritorno alle origini di conio protestante, già stigmatizzato come “insano archeologismo liturgico” da Pio XII nella Mediator Dei.
Esiste, invece, e va riaffermata, una continuità omogenea della Tradizione, l’analogia della Fede, che non conosce né sovvertimenti né sperimentazioni perché conserva l’essenza della Rivelazione Apostolica originaria.
Si possono fare mille discorsi sul fatto che la liturgia possa mutare, nel senso di creare un nuovo prefazio o introdurre una nuova Messa in base al Santorale aggiornato. Si tratta quindi di aggiornare, rinnovare cum grano salis, non di gestire l’evoluzione.
Dunque è da temere il rischio che la Messa tridentina, definita “mai abrogata”, venga sfigurata con il pretesto dell’“arricchimento reciproco”! Meminisse horret l’idea di una contaminazione di un tesoro che ci è pervenuto intatto nella struttura essenziale, pensando soprattutto al Canone Romano, dal Sacramentario Gelasiano, ricordando il rispetto di Papa Damaso per la Vetus latina, prima ancora che dalla sorgente Gregoriana e dalla solenne consegna a tutto l’Occidente latino di san Pio V.
Si tratta di un problema che riguarda la Chiesa tutta e non dei giocatori in lizza come i "liturgisti" di Sant'Anselmo. E allora torno a dire che una faccenda seria e sacra come la Liturgia non può essere lasciata in mani profane, ma affidata a mani e cuori veramente “sapienti”.
Il problema è nello strapotere del modernismo egemone, che ha generato la crisi in cui siamo ed ora sta continuando a cavalcarla! Non resta che metter tutto nelle mani del Signore e della Vergine Santa. A noi toccherà il compito di pregare. Il resto che rimarrà fedele avrà due colonne (il sogno di Don Bosco): L’Eucaristia e l’Immacolata.

Prioritaria e ineludibile necessità è colmare lo iato generazionale che ha cancellato i significati autentici e il vero spirito delle origini della Liturgia - non quello supposto ed enfatizzato dalle innovazioni selvagge e da quelle arbitrarie - e viverla sempre più consapevolmente e profondamente per quanto ci è dato, perché si tratta di un tesoro e di una Grazia inesauribili.
Resta ancora da chiedersi cosa potrà fare un dicastero nel quale operano consulenti decisamente progressisti (penso a Roche l'anti Sarah dichiarato e alle recenti nomine) e, quindi, con patenti divergenze rispetto verso al culto “tradizionale”.
Dove sta andando la nostra Chiesa? Da un lato aumenta la consapevolezza e anche l'interesse per il rito antico, Benedetto XVI non aveva fatto mancare i suoi richiami ed il suo sia pur parziale esempio; ma, sul piano “pastorale”, i segnali sono ormai drammatici.
E certe cose vanno dette e tenute ben presenti senza tregua. Non dobbiamo, non vogliamo e non possiamo distogliere l’attenzione dalla minaccia reale, che è quella di una contaminazione progressiva del Rito usus antiquior provvidenzialmente tornato alla luce. E nemmeno dobbiamo dare per scontato che certe innovazioni debbano accadere comunque e nei termini ancora una volta distruttivi e non semplicemente di sviluppo organico.

Come chiamare quanto appena esaminato se non “discontinuità”? E tanto più grave in quanto tocca il Rito, e lo deforma, proprio nel preludio e nella preparazione in crescendo al suo momento più sacro e solenne?
Secondo Giovanni XXIII, il Concilio non è stato certo un invito a precorrere lo spirito dei tempi.
Tuttavia, tornando agli scritti del Cardinale Ranjith, si riconosce che esso ha avuto luogo in un momento di grande fermento intellettuale in tutto il mondo e, particolarmente nelle sue conseguenze, molti interpreti potrebbero aver visto l’evento come una rottura con la precedente tradizione della Chiesa.
Concetti base e temi come sacrificio e redenzione, missione, annuncio e conversione; l’adorazione come parte integrante della Comunione; la necessità della Chiesa per la salvezza, furono tutti esclusi, mentre il dialogo; l’inculturazione; l’ecumenismo non più come reditus del “separati” ma come ricerca di una convergenza da cercare insieme e non già presente nella Chiesa; l’Eucaristia come banchetto; l’evangelizzazione non più come annuncio ma come testimonianza, ecc.; oggi perfino Fratelli tutti senza Cristo Signore [vedi] e culti idolatrici [vedi], sono divenuti più importanti.

Oggi, la Chiesa può guardare indietro e riconoscere le influenze che hanno distorto l’intento originale del Concilio che, tuttavia, nelle pieghe dei suoi documenti, contiene delle “fessure” o ambiguità, previste come eccezioni, che nell’applicazione sono diventate la regola e rischiano di divenire voragini e non sono più ambiguità ma tragici esiti. Tale riconoscimento, osserva il Cardinale Ranjith, deve: [...] aiutarci ad essere coraggiosi per migliorare o cambiare ciò che è stato erroneamente introdotto e che sembra essere incompatibile con la vera dignità della liturgia. Egli afferma che una più che necessaria “riforma della riforma” deve essere ispirata:
[...] non solo dal desiderio di correggere errori del passato, ma molto di più dalla necessità di essere fedeli a ciò che la Liturgia, invece, è in mezzo a noi e ciò che il Concilio stesso ha definito essere.
La liturgia della Chiesa è strettamente legata alla sua fede ed alla sua tradizione: Lex orandi, lex credendi, la regola della preghiera è la regola della fede.
È il Signore che ci ha donato la liturgia e nessun altro; nessun altro dunque ha il diritto di cambiarla.
A tal proposito, Giovanni Paolo II, in un testo nel quale emerge in modo piuttosto evidente sia l’ispirazione teologica sia la mano dell’allora Cardinale Joseph Ratzinger, affermava:
[...] A nessuno è concesso di sottovalutare il Mistero affidato alle nostre mani: esso è troppo grande perché qualcuno possa permettersi di trattarlo con arbitrio personale, che non ne rispetterebbe il carattere sacro e la dimensione universale (Ecclesia de Eucharistia, n. 52).
Oggi appare ben chiaro come tutto l'impianto delle innovazioni e l'apparato concettuale che lo sottende sia fondato, già in nuce, su un'idea rivoluzionaria di Chiesa di conio vaticansecondista, che non fa altro che citare all'infinito documenti conciliari e post-conciliari che si richiamano l'un l'altro legittimandosi a vicenda, le cui variazioni - ormai vere e proprie rotture - si fanno sempre più audaci ad ogni tappa successiva, in continuità esclusivamente all'interno del loro nuovo impianto paradigmatico, ma senz'alcun legame, e quindi in discontinuità, col magistero perenne ritenuto obsoleto per definizione. Ribadisco di seguito considerazioni che non mi stanco di ripetere finché non ci sarà chi di dovere che ne tragga le conseguenze pratiche per poter ripareggiare la verità. 

Il nocciolo del problema è che oggi, a partire dal concilio 'pastorale', nessun papa si è più pronunciato, né - per come stanno ora le cose - più si pronuncerà ex cathedra (e dunque impegnando l'infallibilità). E ciò anche in virtù del nuovo paradigma di 'tradizione vivente' in senso storicista che assegna la facoltà di riformare la Chiesa alla Chiesa del presente, secondo la ratzingeriana ermeneutica della riforma intesa come rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa che cambia ad ogni epoca, commisurata alla cultura del tempo e realizza la lettura del Vangelo sulla base di quest'ultima, anziché viceversa. Per cui, mentre da un lato il card. Burke può dire che l'esortazione Amoris Laetitia non è Magistero [qui] perché non riafferma l'insegnamento costante della Chiesa e non implica adesione de fide - e altrettanto dicasi per Querida Amazonia et alia [qui] -  dall'altro il papa ha potuto decretare la pubblicazione negli AAS dei criteri interpretativi dell'AL dei vescovi argentini e della lettera papale loro indirizzata  spuri rispetto all’insegnamento costante delle chiesa [qui]. 
A livello individuale una coscienza ben formata sa a Chi deve obbedire. Ma finché non si recupererà la giusta collocazione del soggetto-Chiesa rispetto all'oggetto-tradizione, la confusione continuerà a regnare sovrana con gravi conseguenze per la salus animarum.

Tornando al Concilio e ai suoi nefasti effetti, tra lo spirito con cui si è intrapresa la celebrazione della ventunesima Assise ecumenica ed i sedici documenti maturati al suo termine c’è una logica perfetta: il rifiuto, infatti, degli Schemi ufficialmente preparati, con il quale essa prese l’avvio. E dunque quell'Assise non poteva ingenerare che quei documenti, con quel loro indirizzo, quelle loro aperture, non sempre immediatamente riconoscibili. E da queste, proprio perché tali, non poteva scaturire che un atteggiamento di rottura col passato. Ciò, ovviamente, non comporta un no al Concilio, del quale ricordo che mons. Gherardini individua quattro distinti livelli, assegnando ad ognuno di essi un diverso valore: 1) quello generico, del Concilio ecumenico in quanto Concilio ecumenico; 2) quello specifico del taglio pastorale; 3) quello dell’appello ad altri Concili; 4) quello delle innovazioni.
Sul piano generico, il Vaticano II ha tutte le carte in regola per esser un autentico Concilio della Chiesa cattolica: il 21° della serie. Ne discende un magistero conciliare, cioè supremo e solenne. La qual cosa di per sé non depone per la dogmaticità ed infallibilità dei suoi asserti; anzi nemmeno la comporta, avendola in partenza allontanata dal proprio orizzonte e, semmai può essere individuata negli asserti che coincidono con l'insegnamento costante della Chiesa. [qui]. 

Finché non si prenderà atto che gli aspetti ribaltanti dell'eredità conciliare sono i veri nodi da sciogliere, il nostro impegno di riaffermazione della verità secondo il Magistero costante sarà utile per le anime libere, potrà continuare a defluire come una vena aurea cui attinge chi la trova o come un canale carsico che potrà riaffiorare al termine di questa notte oscura, ma oggi non può avere alcuna efficacia su una realtà così deformata e deformante. E la stessa grave solennità di qualunque possibile correzione canonica, rischia di non ottenere i risultati voluti e sperati. A meno che non intervengano fattori o si destino rette volontà al momento impensabili. 
Ciò non significa rinnegare il Concilio Vaticano II, ma sottoporne i documenti ad un attento discernimento alla luce del Magistero costante, come Mons. Brunero Gherardini chiedeva, inascoltato, a Benedetto XVI nella Supplica a conclusione della sua meditazione teologica sul Concilio (Brunero Gherardini, Concilio ecumenico Vaticano II. Un discorso da fare, Casa Mariana Editrice, 2009) [qui] che purtroppo è divenuto Il discorso mancato (Brunero Gherardini, Concilio Vaticano II. Il discorso mancato. Lindau, 2011)[qui - qui]. Concludo parafrasando le sue parole dall’introduzione al mio saggio sulla questione liturgica nel quale ho affrontato anche i molteplici aspetti sopra elencati ed altri (Maria Guarini, Il Rito Romano antiquior e il Novus Ordo dal Vaticano II all'epoca dei 'due Papi’, Solfanelli, Seconda Edizione 2017 qui).
“L’amore per la tradizione ci consente sia di volgerci indietro sia di guardare in avanti. Conosciamo l’evolversi del fatto liturgico attraverso tanti secoli di storia ecclesiastica e d’adattamento del culto alla sempre più profonda comprensione del mistero in esso e con esso celebrato. E presi dalla bellezza ineffabile e dalla ricchissima simbologia d'ogni azione liturgica, ne traiamo la conclusione in termini di coerenza cristiana: gettarsi in ginocchio, adorare e ringraziare. (cosa più difficile col nuovo rito).
Se è vero che liturgia e fissismo non vanno d’accordo, è altrettanto vero che dell’autentica liturgia non è un ottimo interprete né chi sa o preferisce voltarsi soltanto all’indietro, né chi, guardando in avanti, non ha occhi se non per l’ancor confuso domani. Se s’è d’accordo su questo, allora si capisce perché né l’archeologismo fine a se stesso, né l’improvvisazione, fosse pur seria, devota ed edificante, potrebbero esser mai vera liturgia”.
Per evitare di trasformare un mirabile Ordo nel trionfo dell’informe.

Numquam abrogatam

Secondo don Barthe [qui], che ripete l'opinione di Jean Madiran, sembra che la Messa di San Pio V sia stata abrogata da Paolo VI. Ma più che di abrogazione esplicita sembra si sia trattato di abrogazione implicita, nel senso che fu lasciata alla consuetudine: per cui l'obbligo del Novus Ordo avrebbe fatto sparire il Vetus per inevitabile desuetudine. Nelle intenzioni il rito antico avrebbe dovuto essere cancellato; di fatto ancora oggi, molti cattolici delle nuove generazioni ignorano che sia mai esistito. 
Ricorda Paolo Pasqualucci che un'abrogazione implicita ha successo se il comportamento effettivo dei soggetti interessati le corrisponde. Pertanto, l'abrogazione implicita o la scomparsa per desuetudine, è stata impedita proprio dalla ribellione (felix culpa) di mons. Lefebvre e mons. de Castro Mayer, che hanno continuato a celebrarla pubblicamente come unica vera Messa cattolica, l'antichissima Messa, teologicamente ineccepibile. Anche un piccolo numero basta ad interrompere la prescrizione, non è una questione di quantità. L'importante è che la sua azione sia continua e consapevole, pubblica, dichiarata. Anche oggi, il numero di quelli che va alla Messa tradizionale è sempre piuttosto piccolo. Ma tale Messa sembra attrarre i giovani nei seminari, i pochi giovani che sentono di avere la vocazione. Di nuovo, non è questione di numeri ma di qualità. 
Non ci fu dunque vera abrogazione, e il numquam abrogatam di Benedetto XVI nel Summorum Pontificum è esatto.
Di fatto la Commissione cardinalizia istituita da Giovanni Paolo II nel 1986, presieduta da Ratzinger e formata da grandi canonisti e teologi, si pronunciò in modo del tutto contrario: il messale di S. Pio V del 1962 non era mai stato abrogato e la Messa antica doveva convivere col nuovo rito. Troviamo semmai la richiesta inversa nella conclusione del Breve esame critico del « Novus Ordo Missæ » presentato al Pontefice Paolo VI dai Cardinali Ottaviani e Bacci : "...i sudditi, al cui bene è intesa una legge, laddove questa si dimostri viceversa nociva, hanno avuto, più che il diritto, il dovere di chiedere con filiale fiducia al legislatore l’abrogazione della legge stessa". 

Eppure i neo-modernisti oggi al potere, fanatici sostenitori del Vaticano II che ha massacrato la Chiesa. non riescono ad accettare che i pochi preti che escono dagli asfittici seminari diocesani siano attratti dalla Messa antica; il che è inevitabile quando c'è una vera vocazione. Ciò può rappresentare la sconfitta del Vaticano II e in prospettiva il suo crollo. Se Bergoglio ha adottato la prospettiva ereticale del teologo laico Grillo (incompatibilità della dottrina del Vaticano II con quella dei XX secoli precedenti per effetto della incompatibilità delle rispettive liturgie), ciò obbliga a far finalmente chiarezza, fa finalmente capire (e speriamo stavolta siano in tanti) che la questione di fondo è dottrinale, coinvolge il Concilio, e non può esser risolta se non si affronta il nodo dottrinale rappresentato dal Concilio. Ci conforta vedere Don Barthe schierato in questo senso.

Klaus Gamber e lo sviluppo organico della liturgia

Ma c'è un altro testo che ci viene in aiuto, non molto citato nonostante appartenga ad un grande liturgista come Klaus Gamber : Le radici dell'attuale riforma liturgica. Cenni di storia della litugia. 
Gamber, in opposizione al già menzionato archeologismo liturgico dei riformatori stigmatizzato da Pio XII nella Mediator Dei, ricorda l'autentica nozione paleocristiana del Culto, per cui la Liturgia è in primo luogo un'azione sacra che viene compiuta al cospetto di Dio. Ciò significa, come scrive Gregorio Magno in Dial. IV 58. 2, che « nell'ora del Sacrificio, alla voce del sacerdote i Cieli si aprono», che « a questo Mistero partecipano anche i cori angelici», che «l'Alto e il basso si congiungono, il Cielo e la terra si uniscono, il visibile e l'Invisibile diventano una sola cosa».

Gamber osserva che perfino ai loro inizi le forme del Culto cristiano non avevano nulla di fondamentalmente nuovo e, come la Chiesa primitiva si distaccò solo gradualmente dalla Sinagoga, così anche le forme della giovane comunità cristiana si distinsero gradualmente dal rito ebraico. Ciò vale per la celebrazione dell'Eucaristia, che è in chiara relazione coi pasti rituali degli ebrei (per esempio del Sabato o della Pasqua), sia per le più antiche parti dell'Ufficio delle Ore Canoniche; che si basa su quello sinagogale. Alla rottura con la Sinagoga si giunse a causa della fede nella Risurrezione. 
Da questo egli trae le seguenti conclusioni:
“Se il rito è nato per consuetudine generale – e su questo non c’è dubbio per chi conosce la storia della liturgia – non può essere ricreato nella sua interezza”. Nemmeno all’inizio della Chiesa ciò avvenne, poiché “anche le forme liturgiche delle giovani comunità cristiane si separarono progressivamente dal rito ebraico”.
“Se nel corso del tempo un rito si evolve, è possibile e lecito un suo sempre ulteriore sviluppo, a patto però che esso rispetti la qualità atemporale di ogni rito e si effettui organicamente (...) senza fratture con la Tradizione e senza interventi dirigistici da parte dell'Autorità ecclesiastica. Questa si preoccupò soltanto, nei Concili ecumenici e provinciali, di eliminare e impedire abusi dalle celebrazioni ”.
“La Chiesa Universale ammette l'esistenza di più Riti autonomi. In Occidente, oltre il Romano, abbiamo il Mozarabico e l'Ambrosiano (il Rito Gallicano è da secoli estinto); in Oriente, fra altri, il Rito Bizantino, l'Armeno, il Copto, il Siro-maronita. Poiché ciascuno di questi Riti ha avuto uno sviluppo indipendente, esso presenta caratteristiche sue proprie.  Singole parti di uno di essi non possono pertanto essere mutuate da un altro Rito ”. (...)
“Ogni rito costituisce un’unità cresciuta organicamente. Modificazioni di alcune sue parti sostanziali significano la distruzione dell’intero rito. È quanto avvenne all'epoca della Riforma, quando Martin Lutero eliminò il canone della messa e collegò direttamente il racconto dell’Istituzione con la comunione”. Non occorre dimostrare che, così facendo, egli distrusse la Messa Romana, pur conservando alcune forme esteriori e, agli inizi, perfino la foggia dei paramenti sacri e il canto corale. Ma in seguito, abolito l'antico Rito, nelle comunità evangeliche si è passati a sempre nuove riforme nel campo liturgico.
“ Il ritorno a forme più primitive non comporta necessariamente un cambiamento del rito, ed è perciò, entro certi limiti, ammissibile. Così, non si ebbe frattura alcuna nel Rito Romano tradizionale quando san Pio X reintrodusse il gregoriano restaurato nelle sue forme originarie, o quando restituì la loro primitiva importanza alle Messe delle Domeniche «per annum» nei confronti delle feste minori dei Santi. Nemmeno il ripristino, sotto Pio XII, dell'antica Liturgia Romana della Notte di Pasqua comportò un cambiamento del Canone, e le pur notevoli innovazioni delle rubriche, sotto Giovanni XXIII, furono tanto poco una vera e propria modificazione del Rito quanto l'Ordo Missae del 1965, rimasto in vigore solo per quattro anni e pubblicato immediatamente dopo la Costituzione conciliare sulla S. Liturgia e l'«Istruzione» per la corretta applicazione della stessa. (…) con l”ordo del 1969 si creò un nuovo rito... il ritus modernus, poiché “non basta, per parlare di continuità del rito romano, che nel nuovo messale si siano conservate alcune parti del precedente”.
Ha un papa il diritto di abrogare la Messa?

Se Cipriano (L’unità della Chiesa cattolica) può affermare: "chi abbandona la cattedra di Pietro, su cui è fondata la Chiesa, si illude di restare nella Chiesa", ciò non non può significare che Pietro (come ogni vescovo) non è il proprietario della Chiesa e delle sue tradizioni, quelle liturgiche in primis. 
Il vero significato dell'affermazione che “i vescovi sono i custodi delle tradizioni” (Traditionis custodes) è fondato sul fatto che “a Roma è stata sempre custodita la tradizione che viene dagli Apostoli”. (Ireneo, Adversus Hereses, III, 2). E dunque la custodia delle tradizioni, quelle dottrinali ma anche quelle liturgiche e disciplinari, condiziona l'agire del vescovo di Roma come di ogni vescovo, tenuti a conservare ciò che non appartiene ad essi ma a tutti. Ne consegue che non possono misconoscere il diritto di tutti di usufruire di ciò che appartiene a tutti e che deve esser conservato e custodito.
Lo ha dichiarato recentemente il Card. Burke qui:
“Ha un papa il diritto di abrogare la Messa? La pienezza di potere (plenitudo potestatis) del Romano Pontefice è il potere necessario per difendere e promuovere la dottrina e la disciplina della Chiesa e non può contemplare l'intento di rivoluzionare e distruggere ciò che, a qualunque titolo, non gli piace. Non è un “potere assoluto” che possa cambiare la dottrina o sradicare una disciplina liturgica risalente all'epoca apostolica”
Il potere papale è dunque conservativo, non distruttivo e rivoluzionario. Ciò vale anche per qualunque vescovo. Il supremo magistero del papa coincide con l’ambito del magistero infallibile della chiesa ed è legato a quanto tramandato nella sacra Scrittura e nella Tradizione, insieme alle definizioni emanate del magistero infallibile dei suoi predecessori.
“Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire” (Benedetto XVI, omelia nel prendere possesso della cattedra lateranense, 2005). Chi è servo, nella Chiesa, non può comportarsi da padrone in nessun ambito. Continua Benedetto: 
 “Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo”. 
Ma la Parola, cioè la Sacra Scrittura, non è l'unica fonte della Tradizione, nel cui solco si inseriscono anche le tradizioni liturgiche. “La Tradizione è la fedele trasmissione della Parola di Dio, testimoniata nel canone della Scrittura dai profeti e dagli apostoli, e nella leiturgia (liturgia) etc.” (Commissione teologica internazionale: La teologia oggi: prospettive, principi e criteri qui). In particolare, riguardo alla Liturgia, una metafora cara a Ratzinger è che “il papa ne è il giardiniere e non il fabbricante”. 

Ancora Klaus Gamber: 
“... Di certo non è compito della Sede Apostolica introdurre mutamenti nella Liturgia. Il dovere primario del Sommo Pontefice in quanto Supremo Vescovo (Episcopo, ossia ispettore), è quello di vigilare sulla Tradizione, sia nel campo dogmatico che in quello morale e liturgico.  ... Va inoltre tenuto presente che non solo nella Chiesa Latina, ma nemmeno in Oriente un Patriarca o Metropolita ha mai intrapreso e imposto d'autorità una sua riforma liturgica. Nel corso dei secoli, in Oriente come in Occidente, ha avuto bensì luogo un'organica evoluzione delle forme liturgiche.
... Un diritto esclusivo del Papa di introdurre un nuovo Rito anche senza una disposizione conciliare nascerebbe, così si ragiona, dalla sua « piena e suprema autorità» (plena et suprema potestas), di cui parla il Vaticano I in quelle materie «quae ad disciplinam et regimen Ecclesiae per totumorbem diffusae pertinent» (Denz. 1831). Ma nel termine « disciplina» non è assolutamente compreso quel Rito della Messa che tutti i Papi hanno sempre detto e ribadito risalire alla Tradizione Apostolica. Tale coerenza del Magistero pontificio è sufficiente da sola a escludere che quel Rito rientri nel concetto di «disciplina e governo della Chiesa».
A ciò si aggiunga che nessun documento, neppure il Codice di Diritto Canonico, dice espressamente che il Papa, in quanto Supremo Pastore della Chiesa, ha il diritto di abolire il Rito tradizionale. Nemmeno si parla in alcun luogo di un suo diritto di modificare singole consuetudini liturgiche. Tanto silenzio è, nel nostro caso, di estrema importanza.
Alla « plena et suprema potestas » del Papa sono chiaramente posti dei limiti. È indiscutibile che egli, nelle questioni dogmatiche, deve attenersi alla Tradizione della Chiesa Universale, ossia a «quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est », come dice san Vincenzo di Lerino. Più di un autore esprime l'opinione che non rientri nei poteri del Papa l'abolizione del Rito tradizionale.
Inoltre, se lo facesse, il papa rischierebbe di separarsi dalla Chiesa. Aggiunge Gamber:
Il famoso teologo Suarez (+ 1617), rifacendosi a precedenti autori, fra cui il Cajetano (+ 1534), sostiene che un papa diventerebbe scismatico « se non volesse mantenersi, come è suo dovere, in unione e collegamento con l'intero corpo della Chiesa, al punto di tentare di scomunicare l'intera Chiesa o di mutare i Riti confermati dalla Tradizione Apostolica ». 
Chi voglia trascurare il parere del Suarez consideri allora l'argomento seguente, che forse, in rapporto alla questione della libera potestà normativa del Papa riguardo cui abbiamo già accennato, che, fino a Paolo VI, nessun Papa aveva intrapreso un così totale cambiamento delle forme liturgiche; anzi, nemmeno talune, minime, innovazioni nel Rito erano mai state accettate senza difficoltà”.
Radicale continuità e credibilità della Chiesa
Riprendo ampi stralci delle più recenti forti affermazioni del Card. Sarah [qui]:
Il dubbio si è impadronito del pensiero occidentale. Intellettuali e politici allo stesso modo descrivono la stessa impressione di collasso. Di fronte al crollo della solidarietà e alla disgregazione delle identità, alcuni si rivolgono alla Chiesa cattolica. Le chiedono di dare una ragione per vivere insieme a individui che hanno dimenticato ciò che li unisce come un solo popolo. La supplicano di fornire un po’ più di anima per rendere sopportabile la fredda durezza della società dei consumi. Quando un prete viene assassinato, tutti sono toccati e molti si sentono colpiti nel profondo. Ma la Chiesa è capace di rispondere a queste chiamate? Certamente ha già svolto questo ruolo di custode e trasmittente della civiltà. Al tramonto dell’Impero Romano, seppe trasmettere la fiamma che i barbari minacciavano di spegnere. Ma ha ancora i mezzi e la volontà per farlo oggi?
(...) Ciò che è sacro per la Chiesa, allora, è la catena ininterrotta che la lega con certezza a Gesù. Una catena di fede senza rottura o contraddizione, una catena di preghiera e liturgia senza interruzione o disconoscimento. Senza questa radicale continuità, quale credibilità potrebbe ancora rivendicare la Chiesa? In lei non c’è un ritorno indietro, ma uno sviluppo organico e continuo che chiamiamo tradizione viva. Il sacro non può essere decretato, è ricevuto da Dio e trasmesso.
(...) In un momento in cui alcuni teologi cercano di riaprire le guerre di liturgia contrapponendo il messale rivisto dal Concilio di Trento a quello in uso dal 1970, è urgente ricordarlo. Se la Chiesa non è in grado di conservare la pacifica continuità del suo legame con Cristo, non potrà offrire al mondo «il sacro che unisce le anime», secondo le parole di Goethe.
Al di là della lite sui riti, è in gioco la credibilità della Chiesa. Se essa afferma la continuità tra quella che comunemente viene chiamata la Messa di san Pio V e la Messa di Paolo VI, allora la Chiesa deve poter organizzare la loro pacifica convivenza e il loro reciproco arricchimento. Se uno escludesse radicalmente l’altro, se li dichiarasse inconciliabili, si riconoscerebbe implicitamente una rottura e un cambiamento di orientamento. Ma allora la Chiesa non potrebbe più offrire al mondo quella sacra continuità che sola può dare la pace. Mantenendo viva in sé una guerra liturgica, la Chiesa perde la sua credibilità e diventa sorda alla chiamata degli uomini. La pace liturgica è il segno della pace che la Chiesa può portare nel mondo. La posta in gioco è quindi molto più grave di una semplice questione di disciplina. Se dovesse rivendicare un capovolgimento della sua fede o della sua liturgia, a quale titolo la Chiesa oserebbe rivolgersi al mondo? La sua unica legittimità è la sua coerenza nella sua continuità.
Inoltre, se i vescovi, preposti alla convivenza e all’arricchimento reciproco delle due forme liturgiche, non esercitano in tal senso la loro autorità, corrono il rischio di non apparire più come pastori, custodi della fede ricevuta e delle pecore loro affidate, ma come capi politici: commissari dell’ideologia del momento piuttosto che custodi della tradizione perenne. Rischiano di perdere la fiducia degli uomini di buona volontà.
Un padre non può introdurre diffidenza e divisione tra i suoi figli fedeli. Non può umiliare alcuni mettendoli contro gli altri. Non può ostracizzare alcuni dei suoi sacerdoti. La pace e l’unità che la Chiesa pretende di offrire al mondo devono essere anzitutto vissute all’interno della Chiesa.
In materia liturgica né la violenza pastorale né l’ideologia partigiana hanno mai prodotto frutti di unità. La sofferenza dei fedeli e le attese del mondo sono troppo grandi per intraprendere queste strade senza uscita. Nessuno è di troppo nella Chiesa di Dio!
Si può concordare col card. Sarah sulla necessità del legame tra continuità e legittimità. Ma dov'è la legittimità se, come ho ampiamente dimostrato (v. supra), l'ermeneutica della continuità sbandierata da Benedetto XVI e dallo stesso Sarah è la continuità storicista che si è allontanata attraverso la prassi dall'insegnamento costante della Chiesa?
Ed è sacrosanto che ci sia chi ne dubita, si pone interrogativi e dà delle risposte fondate sulla tradizione perenne... ovviamente non sono la sola. [vedi solo riguardo alla TC]
Di fronte ai miei argomenti c'è chi pone il suo punto di vista soggettivo di assenso alle affermazioni del cardinale ma senza darne le ragioni; per cui resta un discorso superficiale. Si tratta di affermazioni che, come ho appena detto prese a sé sono forti e condivisibili; ma ampliandone l'orizzonte e approfondendo vien fuori quanto già esposto.
Ricordo che lo stesso Cardinal Benelli, fedele discepolo di Paolo VI e del postconcilio - all'indomani dell'Assise, a quanto pare, quo maius cogitari nequit - confessava: "La Chiesa contemporanea è essenzialmente differente dalla Chiesa precedente il Vaticano II"... 
Salvo impedirsi di pensare e riflettere per obbedire ciecamente a ciò che non ha più niente a che vedere con l'autentico "sensus Ecclesiae" troppo spesso invocato in base ai nuovi paradigmi rivoluzionari, e visti gli esiti del post concilio, credo che si possano quanto meno legittimamente individuare le radici del problema che, diversamente, non sarà mai risolto. Finalmente oggetto di dibattiti, tanto necessari quanto difficoltosi, oggi finalmente sul tappeto per effetto delle prese di posizione dell'Arcivescovo Viganò [qui]. Nell'amore per il Signore e nel rispetto per ognuno.

Conclusione
Dopo quanto appena esposto, possiamo chiederci con quale attendibilità, nella Lettera ai vescovi che accompagna TC, Bergoglio possa affermare che “chi volesse celebrare con devozione secondo l’antecedente forma liturgica non stenterà a trovare nel Messale Romano riformato secondo la mente del Concilio Vaticano II tutti gli elementi del Rito Romano, in particolare il canone romano, che costituisce uno degli elementi più caratterizzanti”. A prescindere dal fatto che il canone romano è relegato soltanto ad una delle nuove Preghiere eucaristiche, la meno usata. 
E come egli possa dichiarare di “ritenere i libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, come l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano”.
Si tratta di affermazioni ironicamente paradossali, se promulgate da certi Traditionis custodes!

2 commenti:

  1. Buongiorno, a proposito del Cardinale Sarah, allego questo estratto preso dal sito di Aldo Maria Valli.
    https://www.aldomariavalli.it/2021/08/15/sulla-credibilita-della-chiesa-cattolica-un-intervento-del-cardinale-sarah/amp/
    Grazie a voi mi è nato il desiderio di assistere ad una messa vetus ordo, essendo concorde già solo del fatto che le messe novus sono spesso spettacoli e non riti. Per quanto sia fortunato perché nel mio piccolo paese vicino a Torino il sacerdote (odiato dalla maggior parte dei "cattolici" del paese, ma d'altronde, sono vicino al Pinerolese, terra oramai atea o protestante: le azioni e le parole del vescovo di Pinerolo parlano tristemente da sole) riesce a fare una messa da un ora dove, rispetto a tutti i suoi colleghi novus mi riesce a far partecipare a un pò del sacro della vera liturgia. Tra l'altro nelle sue omelie non scade mai in banalità del mondo ma parla sempre di Gesù. Infatti la critica che gli muovono i cattolici atei (la maggioranza dei cattolici) è che fa "catechismo" a messa.
    Comunque, tra tutte queste diatribe sui riti, per quanto lecite, non possono che farmi condividere il punto di vista di Sarah in questo estratto.
    Grazie e cordiali saluti.
    Ps: se mi potete dare informazioni su messe vetus ordo nel torinese ve ne sarei grato.

    RispondiElimina
  2. Si può concordare col card. Sarah sulla necessità del legame tra continuità e legittimità. Se avessi letto quel che lei segnala avrei sviluppato anche questo.
    Ma dov'è la legittimità se, come ho dimostrato, l'ermeneutica della continuità sbandierata da Benedetto XVI e dallo stesso Sarah è la continuità storicista che si è allontanata attraverso la prassi dall'insegnamento costante della Chiesa?
    Ed è sacrosanto che ci sia chi ne dubita, si pone interrogativi e dà delle risposte... ovviamente non sono la sola.
    Di fronte ai miei argomenti lei pone il suo punto di vista soggettivo. Padronissimo. Ma, senza darne le ragioni, resta un discorso superficiale.
    Ricordo che lo stesso Cardinal Benelli, fedele discepolo di Paolo VI e del dopo-concilio, all'indomani del Concilio, confessava: "La Chiesa contemporanea è essenzialmente differente dalla Chiesa precedente il Vaticano II"...
    Salvo impedirsi di pensare e riflettere per obbedire ciecamente a ciò che non ha più niente a che vedere con l'autentico "sensus Ecclesiae" troppo spesso invocato, e visti gli esiti del post concilio, credo che si possa quanto meno legittimamente individuare le radici del problema che, diversamente, non sarà mai risolto.
    Nell'amore per il Signore e nel rispetto per ognuno.

    RispondiElimina