venerdì 17 giugno 2022

Bergoglio continua ad attaccare duramente i veri Traditionis custodes

Come giustamente osserva un lettore: "Se credi acriticamente, apoditticamente, incrollabilmente nella verità inconfutabile di un totem ideologico (nel caso di specie: il Concilio), se questo totem fallisce così miseramente ed evidentemente che nemmeno tu puoi negarlo, non ti resta che una via di scampo: sostenere che il totem è stato venerato troppo poco, troppo male, troppo infedelmente… se la tua medicina miracolosa sta fallendo, la tua cecità ideologica ti fa pensare ad una cosa sola: che le dosi erano insufficienti e vanno dunque aumentate, aumentate ed aumentate fino all’esasperazione". 
Con le sue reiterate esternazioni e decisioni Bergoglio dimostra di essere ossessionato dal concilio, dalla Tradizione e da chi ancora la custodisce, a partire dalla Messa antica [qui]. Nell'ultima intervista-fiume rilasciata ai direttori delle riviste culturali europee dei gesuiti [qui], ripresa quasi integralmente da Repubblica ed altri quotidiani e a pochi giorni dall'ultima intemerata ai Vescovi e sacerdoti siciliani [qui], il Papa usa termini molto duri contro quelli che definisce "tradizionalisti\restaurazionisti" da lui considerati il male e il pericolo maggiore nella Chiesa di oggi. Un ulteriore tassello, il rescritto del 15 giugno che limita i poteri dei vescovi diocesani, i quali dovranno chiedere il permesso del Vaticano prima di costituire gruppi di fedeli che aspirano a diventare istituti o società religiose [qui]. Riportiamo di seguito congrui stralci dell'intervista in questione.

Papa Francesco in conversazione con di direttori
delle riviste culturali europee dei gesuiti

Antonio Spadaro, La Civiltà Cattolica
14 Giugno 2022

19 maggio 2022. «Benvenuti! Vedete? Sono nella mia nuova sedia gestatoria», scherza il Papa, alludendo al fatto che è sulla sedia a rotelle a causa dei dolori al ginocchio. Francesco ha salutato personalmente, uno per uno, i direttori delle riviste culturali europee della Compagnia di Gesù raccolti in udienza presso la Biblioteca privata del Palazzo apostolico.

Erano in tutto dieci: p. Stefan Kiechle di «Stimmen der Zeit» (Germania), Lucienne Bittar di «Choisir» (Svizzera), p. Ulf Jonsson di «Signum» (Svezia), p. Jaime Tatay di «Razón y fe» (Spagna), p. José Frazão Correia di «Brotéria» (Portogallo), p. Paweł Kosiński di «Deon» (Polonia), p. Arpad Hovarth di «A Szív» (Ungheria), Robert Mesaros di «Viera a život» (Slovacchia), Frances Murphy di «Thinking Faith» (Regno Unito) e p. Antonio Spadaro de «La Civiltà Cattolica» (Italia). Tre direttori erano laici, di cui due donne (per la rivista svizzera e quella inglese). Gli altri erano gesuiti.

L’incontro con il Pontefice è stato l’avvio del loro incontro annuale di tre giorni. All’udienza ha partecipato anche il Preposito generale della Compagnia di Gesù, padre Arturo Sosa. «Non ho preparato un discorso – esordisce il Papa –, quindi, se volete, fate domande. Se dialoghiamo, il nostro incontro sarà più ricco».

[...]
Quali segni di rinnovamento spirituale vede nella Chiesa? Ne vede? Ci sono segni di vita nuova, fresca?

È molto difficile vedere un rinnovamento spirituale usando schemi molto antiquati. Bisogna rinnovare il nostro modo di vedere la realtà, di valutarla. Nella Chiesa europea vedo più rinnovamento nelle cose spontanee che stanno nascendo: movimenti, gruppi, nuovi vescovi che ricordano che c’è un Concilio alle loro spalle. Perché il Concilio che alcuni pastori ricordano meglio è quello di Trento. E non è un’assurdità quella che sto dicendo.

Il restaurazionismo è arrivato a imbavagliare il Concilio. Il numero di gruppi di «restauratori» – ad esempio, negli Stati Uniti ce ne sono tanti – è impressionante. Un vescovo argentino mi raccontava che gli era stato chiesto di amministrare una diocesi che era caduta nelle mani di questi «restauratori». Non avevano mai accettato il Concilio. Ci sono idee, comportamenti che nascono da un restaurazionismo che in fondo non ha accettato il Concilio. Il problema è proprio questo: che in alcuni contesti il Concilio non è stato ancora accettato. È anche vero che ci vuole un secolo perché un Concilio si radichi. Abbiamo ancora quarant’anni per farlo attecchire, dunque!

Segni di rinnovamento sono anche i gruppi che attraverso l’assistenza sociale o pastorale danno un nuovo volto alla Chiesa. I francesi sono molto creativi in questo.

Voi non eravate ancora nati, ma io sono stato testimone nel 1974 del calvario del Preposito generale p. Pedro Arrupe nella Congregazione Generale XXXII. A quel tempo c’è stata una reazione conservatrice per bloccare la voce profetica di Arrupe! Oggi per noi quel Generale è un santo, ma ha dovuto subire molti attacchi. È stato coraggioso, perché ha osato fare il passo. Arrupe era un uomo di grande obbedienza al Papa. Una grande obbedienza. E Paolo VI lo capì. Il miglior discorso mai scritto da un Papa alla Compagnia di Gesù è quello che Paolo VI fece il 3 dicembre 1974. E l’ha scritto a mano. Ci sono gli originali. Il profeta Paolo VI ebbe la libertà di scriverlo. D’altra parte, persone legate alla Curia alimentavano in qualche modo un gruppo di gesuiti spagnoli che si consideravano i veri «ortodossi» e si contrapponevano ad Arrupe. Paolo VI non è mai entrato in questo gioco. Arrupe aveva la capacità di vedere la volontà di Dio, unita a una semplicità infantile nell’aderire al Papa. Ricordo che un giorno, mentre prendevamo il caffè in un piccolo gruppo, lui passò e disse: «Andiamo, andiamo! Il Papa sta per passare, salutiamolo!». Era come un ragazzo! Con quell’amore spontaneo!

Un gesuita della Provincia di Loyola si era particolarmente accanito contro p. Arrupe, ricordiamolo. Fu inviato in vari luoghi e persino in Argentina, e sempre combinò guai. Una volta mi disse: «Tu sei uno che non capisce niente. Ma i veri colpevoli sono p. Arrupe e p. Calvez. Il giorno più felice della mia vita sarà quando li vedrò appesi alla forca in Piazza San Pietro». Perché vi racconto questa storia? Per farvi capire com’era il periodo post-conciliare. E questo sta accadendo di nuovo, soprattutto con i tradizionalisti. Per questo è importante salvare queste figure che hanno difeso il Concilio e la fedeltà al Papa. Dobbiamo tornare ad Arrupe: è una luce di quel momento che illumina tutti noi. E fu lui a riscoprire gli Esercizi spirituali come fonte, liberandosi dalle rigide formulazioni dell’Epitome Instituti[2], espressione di un pensiero chiuso, rigido, più istruttivo-ascetico che mistico.

[...]
In Germania abbiamo un cammino sinodale che alcuni pensano sia eretico, ma in realtà è molto vicino alla vita reale. Molti lasciano la Chiesa perché non hanno più fiducia in essa. Un caso particolare è quello della diocesi di Colonia. Lei che cosa ne pensa?

Al presidente della Conferenza episcopale tedesca, mons. Bätzing, ho detto: «In Germania c’è una Chiesa evangelica molto buona. Non ce ne vogliono due». Il problema sorge quando la via sinodale nasce dalle élite intellettuali, teologiche, e viene molto influenzata dalle pressioni esterne. Ci sono alcune diocesi dove si sta facendo la via sinodale con i fedeli, con il popolo, lentamente.

Ho voluto scrivere una lettera a proposito del vostro cammino sinodale. L’ho scritta da solo, e ho impiegato un mese per scriverla. Non volevo coinvolgere la Curia. L’ho fatto proprio da solo. L’originale è in spagnolo, e quella in tedesco è una traduzione. Lì ho scritto ciò che penso.

Poi la questione della diocesi di Colonia. Quando la situazione era molto turbolenta, ho chiesto all’arcivescovo di andare via per sei mesi, in modo che le cose si calmassero e io potessi vedere con chiarezza. Perché quando le acque sono agitate, non si può vedere bene. Quando è tornato, gli ho chiesto di scrivere una lettera di dimissioni. Lui lo ha fatto e me l’ha data. E ha scritto una lettera di scuse alla diocesi. Io l’ho lasciato al suo posto per vedere cosa sarebbe successo, ma ho le sue dimissioni in mano.

Quello che sta succedendo è che ci sono molti gruppi di pressione, e sotto pressione non è possibile fare discernimento. Poi c’è un problema economico per il quale sto pensando di inviare una visita finanziaria. Sto aspettando che non ci siano pressioni per discernere. Il fatto che ci siano diversi punti di vista va bene. Il problema è quando ci sono pressioni. Questo non aiuta. Non credo che Colonia sia l’unica diocesi al mondo in cui ci sono conflitti, comunque. E la tratto come qualsiasi altra diocesi del mondo che sperimenta conflitti. Me ne viene in mente una, che non ha ancora terminato il conflitto: Arecibo in Porto Rico. Lo è da anni. Ci sono molte diocesi così.

[...]
* * *
Bene! Scusate se mi sono dilungato troppo, ma volevo sottolineare le questioni del post-Concilio e di Arrupe, perché il problema attuale della Chiesa è proprio la non accettazione del Concilio.

L’incontro si è concluso con una foto di gruppo. Il Papa ha nuovamente salutato uno per uno i partecipanti, donando a ciascuno un rosario e alcuni volumi nelle rispettive lingue.

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