domenica 26 giugno 2022

Non c’è diritto costituzionale all’aborto. Tutto OK?

Ringraziamo Andrea Mondinelli per la condivisione del suo scritto diretto a don Gabriele Mangiarotti di Cultura Cattolica sulla sentenza della Corte Suprema USA. Interessante approfondimento che dimostra che non è tutto oro quello che luce, anche se in un sistema così degradato per lo meno è caduto il dogma abortista. Precedenti qui - qui.

Non c’è diritto costituzionale all’aborto. Tutto OK?


Abbiamo imparato a leggere la realtà tenendo conto di tutti i fattori. Il nostro motto «Mille argomenti. Un solo giudizio» è il criterio con cui accostiamo i fatti. Anche la sentenza della Corte Costituzionale americana. Raccogliamo le riflessioni di questa lettera di Andrea Mondinelli per capire come quanto accaduto ci provoca. Nella speranza di un confronto costruttivo.
P.S.: Non dimentichiamo il monito di Chesterton: «Sopprimete il soprannaturale, non resta che quello che non è naturale» [Il soprannaturale è naturale. Scritti per l’Italia]

Caro don Gabriele,
ieri, festa liturgica del Sacro Cuore di Gesù, è avvenuto una sorta di miracolo politico: l’abolizione, da parte della Corte suprema, della famigerata sentenza Roe contro Wade, che di fatto legalizzava l’aborto procurato negli USA. Da oggi in poi, ogni singolo Stato potrà legiferare in materia. Non c’è diritto costituzionale all’aborto, la Costituzione non vieta ai singoli Stati federati di legiferare su questo tema che è profondamente morale; perciò, scrivono i giudici, ora “annulliamo queste decisioni e restituiamo tale autorità al popolo e ai suoi rappresentanti eletti” (qui).

In ben 26 Stati ci saranno restrizioni pesanti alle leggi abortifere (qui): “l’aborto è illegale in Texas con effetto immediato”, ha affermato il procuratore generale Ken Paxton, sottolineando che le strutture che offrono le interruzioni di gravidanza possono essere considerate “responsabili penalmente a partire da oggi” poche ore dopo la sentenza della Corte.

Rallegriamoci degli aspetti molto positivi che, nel contingente, salveranno molte vite, ma non nascondiamo l’aspetto profondamente negativo della Sentenza della Corte Suprema, contenuto nella motivazione: “annulliamo queste decisioni e restituiamo tale autorità al popolo e ai suoi rappresentanti eletti”. I giudici, in sostanza, hanno sancito che la vita possa essere messa ai voti e che tale autorità appartenga al popolo. Di più e peggio che ogni autorità morale spetti al popolo sovrano.

Questo è il peccato mortale delle democrazie liberali, sempre condannato dal Magistero ante concilio Vaticano II. Per comprenderlo è necessario rileggersi la Lettera apostolica Notre charge apostolique (qui) di San Pio X, in cui viene condannato il Sillon. Eccone alcuni stralci significativi:
Il Sillon ha la nobile preoccupazione per la dignità umana. Tuttavia questa dignità l’intende come certi filosofi di cui la Chiesa è ben lungi dal doversi vantare. Il primo elemento di questa dignità è la libertà, intesa nel senso che, salvo in materia di religione, ogni uomo è autonomo. Un’organizzazione politica e sociale fondata su questa duplice base, la libertà e l’uguaglianza (alle quali presto verrà ad aggiungersi la fraternità) è quanto chiamano Democrazia. [21] Il Sillon situa in primo luogo la pubblica autorità nel popolo, da cui passa poi ai governanti, ma in modo tale che continua a risiedere in esso. Orbene, Leone XIII ha formalmente condannato questa dottrina nella sua Enciclica Diuturnum illud sul Principato politico, in cui dice “Un gran numero di moderni, seguendo le orme di quanti, nel secolo scorso, si diedero il nome di filosofi, dichiarano che ogni potere deriva dal popolo; di conseguenza, quanti esercitano il potere nella società, non lo esercitano come di loro propria autorità, ma come un’autorità a essi delegata dal popolo e a condizione di poter essere revocata dalla volontà del popolo, da cui l’hanno. Del tutto opposta è la convinzione dei cattolici, che fanno derivare da Dio, come dal suo principio naturale e necessario, il diritto di comandare”. Indubbiamente il Sillon fa discendere da Dio questa autorità che situa anzitutto nel popolo, ma in modo tale che “essa risale dal basso per andare in alto, mentre, nell’organizzazione della Chiesa, il potere discende dall’alto per diffondersi in basso”. Tuttavia, oltre il fatto che è cosa anormale che il mandato salga, perché è per sua natura discendente, Leone XIII ha confutato previamente questo tentativo di conciliare la dottrina cattolica con l’errore del filosofismo. Infatti, prosegue: “È importante sottolinearlo qui; quanti presiedono al governo della cosa pubblica possono certamente, in determinati casi, essere eletti dalla volontà e dal giudizio della moltitudine, senza che ciò ripugni o si opponga alla dottrina cattolica. Tuttavia, se questa scelta designa il governante, non gli conferisce l’autorità di governare; non delega il potere, ma designa la persona che ne sarà investita”.
[22] D’altronde, se il popolo resta detentore del potere, che cosa diventa l’autorità? Un’ombra, un mito; non vi è più legge propriamente detta e non vi è più ubbidienza.
[…] No, Venerabili Fratelli, non vi è vera fraternità al di fuori della carità cristiana, che per amore di Dio e del suo Figlio Gesù Cristo, nostro Salvatore, abbraccia tutti gli uomini per confortarli tutti e tutti condurre alla stessa fede e alla stessa felicità celeste. Separando la fraternità della carità cristiana intesa in tal modo, la Democrazia, lungi dall’essere un progresso, costituirebbe un disastroso regresso per la civiltà. Infatti, se si vuol arrivare, e noi lo desideriamo con tutta l’anima nostra, alla maggior quantità di benessere possibile per la società e per ciascuno dei suoi membri, per mezzo della fraternità, oppure, come ancora si dice, per mezzo della solidarietà universale, sono necessarie l’unione degli spiriti nella verità, l’unione delle volontà nella morale, l’unione dei cuori nell’amore di Dio e di suo Figlio, Gesù Cristo. Orbene, questa unione è realizzabile soltanto per mezzo della carità cattolica, la quale solamente, di conseguenza, può condurre i popoli sul cammino del progresso, verso l’ideale della civiltà.
[25] Infine il Sillon pone, alla base di tutte le falsificazioni delle nozioni sociali fondamentali, un’idea falsa della dignità umana. A suo avviso, l’uomo sarà veramente uomo, degno di questo nome, soltanto a partire dal giorno in cui avrà acquisito una coscienza illuminata, forte, indipendente, autonoma, che può fare a meno di un padrone, che ubbidisce solo a sé stessa ed è capace di assumere e di portare senza cedere le più gravi responsabilità. Ecco i paroloni con cui si esalta il sentimento dell’orgoglio umano; come un sogno che trascina l’uomo, senza luce, senza guida e senza soccorso, sulla via dell’illusione, dove, aspettando il gran giorno della piena coscienza, sarà divorato dall’errore e dalle passioni. E questo gran giorno, quando verrà? A meno di cambiare la natura umana (il che non rientra nel potere del Sillon), verrà mai? E i Santi, che hanno portato la dignità umana al suo apogeo, avevano tale dignità?
La sentenza della Corte appartiene a pieno titolo alla definizione di Democrazia condannata da San Pio X come disastroso regresso per la civiltà. Per inciso, non esiste un deep State, se non nel senso che la democrazia liberale lo è in tutta la sua manifestazione ed esistenza.

In sostanza, quella che oggi sembra una vittoria si tramuterà, prima o poi, in una sconfitta ancora più grave, perché avallata dal popolo. È un dato oggettivo intrinseco al sistema. Ed eccone il motivo: questa “società democratica” che si pretende votata alla “promozione” della persona umana, è in realtà, diciamolo senza timore, una dissocietà il cui solo collante non può essere altro che una contraffazione della grazia soprannaturale: la religione dell’umanità, travestimento del culto di adorazione che la persona umana tributa a se stessa. La persona il cui fine soprannaturale è Dio nella sua intimità non può far altro che idolatrare se stessa una volta che la sua relazione con la Trascendenza sia riabbassata nel temporale. L’Io al posto di Dio. In tal modo, la “società” o più esattamente la dissocietà non è più considerata nella sua finalità naturale e nella sua struttura organica ordinata al bene comune, all’unione, alla pace tra cittadini. Diventa una pasta molle nella quale viene ad imprimersi con l’astuzia o la violenza, se non entrambi, la ragione del più forte, del più cinico. Questa “pasta molle” è l’oggetto di lavoro dell’informazione deformante dei mass media democratici. Nel caso in oggetto stanno già marciando a grande ritmo, come facilmente constatabile dalla rassegna stampa di oggi.

Ma qual è il meccanismo dei mass media democratici? Lo spiega bene il grande filosofo belga Marcel De Corte, nel suo capolavoro “L’intelligenza in pericolo di morte” (qui): 
Affinché il «cittadino» sia istruito di quanto accade nella collettività di cui è un atomo, i valori di verità, di bontà, di bellezza, che comporta oggettivamente il fatto, sono, d’ufficio, messi tra parentesi. Questo si chiama «tolleranza» dell’opinione altrui, «rispetto della persona». La ricerca di questo valore richiederebbe del resto, tempo, penetrazione, e uno sforzo talvolta notevole, invece bisogna fare presto. Infatti, senza comunicazione, la società di massa si sparpaglia in ciò che è: una «dissocietà». È necessario dunque informare di continuo, comunicare di continuo e il più rapidamente possibile. Le successive edizioni dei quotidiani, del giornale parlato o televisivo non hanno nulla di specificatamente commerciale, rispondono ad una necessità. Lo stesso può dirsi della ripetizione delle notizie. Quel che si deve fare è legare gli uomini fra loro, imprimendo nella loro immaginazione una stessa rappresentazione degli avvenimenti. Tale operazione dev’essere continuamente fatta e rifatta, con forza di stampaggio crescente; perciò si è passati dal giornale all’immagine audiovisiva della televisione, dove la concorrenza sempre più viva tende ad eliminare lo scritto, rendendo ad un tempo il telespettatore più passivo del suo antenato, lettore di quotidiani. Una tale evoluzione è inevitabile. I segni della scrittura significano ancora troppo e fanno ancora appello all’intelligenza del reale. La loro potenza incantatoria è imperfetta. Si può sfuggire alla loro presa, confrontare, prendere una distanza di fronte al testo, ritrovare sé stesso. Tutto ciò stabilisce vari piani di lettori. V’è il rischio che nasca una specie di aristocrazia capace ancora di giudizio. Il giornale, nonostante la sua tendenza a far colpo, alla retorica d’urto è ancora uno strumento inadeguato per legare gli atomi della società di massa. Occorreva un utensile più idoneo.
Quel che Kafka dice del cinema si applica esattamente all’informazione televisiva: «Il cinema altera la visione. Il ritmo precipitato dei movimenti, il cambiamento rapido delle immagini fanno sì, per forza, che queste immagini sfuggano all’occhio. Non è lo sguardo che si impadronisce delle immagini, ma queste si impadroniscono dello sguardo. Sommergono la coscienza. Il cinema — diciamo noi la televisione — mette l’uniforme all’occhio che fino ad oggi era nudo... L’occhio è la finestra dell’anima, i film, la cronaca filmata, l’informazione audio-visiva sono imposte di ferro davanti a questa finestra». In altre parole, la televisione è la macchina perfetta per fabbricare le rappresentazioni che la massa senza cultura assorbe unanime: si impone così a ciascuno la stessa immagine, la stessa uniforme. L’immagine impedisce che la società di massa si dissoci.
La principale legge deformante dell’informazione non è, però, negativa, come la precedente. Ma come lascia intravedere quanto si è detto, rappresenta nel campo politico e in quello sociale la stessa parte che le forme a priori della sensibilità e delle categorie mentali rappresentano nella conoscenza secondo Kant. L’informazione è quasi sempre una in-formazione, una forma introdotta nella materia dei fatti, una maniera di concepirli imposta loro dall’informatore, in maniera da rendersi padrone della mente di chi viene informato. Come il pensiero secondo Kant non conosce delle cose se non quanto vi mette, l’informato non conosce della storia presente, passata e futura, di cui l’informazione gli traccia il quadro, che la l’interpretazione nella quale l’informatore la racchiude. È fin troppo chiaro, infatti, che l’individuo, membro della società di massa, non può orientarsi nel dedalo dei fatti, degli esseri e delle cose coi quali entra in rapporto per mezzo della informazione, senza ricevere qualche indicazione sul loro significato e senza ordinarli. Ha quindi bisogno di cornici, di etichette, di forme. Gli indicatori politici e religiosi (e i loro ispiratori, beninteso) sono in questo campo autentici virtuosi dell’ermeneutica dei fatti. Gli esempi abbondano nella stampa di ogni giorno.
[…] Il fine perseguito dall’informazione deformante è chiaro: carrozzare l’avvenimento in maniera tale che sembri dire il contrario di quanto significa. La fonte di queste rappresentazioni stereotipe, che modellano i fatti sulla specifica eccitazione da provocare, è manifestamente la soggettività degli informatori e di quelli che li comandano. Uno spirito oggettivo riceve l’oggetto. La mente soggettiva invece si proietta sull’oggetto ridotto in precedenza allo stato di materia docile e duttile. Vi proietta le idee e le immagini che egli se ne fa e che, nate da lui, portano il suo segno. Così costantemente ritrova sé stesso negli esseri e nelle cose che egli informa. Qui tutta l’arte dell’informazione sta nel trovare una forma che si imprima sull’oggetto in maniera che l’individuo di massa l’accetti o la rifiuti. Qui si tratta di scoprire una maniera di interpretare gli esseri e le cose capace di scatenare nei loro confronti un comportamento positivo o negativo. Grazie a queste forme a priori, agli stampi così forniti gratuitamente, l’individuo della società di massa si convince di potere agevolmente riconoscere tutto quanto gli è ostile oppure favorevole.
Non ha più bisogno di ragionare, di far personalmente una scelta, una opinione propria corrispondente alla realtà. Automaticamente applica i modelli prefabbricati di cui la propaganda gli ha arredato l’immaginazione, agli avvenimenti, agli uomini, alle condizioni che gli si presentano. E poiché tutti gli altri individui della collettività di cui fa parte sono stati sottoposti dall’informazione allo stesso bombardamento, viene a crearsi l’unanimità quasi completa che mina a meraviglia la coesione sociale delle comunità naturali e la soverchia.
L’antidoto a questo veleno è uno e uno soltanto: è dal soprannaturale, da una persistenza energica e senza cedimenti della sua presenza, che il naturale potrà rinascere. Fare la volontà di Dio è la nostra santificazione, la nostra partecipazione alla vita soprannaturale di Dio: haec est voluntas Dei, sanctificatio vestra. Ora non c’è soprannaturale senza presenza del naturale: gratia naturam supponit. Lì dove c’è ancora il soprannaturale, il naturale è presente. È facile trarne le conclusioni. La storia lo conferma. Non sono né i guerrieri, né i diplomatici, né tanto meno i giudici o le sentenze che hanno creato la civiltà occidentale in ciò che ha di umano, sono i SANTI. Quando la Gerarchia della Chiesa si consacrerà unicamente alla propria santificazione e all’amore soprannaturale di Dio, il nostro mondo, scosso dall’artificialismo e dal soggettivismo individuale o collettivo, recupererà la sua stabilità: il bene comune temporale finalizzerà i comportamenti in modo stabile e la prudenza politica ne scoprirà i mezzi, perché il Bene Comune soprannaturale e immutabile manifesterà ancora la sua presenza effettiva nel mondo.
Un forte abbraccio
Andrea Mondinelli

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