giovedì 9 giugno 2022

Gerhard Card. Müller. “C’è legittimamente un solo Papa e si chiama Francesco”.

Riprendo da Stilum Curiae un recente intervento del Card. Müller sulla spinosa questione delle dimissioni di Benedetto XVI, pubblicato da kath.net. Qui l'indice degli articoli sui 'due papi' a partire dal 2013.
“Le dimissioni di Papa Benedetto hanno introdotto una tensione nel principio petrino dell’unità della fede e della comunione della Chiesa che non ha eguali nella storia”.
Gerhard Card. Müller

Vaticano (kath.net) kath.net documenta le parole del Prefetto emerito della Congregazione per la Dottrina della Fede, Gerhard Cardinal Müller, sulla presentazione del libro “Benedetto XVI nove anni di papato-ombra” di Massimo Franco (Milano 2022). Franco è un noto giornalista italiano e autore di libri, scrive per il Corriere della Sera e per media internazionali come il britannico “Guardian”. kath.net ringrazia S.E. il Cardinale Müller per la gentile concessione di pubblicare le sue parole sulla presentazione del libro.
Nessuno potrà svalutare il nuovo libro di Massimo Franco come un libretto, come accadde a Dario Viganò, allora prefetto del Dicastero vaticano per la Comunicazione, quando finse l’approvazione di Benedetto XVI per un panegirico sul “Nuovo Paradigma” del suo successore, che i media investirono del nimbo del “grande riformatore” (p. 91). [vedi]

Si tratta piuttosto di un vero e proprio libro fattuale che non promuove una persona in modo propagandistico, ma è dedicato al problema della coesistenza di due papi nella Chiesa cattolica, un problema che è rimasto irrisolto in termini di teologia, sociologia ecclesiastica e psicologia.
Il fatto che l’autore abbia chiesto proprio a me di contribuire alla presentazione del suo libro, ottimamente studiato e con una conoscenza dettagliata dei drammatici eventi degli ultimi nove anni, mi onora, ma mi espone anche a un certo rischio di essere frainteso da due parti. Dopo tutto, la mia posizione tra i punti caldi ecclesiastici “Santa Marta” e il “Monasterium Mater ecclesiae” è la più chiacchierata del libro di 250 pagine. Perché io mi inserisco esattamente nello schema narrativo, in quanto sono stato nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede da Papa Ratzinger e bruscamente richiamato da Papa Francesco dopo il primo mandato scaduto di cinque anni. Da allora, secondo la logica dei giochi di potere politico, sono stato scambiato o addirittura ho corso il rischio di essere strumentalizzato o come capo dell’opposizione all’uno o come ultimo rifugio dell’ortodossia nel senso dell’altro.
Ma il legame effettivo e affettivo di ogni vescovo con il Papa non va confuso con il servilismo calcolatore delle corti principesche. La franchezza apostolica con cui San Paolo affrontò una volta il suo collega Pietro sulla “verità del Vangelo” (Gal 2,14) non fece di San Paolo un negatore del primato petrino né impedì a San Pietro di correggere umilmente il suo atteggiamento ambiguo. Così, come è noto, Sant’Agostino (ep. 82) interpretò il famoso passo dei Galati in uno scambio con San Girolamo. (Cfr. Johann Adam Möhler, Hieronymus und Augustinus im Streit über Gal. 2, 14: ders, Gesammelte Schriften und Aufsätze I, ed. v. Ign. Döllinger, Regensburg 1839, 1-18).

Secondo lo schema di una psicologia interiore, molti possono non credere che per amore di Cristo non si sfoghino le proprie delusioni umane sui suoi rappresentanti, sulla sua stessa Chiesa. Il grande cardinale Roberto Bellarmino (1542-1621), nonostante fosse stato allontanato due volte dalla corte papale come “persona non grata”, non si stancò mai di difendere la Chiesa cattolica visibile e il papato come fondamento divino contro i suoi avversari più potenti di allora, il protestantesimo. Un fedele cattolico non può mai desiderare che un pontificato fallisca o che un Papa che, nella più alta responsabilità, incarna la Chiesa nella sua persona, nonostante tutte le debolezze umane, diventi oggetto di polemiche, dispute e divisioni.

“La Chiesa è un fondamento divino e nel Dio-Uomo Gesù Cristo è quindi Dio-umana, cioè costituita sacramentalmente. È quindi infallibile nella sua dottrina, mediatrice oggettiva della salvezza nei mezzi sacramentali della grazia, e di diritto divino nella sua costituzione essenziale. Ma nel suo popolo – dal semplice laico al più alto ministro, a partire da Simone, che Gesù ha fatto diventare Pietro e fondamento della sua Chiesa – c’è tutto ciò che di meschino, umile e miserabile ci rende peccatori e bisognosi di perdono. In definitiva, dobbiamo affidare la nostra causa al Signore, davanti al quale ognuno deve rispondere di tutto ciò che fa.
Contro tutte le teorie artificiose e le avversioni gonfiate, l’affermazione è impeccabile e inconfutabile: C’è legittimamente un solo Papa e si chiama Francesco. Chiunque sia stato papa, vivo o morto, non lo è più, anche se ha diritto a tutta la gratitudine e alla venerazione personale.

All’unico capo visibile della Chiesa ogni cattolico deve la “religiosa obbedienza della volontà e della mente” nella sua autorità di insegnamento e nei suoi giudizi sulle questioni di fede un “sincero attaccamento”, così come a lui, in quanto padre della cristianità, è dovuto il genuino amore dei suoi figli e fratelli nella fede (cfr. Lumen gentium 25). Le dimissioni di Papa Benedetto nel 2013 hanno introdotto una tensione nel principio petrino dell’unità della fede e della comunione della Chiesa che non ha eguali nella storia e che non è ancora stata affrontata dogmaticamente. Le norme del diritto canonico non sono affatto sufficienti in questo caso, e i trucchi della diplomazia ancora meno. La giustapposizione concreta difficilmente può essere padroneggiata senza lo sguardo comparativo, il parlare e il tacere di una parte o dell’altra in un rapporto dialettico.
La vicinanza fisica, l’attenzione dei media e la lunghezza delle vite parallele pongono il Papa in carica e l’ex Papa di fronte a grandi sfide umane per affrontare una situazione senza precedenti. Le richieste radicali di ciechi fanatici da parte degli amici di Francesco o dei sostenitori di Benedetto non sono né dogmaticamente sostenibili né attuabili in termini di diritto canonico. Spesso non conoscono le regole basilari della decenza umana, per non parlare dei comandamenti dell’amore cristiano.
Massimo Franco descrive le folgoranti vicende di armonia e disarmonia tra Santa Marta e il Monastero, inventate, alimentate e strumentalizzate dalle rispettive lobby: L’agitazione intorno al controproducente panegirico di Francesco, l’articolo di Benedetto sulla pedocriminalità tra i sacerdoti, le sue cause e come superarla; la dichiarazione congiunta o differenziata di Papa Francesco e del Cardinale Sarah sulla prevenzione dei viri probati al Sinodo delle Amazzoni, la mia destituzione da prefetto e l’ostracismo dell’arcivescovo Georg Gänswein, ma anche le molte parole di elogio di Papa Francesco per il suo predecessore in occasione del 65° anniversario di sacerdozio di quest’ultimo. Ma anche il sostegno contro le macchinazioni per la distruzione della reputazione che hanno circondato la perizia sugli abusi sui minori nella sua ex arcidiocesi di Monaco.
Sebbene, secondo il diritto puramente ecclesiastico, il Papa di Roma sia libero di dimettersi, ciò è bilanciato dal fatto che, secondo il diritto divino, egli è personalmente nominato da Cristo, invisibile ma vero capo della Chiesa, come successore di Pietro e come suo sostituto nell’ufficio pastorale universale e che, come capo visibile di tutta la Chiesa, ha tutta l’autorità spirituale per guidare la casa del Dio vivente in comunione con gli altri vescovi.

Pertanto, il Papa non è mai solo il presidente della loro assemblea nominato dai vescovi, che potrebbe o dovrebbe ritirarsi in una meritata pensione alla fine di un mandato o a sua discrezione.
Questo è già vietato dalla missione e dall’autorità di testimoniare Cristo nella parola dell’annuncio, fino alla morte del martirio, seguendo Gesù sofferente e crocifisso. Poiché il titolare della Cattedra di Pietro è “il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione” (Lumen Gentium 18; 23) di tutti i vescovi e dei fedeli, la problematica ecclesiologica, già presente nelle dimissioni automatiche dei vescovi al raggiungimento del limite di età di 75 anni, viene al pettine. Anche in questo caso, in una singolare inversione di circostanze, la legge divina è limitata, oscurata e sovrapposta dalle determinazioni positive della legge puramente ecclesiastica.

Tuttavia, più che nel caso di un vescovo che rimane membro del collegio episcopale al momento del suo ritiro, è problematico che il Papa, in quanto capo e principio di unità, torni formalmente a far parte del collegio episcopale attraverso le sue dimissioni, ma nella memoria effettiva e nell’attaccamento affettivo dei fedeli rimane in qualche modo il Papa, e quindi l’impressione di due papi è inevitabile.
Ma proprio il peso teologico di Joseph Ratzinger come famoso professore di teologia, cardinale prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e papa che per decenni è stato al centro della vita ecclesiastica e del magistero romano, e il mantenimento di “insegne” papali visibili, soprattutto sotto le leggi di una società mediatica globale, ha creato l’impressione di una doppia leadership polare della Chiesa cattolica. E questo nonostante il fatto che, tra tutte le comunità cristiane decentrate, il Papa sia l’unico nella Chiesa cattolica a rappresentare il principio di unità mondiale visibile a tutti. In qualche modo, anche contro la loro volontà, i due protagonisti diventano un punto di attrazione per cattolici di diverse simpatie spirituali e teologiche e di orientamento o addirittura umane. Nel peggiore dei casi, diventano figure di identificazione per ali e fazioni in conflitto. Il servizio del Papa all’unità della Chiesa potrebbe trasformarsi nel suo contrario.
Ma anche chi accetta pragmaticamente i fatti e concede loro forza normativa non può assolutamente dichiarare che le dimissioni di un papa per motivi di età e di salute siano il caso normale – questa è la conclusione tratta dai nove anni di convivenza di un solo papa e del suo predecessore come papa emerito. Deve rimanere la più stretta eccezione e può essere contemplata solo per il bene della Chiesa. Il bonum ecclesiae, tuttavia, non va interpretato con le categorie delle professioni mondane, ma con riferimento alla testimonianza di Cristo affidata agli Apostoli e ai loro successori fino alla morte.

Ciò che dovrebbe muovere i cardinali riguardo al conclave è una chiara teologia dell’episcopato e del papato in senso cattolico. I motivi dell’elezione non possono essere solo reattivi. “O, per una volta, eleggiamo uno che faccia piazza pulita della Curia corrotta o che faccia piazza pulita del pasticcio latinoamericano”, come sintetizza cum grano salis Massimo Franco alla fine, “E la storia di questi anni di “due papi” non solo porrà il problema della regolamentazione delle dimissioni, ma avrà anche una ripercussione che sollecita una revisione del “potere” di un papa”. Se il conclave del 2013 è stato quello dell’attacco a una Curia “italiana” e al suo establishment che ha causato le dimissioni di Benedetto, il prossimo, quando si aprirà, sarà probabilmente un conclave contro il vuoto di governo, di riforma visionaria e profetica, contro la confusione e il nepotismo amicale, gesuitico e latinoamericano di Casa Santa Marta.

Il modello curiale di Benedetto è fallito, ma anche la curia parallela di Francesco trasmette un’immagine di caos e arbitrarietà. E quindi il tema sarà quello di analizzare criticamente entrambe le esperienze”. (p. 261f). Pericolosi sono i criteri secondari o l’interesse nazionale e ideologico. Slogan come: “ora deve essere di nuovo un italiano” o “ora toccherebbe all’Asia” o “la Chiesa non ha mai avuto un Papa nero” sembrano slogan da parco giochi e hanno poco a che fare con l’importanza capitale del papato per la “verità del Vangelo” e l'”unità della Chiesa”. È assurdo parlare di “deve essere qualcuno della nostra direzione” oppure: il gruppo di San Gallo, i gesuiti o Sant’Egidio sanno meglio di noi come dovrebbe essere la Chiesa del futuro. Non si tratta di imporre il proprio candidato secondo le idee umane, nella falsa convinzione di poter “fare la Chiesa” o “darle un futuro” secondo il mutevole e volubile metro umano.
Nella scelta tra i due candidati Mattia e Giuseppe Barnaba per l’apostolato, l’unico criterio era che fossero stati con gli apostoli dal momento dell’apparizione pubblica di Gesù fino alla sua ascensione, in modo che il prescelto potesse essere testimone della risurrezione di Gesù. Pregavano insieme, dicendo: “Tu, Signore, conosci i cuori di tutti; mostra quale di questi due hai scelto”. (Atti 1:24).
Piuttosto, è Cristo Signore stesso a formulare i criteri per la sua Chiesa. Li presenta ai cardinali come rappresentanti della Santa Romana Chiesa, che elegge il suo vescovo, successore di San Pietro. Pietro unisce la Chiesa nella confessione di Cristo, il Figlio del Dio vivente (Mt 16,16). A Simon Pietro il Signore disse prima della sua passione salvifica: Rafforzate i vostri fratelli nella fede (Lc 22,32). E il Signore risorto affida al Papa, come un tempo a Pietro sul mare di Tiberiade, la cura pastorale della Chiesa universale con il mandato tre volte ripetuto: Pasci i miei agnelli, pasci le mie pecore, pasci le mie pecore (Gv 21,15-17).
Nonostante tutte le mancanze e le colpe umane dei papi del passato e del futuro, che si aggrapperanno a loro come poveri peccatori fino alla morte, possiamo essere grati, soprattutto qui a Roma e in Italia, che Dio abbia degnato questa terra di essere la sede della Cattedra di Pietro fino alla consumazione del mondo.
Che lei, caro Massimo Franco, ci abbia guidato con il suo libro attraverso gli emozionanti e stimolanti ultimi nove anni del papato romano e ci abbia offerto un orientamento, per questo merita un ringraziamento e un riconoscimento.

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