lunedì 8 agosto 2022

Dalla scuola potrà mai essere assente il Maestro? In margine al Manifesto del Osservatorio Card. Van Thuân sulla vera scuola cattolica

Capita così che Dio sia escluso dalla scuola. La si chiama, di solito, “laicità epistemologica”. Ma escludendo Dio dalla scuola si esclude Dio dal sapere e il sapere perde la propria organicità e universalità. Da “quadro del sapere” si trasforma in una serie di rigagnoli senza contatti reciproci, di specializzazioni e percorsi senza un disegno comune. Editoriale del vescovo Giampaolo Crepaldi al fascicolo della rivista dell'Osservatorio Card. Van Thuân dedicato all’argomento scuola.

Dalla scuola può mai essere assente il Maestro?
+ Mons. Giampaolo Crepaldi
(vescovo di Trieste)

Quando si parla di scuola e di educazione non bisognerebbe mai generalizzare. L’evento educativo è un rapporto di libertà che si configura in modo molto diverso nelle singole scuole, nelle singole classi, con i singoli insegnanti. I discorsi “in generale” rischiano quindi di non rendere ragione della realtà. Dire che la scuola non educa più, oppure che un certo tipo di scuola è finito rischia di suscitare il giusto rammarico di tanti docenti che nella loro azione educativa ci mettono l’anima, oppure di seminare sfiducia in tante famiglie che vivono un buon rapporto con la scuola dei loro figli.

Eppure, un qualche discorso generale sulla scuola bisogna pur farlo. Ci sono delle tendenze in atto molto evidenti che riguardato più o meno tutte le scuole, i governi sfornano leggi sulla scuola (da ultimo la legge cosiddetta della “Buona scuola” del governo italiano, licenziata dal Parlamento in via definitiva nel luglio di quest’anno), nella scuola continuano ad agire ideologie che seminano spesso visioni distorte. Di scuola in generale si può e si deve quindi parlare, pur tenendo conto che dentro questo quadro di ampio respiro ci sono tante situazioni diverse che non sono nemmeno inventariabili.

Questo numero del “Bollettino” intende impostare questo discorso generale e lo vuol fare a partire da due dati di fondo.

Il primo è che oggi siamo in presenza di una “emergenza educativa”, come ebbe a dire Benedetto XVI[1] e come sta ripetendo Papa Francesco. Questa emergenza non deriva da carenza di risorse o di strutture, da difetti legislativi o amministrativi. Certo, anche da questo, ma non solo e non principalmente da questo. Essa deriva da una carenza di visione delle cose, non sappiamo più chi sia quell’uomo che vogliamo educare. Una educazione cieca non può essere educazione, dato che l’educazione pretende una serie di interventi organici e non occasionali o casuali. Nelle scuole, soprattutto nelle scuole statali ma non solo, è assente un progetto antropologico, senza il quale ogni progetto educativo si riduce a progetto didattico ed ogni progetto didattico si riduce a semplice istruzione. Davanti ai problemi antropologici, etici, religiosi, che fatalmente emergono dall’insegnamento, la scuola di oggi si limita ad aprire una discussione. Davanti all’immenso campo dell’etica e della religione, la scuola pubblica si professa agnostica e, al massimo, fa propria la regola di Wittgenstein: “di ciò che si può dire bisogna parlare, di ciò che non si può dire bisogna tacere”. L’emergenza educativa deriva quindi dall’aver abbandonato l’idea che la scuola è luogo di ricerca e di trasmissione della verità[2].

Capita così che Dio sia escluso dalla scuola. La si chiama, di solito, “laicità epistemologica”. Ma escludendo Dio dalla scuola si esclude Dio dal sapere e il sapere perde la propria organicità e universalità. Da “quadro del sapere” si trasforma in una serie di rigagnoli senza contatti reciproci, di specializzazioni e percorsi senza un disegno comune. L’interdisciplinarietà viene intesa, di conseguenza, solo come accostamento metodologico tra le discipline per percorsi comuni estemporanei, o come la constatazione dell’esistenza di più punti di vista su uno stesso oggetto. Ma niente di costruttivo.

L’emergenza educativa non si è però fermata al suo proprio livello. Come ha messo in evidenza un Comunicato del nostro Osservatorio, essa è avanzata e si è trasformata in “allarme educativo”[3]. Ciò è capitato da quando la scuola non si è limitata a gettare fuori da se stessa il senso – come è nel caso dell’emergenza educativa – ma ha voluto essa stessa produrne un altro. L’allarme educativo è scattato quando, come accaduto per esempio nella scuola francese con i ministeri della presidenza Hollande o in quella spagnola con il governo Zapatero, la scuola ha preteso di plagiare le menti degli alunni secondo un progetto ideologico. Più precisamente si è passati dall’emergenza educativa all’allarme educativo quando la scuola si è fatta strumento dell’ideologia del gender[4] e i ministeri hanno emanato linee guida che apparentemente erano diretti a combattere l’intolleranza e l’omofobia ma che in realtà avevano la pretesa di rieducare le coscienze e di diffondere ufficialmente una ideologia post-umana.

Questo è il primo dato di fatto di cui abbiamo tenuto conto: la realtà dell’emergenza educativa e il suo transito nell’allarme educativo. Tutto ciò getta una luce speciale sulla scuola statale che, in molti casi, sta diventando pericolosa. Un tempo la scuola statale era luogo di trasmissione di alcuni valori a base naturale sufficientemente condivisi; poi ha fatto propria la visione del relativismo e ha bandito ogni senso assoluto dalle proprie mura; quindi ha preteso di rieducare l’uomo nuovo, secondo una versione rivisitata degli obiettivi delle ideologie ottocentesche[5]. Da qui l’interesse, che anche questo fascicolo documenta, per nuove forme di educazione e di istruzione, come per esempio la scuola parentale che proprio per questo presentiamo in questo numero.

L’ideologia del gender, per esempio, è sempre più istituzionalizzata e penetra nella scuola statale in modo automatico e per inerzia. Se dovesse venire approvato dal Parlamento italiano il disegno di legge Fedeli – di cui si occupa specificatamente un articolo di questo fascicolo – l’insegnamento del gender diverrebbe obbligatorio. Già ci sono le Linee guida del ministero della pari opportunità sulla intolleranza relativi alle differenze di genere. Una legge come la Fedeli imbavaglierebbe ogni opposizione. I genitori devono sapere che, oltre ad una loro maggiore e più consapevole presenza nella scuola pubblica, ci sono altre possibilità per garantire una sana educazione ai loro figli e per far rientrare Dio nella scuola.

Il secondo dato di fondo è proprio legato a quest’ultima mia affermazione. In un mio libro recente ho cercato di chiarire prima di tutto a me stesso quale fosse la relazione tra la scuola e il Maestro Gesù Cristo. «La libertà di educazione è fondamentale in quanto pone o toglie la possibilità che l’anima del bambino sia iniziata alla verità piuttosto che all’errore, al bene piuttosto che al male, a Dio piuttosto che al Principe delle tenebre. Il problema non è solo quello delle scuole cattoliche, ma quello della educazione e del suo ruolo decisivo nella nostra vita. Se è possibile educare, allora tutto è rimediabile, ma se alle famiglie e alla Chiesa viene tolta la possibilità di educare è la fine per tutti e per tutto. Questo processo di spogliamento è purtroppo molto avanzato»[6].

È possibile una vera educazione pienamente umana in assenza del Maestro Gesù Cristo? Credo di no. Questo spiega perché i Pontefici hanno sempre rivendicato alla Chiesa una sua propria presenza nell’educazione e perché tanti santi educatori e fondatori di comunità educative, a cominciare da San Giovanni Bosco, hanno cercato di realizzare concretamente questa presenza. Non si pone sufficiente attenzione al fatto che nella disputa ottocentesca tra la Chiesa e lo Stato che rivendicava a sé il diritto-dovere di educare i cittadini c’era in gioco il posto di Dio nell’educazione, senza del quale, dicevano i Pontefici, vera educazione non ci può essere. Anche se questa pretesa ad una originaria titolarità educativa della Chiesa è poi venuta meno nel sentire comune ecclesiale, la sua presenza educativa non può essere considerata solo di supplenza nei confronti dello Stato, ma veramente originaria. Questo principio non è mai stato negato dal magistero anche recente.

I cattolici che in quegli anni lottavano contro la pretesa dello Stato di educare i propri cittadini “come se Dio non fosse” si comportavano – fatte le debite differenze di tempo – come i cattolici che oggi lottano contro la pretesa dello Stato di educare, o rieducare, i propri cittadini. I regimi politici sono cambiati, dallo Stato liberale si è passati allo Stato totalitario e poi a quello democratico, ma il “giuseppinismo”, ossia il tentativo dello Stato di allontanare la Chiesa dall’educazione per farne cosa esclusivamente propria, è ancora vivo e vegeto.

Un altro punto collega l’opposizione cattolica di allora a quella di adesso. L’educazione non può avere al proprio centro Cristo e quindi deve essere per diritto originario azione della Chiesa e non dello Stato. Questo però deve passare attraverso la famiglia, chiesa domestica e prima società naturale. Anche oggi le due priorità si sostengono a vicenda: riaprire la possibilità di una educazione cristiana avente come protagonista principale la famiglia.

Con queste osservazioni sullo Stato e sulla famiglia, abbiamo già toccato il problema politico della scuola e dell’educazione. 

Nell’Appello politico agli italiani del nostro Osservatorio, dal titolo “Un Paese smarrito e la speranza di un popolo”[7], si parlava anche di scuola e di libertà di educazione. In esso si scriveva: «La necessità di spazi di responsabilità moralmente qualificata nel nostro Paese si nota, prima ancora che nelle attività economiche, sociali o amministrative, in quelle dove le persone misurano reciprocamente la propria libertà nella verità, prima fra tutte l’educazione. Servono spazi di libertà educativa, in cui i bambini e i giovani siano posti veramente davanti a delle proposte significative che ne sollecitino le risposte di vita. In cui i genitori siano attenti protagonisti e, prendendosi cura della crescita personale dei figli, maturino nello stesso tempo attitudini di collaborazione civica in quanto famiglia. In cui le famiglie spirituali della società possano elaborare proposte educative secondo le loro legittime aspirazioni. La più grande rivoluzione da farsi in Italia è quella della scuola. E si tratterebbe di una rivoluzione non solo educativa, ma politica nel senso più profondo del termine. Sprigionerebbe entusiasmo, partecipazione, impegno, adesione ad ideali, confronto e, soprattutto, la capacità di dare risposte, che poi si riverserebbe positivamente in altri campi della vita sociale. Favorirebbe l’iniziativa culturale, la circolazione delle idee, la mobilitazione dal basso, l’assunzione di responsabilità, la sana disputa ideale. Nulla in Italia sarebbe come prima se fosse attuata questa rivoluzione educativa»[8]. 

È anche per liberare le energie necessarie per questa rivoluzione politiche che abbiamo deciso di dedicare alla scuola questo numero del “Bollettino”. - Fonte
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[1] Lettera del Santo Padre Benedetto XVI alla diocesi e alla città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008.
[2] Cf G. Crepaldi, Il cattolico in politica. Manuale per la ripresa, Prefazione del Cardinale Angelo Bagnasco, Cantagalli, Siena 20122, pp. 143-152.
[3] http://www.vanthuanobservatory.org/notizie-dsc/notizia-dsc.php?lang=it&id=1776
[4] Cf “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa”, VIII (2012) 3: L’ideologia del genere o la fine del genere umano.
[5] Molti commentatori sottolineano come la nuova ideologia del gender abbia sostituito il marxismo come prospettiva di palingenesi politica. Cf per esempio: Michel Pinton, Abrogation. Protéger le mariage après la loi Taubira. Abroger les racines de la loi, “Liberté Politique”, n. 65, Février 2015, p. 215.
[6] G. Crepaldi, A compromesso alcuno. Fede e politica dei principi non negoziabili, Cantagalli, Siena 2014, p. 25.
[7] Osservatorio Cardinale Van Thuân sulla Dottrina sociale della Chiesa, Un Paese smarrito e la speranza di un popolo. Appello politico agli italiani, Cantagalli, Siena 2014.
[8] Ivi, pp. 35-49.

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