giovedì 29 aprile 2021

I vescovi italiani si sono fatti sentire sul ddl Zan, ormai incardinato in Parlamento

La CEI di fatto si inchina. La cosiddetta risposta realistica a cui accenni, in realtà, è la conseguenza dell'ambiguità, della complicità di fatto, e del ponziopilatismo perseguito per anni, perseguito e concesso proprio da coloro che ora fanno questa dolcissima critica al potere che avanza, che poi è più un distinguo e una richiesta di tregua al vincitore. (Rosario Del Vecchio). Sul ddl Zan vedi

Ieri è apparsa una nota firmata dalla “presidenza della Cei” che definire tiepida è un eufemismo. 
I vescovi ribadiscono “il sostegno a ogni sforzo teso al riconoscimento dell’originalità di ogni essere umano e del primato della sua coscienza. Tuttavia, una legge che intende combattere la discriminazione non può e non deve perseguire l’obiettivo con l’intolleranza, mettendo in questione la realtà della differenza tra uomo e donna”.
Si legge poi che “in questi mesi sono affiorati diversi dubbi sul testo del ddl Zan in materia di violenza e discriminazione per motivi di orientamento sessuale o identità di genere, condivisi da persone di diversi orizzonti politici e culturali. È necessario che un testo così importante cresca con il dialogo e non sia uno strumento che fornisca ambiguità interpretative”.
Quindi, scrivono i presuli, “auspichiamo che si possa sviluppare nelle sedi proprie un dialogo aperto e non pregiudiziale, in cui anche la voce dei cattolici italiani possa contribuire alla edificazione di una società più giusta e solidale”.
 
Tutto qui? Sì, tutto qui.
la nota smussa, lima e cerca il dialogo per fare in modo che la legge faccia meno danni possibili: si pensa che sia l’opzione più realistica nel contesto attuale. Dunque la Chiesa italiana non farà le barricate contro il ddl Zan. Il che significa anche che la Chiesa purtroppo non accenna a tornare a svolgere la sua funzione di insegnamento e guida - oltre che di santificazione, che pure dov'è più? - che tornerebbe a rendere gloria a Dio mentre consentirebbe di ricostruire la fede e la cultura centrate sull'insegnamento perenne.

Scrive Martino Mora: “Qualcuno vede una contrapposizione tra legge Zan e dittatura sanitaria. Perché la Zan in tempo di Covid? Non è un assurdo? Non hanno altro a cui pensare? Al contrario, io vi vedo grande coerenza. Entrambe fingono di difendere il bene (l'uguaglianza dei cittadini la prima, la salute la seconda) ed entrambe tolgono la libertà (di pensiero, di educazione e di religione la prima, di tutto il resto la seconda), distruggono il tessuto sociale, la famiglia o il lavoro, e conducono verso un futuro distopico. Se la Zan è il grande Reset omosessualista, anzi omo-transessualista, la dittatura sanitaria (che va ben oltre le giuste e necessarie misure di contenimento) conduce verso il grande Reset neocapitalista e finanziario. I media di regime, i media della menzogna eretta a sistema, le sostengono entrambe. Non è un caso.”

Scrive Catacumbulus: “La Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana [...] nel quadro della visione cristiana della persona umana, ribadisce il sostegno a ogni sforzo teso al riconoscimento dell’originalità di ogni essere umano e del primato della sua coscienza" (Incipit della "Nota della Presidenza CEI").
L'incipit della nota già contiene il proton pseudos del modernismo in tutta la sua forza devastante. Semplicemente non è vero che il "primato della coscienza" corrisponda a una "visione cristiana della persona umana". Il primato è quello della VERITÀ sulla libertà ("Cognoscetis veritatem et veritas liberabit vos", Giov. 8, 32)! Il concetto stesso di coscienza, la quale non è una "facoltà" ma un "atto" (Summa Theologiae, I, q. 79, art. 13, respondeo: e proprio in quanto atto può essere erronea), ha senso solo in relazione alla verità. Infatti San Tommaso risponde positivamente al quesito se la coscienza erronea sia obbligante moralmente, proprio in ragione del primato della verità (Summa Theologiae, I-II, q. 19, art. 5, respondeo). Il che, però, non significa che la coscienza erronea sia sempre moralmente innocente rispetto all'ignoranza della verità che l'ha portata all'errore (Summa Theologiae, I-II, q. 19, art. 6, respondeo).
L'atteggiamento liberale, chiamiamolo così, è proprio quello che, al contrario, tendenzialmente inverte il rapporto tra verità e libertà, giungendo ormai ad un totale relativismo aletico. Il che porta all'assoluta contraddizione di chi vorrebbe condannare chiunque affermi verità oggettive, ossia universali e valide al di là delle opinioni soggettive e relativiste.
Farei poi notare che il punto è sempre quello della verità, poiché invocare un'assoluta libertà di opinione, oltre a non essere il caso nemmeno oggi (l'apologia di reato è sempre giustamente un crimine), è errato, poiché è già una concessione all'atteggiamento liberale di cui sopra. La questione è che bisogna tornare ad accettare il fatto che la verità esiste e va affermata, onde poter risolvere ogni controversia etica, altrimenti vige solo la legge del più forte (mediaticamente).”

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