Matteo Carnieletto intervista il professor Simone Regazzoni: "Noi dobbiamo fare una battaglia non solo per sopravvivere ma per sentirci vivi, per sentire tutta la forza della vita. Senza disciplina manca la forza che dice: "Bene, passato il colpo traumatico troviamo la modalità per tornare là fuori" (...) C'è una partita interessante da giocare ora, ed è davvero la partita della vita".
"La vita deve essere aperta al rischio.
Ecco perché il coprifuoco è sbagliato"
Professore, è da un anno che, a targhe alterne, veniamo confinati in casa. Come mai?
Il primo grande errore è stato di mentalità: abbiamo risposto con una mentalità ristretta che ragionava solo in termini di sopravvivenza al problema Covid. Ora ci chiedono di continuare a usarla anche per il futuro, proprio ora che il fenomeno inizia ad avere una portata diversa attraverso i vaccini e altri tipi di risorse. Continuiamo ad avere i medici che, in tv, fanno il loro discorso a mo' di predica; hanno assunto un ruolo diverso dal medico, a metà strada tra un prete e un poliziotto: fanno la morale e pretendono che la loro morale abbia forza di legge. La politica troppo spesso è subalterna.
Per esempio?
La questione del coprifuoco, su cui ultimamente si è discusso, è un chiaro sintomo di questa mentalità ristretta. Tra l'altro, stiamo parlando di una misura estrema per una democrazia, che viene messa in atto quando ci sono minacce davvero epocali. In questo momento, coloro che sostengono il coprifuoco affermano anche che questa misura non ha alcun effetto positivo e che si tratta solo di un deterrente psicologico. Ma in una democrazia non è accettabile limitare le libertà fondamentali semplicemente perché i cittadini potrebbero far cattivo uso della propria libertà.
Sembra che ora ci siano i medici, e in particolare i virologi, al comando del Paese...
È giusto che i medici tutelino la nostra vita nei limiti delle loro competenze e del loro spazio, ma non possono e non devono occuparsi della totalità delle nostre vite: un cittadino non è un potenziale paziente. Una volta che sono tutelate le categorie più fragili, bisogna aprirsi al rischio, vale a dire alla vita. La vita è strutturalmente aperta al rischio e pensare di cancellare tutti pericoli non ha senso. C'è anche chi dice: "Saremo vaccinati ma, per anni, dovremo continuare a portare le mascherine". Tutto questo è politicamente pericoloso. Non è accettabile. Si è parlato di rischio ragionato: oggi dobbiamo rieducarci all'indocilità ragionata, come sosteneva il filosofo Michel Foucault. Noi non possiamo essere docili di fronte a tutto ciò che il medico di turno dice. Lui è libero di dire le sue opinioni, ma non è libero di decidere delle nostre vite.
Ma com'è possibile che tutto questo sia passato senza che nessuno abbia osato dire nulla?
Perché siamo stati esposti a un trauma. Non a caso le prime reazioni, un anno fa, erano: non è reale, è un film. Di fronte a qualcuno che dice "so io come salvarti", ci si adegua. È una reazione psicologica normale. Ma - passato il momento del trauma, dove è abbastanza razionale ragionare in termini di protezione assoluta - bisogna iniziare a costruire una risposta che vada al di là della semplice sopravvivenza. Ed è qui che c'è stato un vuoto discorsivo e il discorso medico ha monopolizzato la risposta. C’era bisogno di filosofi, psicologi, artisti, antropologi, e invece abbiamo affidato a qualche virologo questioni esistenziali su cui ha la stessa competenza del primo che passa.
Non è che forse era anche più comodo rimanere in casa?
Ci siamo abituati subito perché la società è strutturata attorno a vari dispositivi che ci rendono sopportabile, e anche amabile, lo stare rinchiusi in casa. Gli abbonamenti a Netflix, Zoom e tutto il resto. Sono diventate le nostre nuove zone di comfort. Questi dispositivi funzionano però per un certo periodo, poi si inceppano, soprattutto quando si inizia a sentire il bisogno di vita, della vitalità della vita. Ed è a questo punto che l'insofferenza viene criminalizzata, come abbiamo già visto (la scorsa estate andare in vacanza sembrava essere un comportamento immorale). Questo discorso va rigettato in toto. Noi non possiamo andare avanti così. Ciò che è accaduto ci stava nel momento del trauma, siamo diventati docili perché un tipo di discorso era efficace in quel momento (e poi perché noi non amiamo davvero la libertà, ma “stiamo bene” quando c'è un potere paternalista), poi l'insofferenza emerge. Ora è tempo di ringraziare i virologi, congedarli dalle tv e tornare a fare quella cosa rischiosa e bellissima che si chiama vita. Ci giochiamo ora l’avvenire... Dobbiamo riappropriarci dello spazio della vita. Questa è la vera scommessa.
Come ci si abitua al rischio? È possibile che la mia generazione, quella dei ragazzi che oggi hanno trent'anni, non contempli alcun tipo di rischio?
Credo ci sia stato un cattivo progetto pedagogico della generazione precedente. Abbiamo eliminato tutti i riti di passaggio perché erano traumatici (dall'esame a scuola a qualsiasi commento che mettesse in discussione la persona) e, non contenti, cerchiamo anche di eliminare qualsiasi cosa che possa fare male (cioè lasciare una qualche ferita). Questo non prepara a possibili traumi. Se uno ha una formazione del genere, appena arriva un trauma rischia di crollare.
Ci spieghi meglio, per favore...
A scuola qualsiasi cosa possa mettere in difficoltà i ragazzi viene esclusa ed è per questo che dobbiamo cambiare il discorso pedagogico. Dobbiamo tornare a far misurare le persone con le prove, perché una vita senza prove (eventi che accadono) è una vita che non è pronta alla vita. Il Covid-19 è stato uno di questi eventi, che ci dà la misura della difficoltà del nostro rapporto con il reale. L'esperienza è traumatica, significa misurarsi con qualcosa che può lasciare un segno. Imparare a vivere significa dare un significato a queste ferite. Siamo una società che ha detto che "non bisigona ferirsi". Ma così cancelliamo l’esperienza.
Gli sport di combattimento vengono citati a sproposito, sostenendo che chi pratica sport simili è un teppista. In realtà, seguendo il suo ragionamento, queste attività, che contemplano prove e sofferenza, potrebberpo rappresentare una grande alternativa pedagogica...
Perché ci dobbiamo allenare in palestra? Ce lo insegna la storia: per affrontare le difficoltà della vita ed essere in grado di combattere. Ma oggi qualsiasi termine che rimandi al combattimento, al conflitto, è stato eliminato perché politicamente scorretto. Quando il conflitto arriva restiamo imbelli e ci chiudiamo in casa con internet. Se non abbiamo una disciplina dei corpi, questi saranno docilissimi al potere. Il potere in questo lockdown, in questo anno, ha agito sui nostri corpi perché li ha privati di movimento, di contatto.
Che rapporto abbiamo con il nostro corpo?
Siamo la società dell'immagine del corpo che rimuove i corpi in carne e ossa. Gli sport da contatto, dove possiamo sempre farci male, sono qualcosa che, nella tradizionale occidentale, rappresentava un elemento formativo fondamentale. I corpi sono docili perché manca consapevolezza di ciò che fai e la disciplina come cura e costruzione di sé. Gli sport da combattimento sono consapevolezza e disciplina. Chi fa sport da combattimento sa bene che deve misurarsi con il rischio, la paura, sa che ci si può far male, ma tutto questo non è altro che la vita. In un rapporto ci sono ferite, nella vita quotidiana ci sono sconfitte e traumi, e il soggetto è proprio chi sa costruire se stesso a partire da ferite, traumi, sconfitta.
Noi dobbiamo fare una battaglia non solo per sopravvivere ma per sentirci vivi, per sentire tutta la forza della vita. Senza disciplina manca la forza che dice: "Bene, passato il colpo traumatico troviamo la modalità per tornare là fuori". C'è questa voglia di tornare ai corpi oggi. È un passaggio fondamentale perché i nostri sono corpi spaesati, perduti. Abbiamo chiuso le palestre quando, in termini di risposta anche sanitaria, rimanere in forma e avere una buona massa magra sarebbe stato una cosa positiva. La nostra logica si è incardinata solamente su chiusure e vaccini. E ciò che c'è in mezzo? I corpi che non si allenano più e sono permeabili all'attacco virale? Le persone non si tengono in forma, non c'è modo di fornire una risposta attiva. "Uscite e allenatevi": questa sarebbe stata una risposta attiva, anziché "rinchiudetevi e non fate niente". C'è una partita interessante da giocare ora, ed è davvero la partita della vita.
Fonte
- Festeggiano perché la loro regione diventa gialla contenti della nuova normalità.
RispondiElimina- Si redarguiscono a vicenda sbofonchiando: "c'é troppa gente in giro, tra poco ci rinchiuderanno".
- Continuano a girare all'aria aperta mascherati come ladri e fanno i delatori verso chi vive normalmente additandoli come i responsabili delle terapie intensive.
- Bendano i bambini anche in bicicletta, li mandano a scuola in condizioni disumane perché Burioni gli ha detto che sono piccoli untori.
- Attendono con ansia di essere inoculati come polli da batteria fingendosi esperti di marche di intrugli farmacologici.
- Non sanno spiegare perché l'Italia qualsiasi provvedimento prenda continui a conteggiare tot morti al giorno indifferentemente, ma danno comunque la colpa al runner, alle scuole, ai bar.
- Si "informano" ogni sera sui tg nazionali sull'andamento della "bandemia".
- Leggono "fanpage" che ha appena comunicato che é mancato un giovane di c***d nonostante sia morto di tutt'altro e scrivono dediche mielense del tipo "buon viaggio cucciolo, e pensare che c'é chi nega".
- Sono convinti che la legge Zan sia utile per tutelare le minoranze e credono sia necessaria in questo periodo storico.
- Se sentono un parere critico ridacchiano sussurrando "gombloddoh".
- Se qualcuno gli fa notare palesi incongruenze ti rispondono: "Perché dovrebbero farlo? A che pro? Allora sono tutti corrotti nel mondo?".
- Credono che le misure grottesche che eseguono come automi quotidianamente siano "scientifiche".
- Ignorano che in questo momento vi é un Premier dell'alta finanza e non é mai esistita alcuna opposizione, se non di facciata.
- Credono di essere liberi perché possono fare gli idioti su tik tok mentre sono rinchiusi e controllati da un anno e mezzo per una malattia che colpisce over 80.
- Lo scorso anno festeggiavano il 25 aprile dai balconi al grido "andrà tutto bene", "tra 10 giorni ci riabbracceremo più forti di prima!".
- Quest'anno festeggiano mascherati, depressi, poveri e controllati ma con la consapevolezza di avere sconfitto il fascismo più di 70 anni fa.
Oh bella ciao, ciao, ciao.