martedì 1 giugno 2021

Cardinale Ratzinger scomunica papa Ratzinger (e con lui tutta la Chiesa)

Questione spinosa e dibattuta, ma non abbastanza. Enrico Maria Radaelli prende spunto da un recente articolo di due pubblicisti cattolici statunitensi, Robert Siscoe e John Salza, dal titolo: Ratzinger: chi nega validità all’elezione papale è fuori della Chiesa [qui]. L'occasione è utile per condensare le sue riflessioni ruminate nel corso degli ultimi anni e delle inedite vicende scandite dai protagonisti. Qui l'indice degli articoli sui due papi: qui uno dei recenti articoli di Andrea Cionci, su Libero, che continuano a fare scalpore.

CARDINALE RATZINGER SCOMUNICA PAPA RATZINGER
(E CON LUI TUTTA LA CHIESA).

E LEI, PAPA RATZINGER,
COSA ASPETTA A SALVARE SÉ (E CON SÉ TUTTA LA CHIESA)?
Enrico Maria Radaelli*

Due sono le inflessibili eguaglianze che incontreremo in queste pagine. Prima eguaglianza: nella Chiesa vi sono delle verità che, per la loro origine quasi divina, appartengono a quelle che si dicono ‘sententia definitive tenenda’; a tali verità Pastori e fedeli debbono obbedire in modo ‘fermo e definitivo’, con obbedienza massima, detta de fide; seconda eguaglianza: chi rifiuta di dare tale obbedienza de fide a tali verità si pone per ciò stesso ‘fuori della Chiesa’, cioè si autoscomunica. Con queste pagine ci si chiede: perché il Cardinale Ratzinger nel 1998 ha riservato a un atto della Chiesa un certo trattamento e non ha riservato lo stesso trattamento all’atto opposto, così creando le premesse a terribili, angoscianti e peraltro inaggirabili autoscomuniche che, come vedremo, la Chiesa da se stessa a se stessa si è comminata?

Il 100521 è uscito su Stilum Curiæ, il sito diretto dal vaticanista Marco Tosatti, un articolo di due pubblicisti cattolici statunitensi, Robert Siscoe e John Salza, dal titolo significativo: Ratzinger: chi nega validità all’elezione papale è fuori della Chiesa (titolo originale: Cardinal Ratzinger: Beneplenists are outside the Church) [ripreso qui].
Con l’inusitato neologismo « Beneplenists », il titolo originale è più chiaro di quello italiano, perché la crasi tra ‘Benedetto’, il nome apostolico di Papa Ratzinger, e ‘plenisti’, ossia ‘coloro che riconoscono una pienezza di poteri a qualcuno’, individua esattamente tutti quei cattolici che ancor oggi sono convinti che la pienezza dei poteri di Papa (= ‘plenist’) va riconosciuta solo e unicamente a Benedetto XVI (= ‘Bene’), e chi lo fa è « fuori della Chiesa », ossia è iure ipso da se stesso medesimo scomunicato; e ad affermare tutto ciò – ecco il motivo di quel “Ratzinger” posto a inizio titolo – è ancora lui: Joseph Cardinale Ratzinger, qui chiamato in causa nella sua qualità di Prefetto della sacra Congregazione per la Dottrina della Fede (siamo nel 1998), sicché si dovrebbe concludere che se i cosiddetti “Ratzingeriani” devono ringraziare qualcuno della situazione attuale, per cui a capo della Chiesa si ha il Cardinale Bergoglio, questo qualcuno sarebbe ancora il loro tanto rimpianto Joseph Cardinale Ratzinger.
Ma non è così. Non è affatto così.

In queste pagine non ci occuperemo dell’articolo dei due studiosi, cui va dato il merito di aver saputo mettere ben in mostra un aspetto rilevante della dottrina ratzingeriana, ma ci concentreremo sulla tesi del Cardinale, giacché se essa fosse vera affosserebbe la tesi contraria, sostenuta da chi scrive in questo saggio, per cui Elezione e Rinuncia papali sono due atti la cui veridicità, che dovrebbe essere speculare, e dunque dello stesso esatto livello, se pur diametralmente opposto, risulta invece asimmetrica, cioè di due livelli veritativi diversi, tutti a sfavore della Rinuncia, perché la Rinuncia manca degli elementi giurisprudenziali indispensabili a essere conformata così da poter essere poi riconosciuta oggettivamente per quello che è, come lo è l’Elezione.

Infatti nel 1968 il Cardinale Prefetto, concordemente a Papa Giovanni Paolo II, aveva stilato un importante testo dottrinale a corredo della Professio fidei stilata da quel Pontefice, chiamandolo Nota illustrativa della formula conclusiva della Professio fidei, « allo scopo di spiegare – così nella Prefazione, cpv III – il significato e il valore dottrinale dei tre commi conclusivi, che si riferiscono alla qualificazione teologica delle dottrine e al tipo di assenso richiesto dai fedeli » (sottolineatura mia).
In tale Nota il Cardinale Ratzinger sostiene che tra le diverse « verità connesse con la Rivelazione che sono da tenersi in modo definitivo, ma che non potranno essere dichiarate come divinamente rivelate » (Cap. 6, cpv III), insegnate dal Magistero ordinario e universale della Chiesa in qualità di ‘sententia definitive tenenda’, ossia in qualità di verità da riconoscere e obbedire in modo « fermo e definitivo » (ibidem), ci sarebbe anche – ecco il motivo del nostro interesse proprio in questo nostro libro – « la legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice » (Cap. 11, cpv VII).
Il che, come vedremo ora pian piano, sarebbe un po’ come si dice nel titolo, che il Cardinale Ratzinger scomunica di fatto il futuro Papa Ratzinger che elabora una Rinuncia invalida e tutta la Chiesa che senza batter ciglio la approva e si comporta poi come se essa fosse valida, con tutte le gravi conseguenze che sappiamo. Ma vediamo bene la cosa punto per punto.
Infatti, la verità dell’asserzione non è affatto scontata, e anzi parrebbe doppiamente smentita: in primo luogo sarebbe smentita storicamente dai fatti del 1130 segnalati al § 4 del mio lavoro sulla Rinuncia al Papato di Benedetto XVI, Al cuore di Ratzinger. È lui il Papa, non l’altro (Edizioni Aurea Domus, data di pubblicazione prevista: settembre 2021), dal quale sono tratte queste pagine, fatti nei quali per ben otto drammatici anni metà Chiesa obbedì prima all’antipapa Anacleto II e alla sua morte al suo successore, l’antipapa Vittore IV: quelle sconvolgenti vicende fatte di lotte, schieramenti armati, ribellioni, peregrinazioni da una capitale all’altra di tutta la cristianità di allora e cattiverie di ogni genere, dimostrano che l’elezione di un Papa non è un atto di così scontata qualifica da potersi annoverare serenamente tra le grandi e forti verità che vanno sotto il nome di ‘sentenzia definitive tenenda’, almeno perché il primo che avrebbe potuto e anzi dovuto servirsi di tale eccelsa e solida prerogativa, se vera, e dunque se forte ed eterno bordone di fede come asserito dal Cardinale Ratzinger, era il misero Innocenzo II, il Papa, il quale invece, in tutti i suoi angosciosi e commoventi pellegrinaggi su e giù per le corti d’Italia e d’Europa per raccogliere intorno a sé i consensi necessari a riguadagnare il Trono tanto odiosamente usurpatogli, pur combattivo e convinto delle proprie ragioni com’era, non se ne servì punto, mai e in nessun caso.

Quella che il Cardinale Ratzinger e Papa Wojtyla portano a esempio di verità appartenente a « dottrine … infallibilmente insegnate dal magistero ordinario e universale della Chiesa », come si dice nella Nota illustrativa, Cap. 6, cpv III, vedrebbe la propria universalità interrotta da tutti quei Pastori – Cardinali e Vescovi in primo luogo – che nelle più diverse crisi della Chiesa hanno seguito tutti i vari antipapi, a partire da Anacleto II, e poi anche da tutti quegli altri Pastori – Cardinali e Vescovi in primo luogo – che, pur seguendo i legittimi Papi regolarmente eletti, non hanno mai usato neanch’essi un argomento tanto evidentemente a loro favore, e non l’hanno mai usato semplicemente perché l’argomento non c’era: non esisteva punto.
A tale ipotetica verità non si appellò infatti né il turpe Anacleto, com’è ovvio, che pur avrebbe avuto tutto l’interesse a dimostrare che l’elezione cui obbedire era la sua, ma neppure il perseguitato Innocenzo, che avrebbe avuto ancor più interesse a dimostrare che la propria elezione comportava, per la sua perfetta legittimità, la « ferma e definitiva » obbedienza de fide che sappiamo pretesa da tutte le dottrine direttamente connesse con la Rivelazione di Cristo.
Perché nessuno dei due contendenti vi si appellò? È qui che a mio modo di vedere cadrebbe l’universalità invocata dal Cardinale Ratzinger: perché non è universale una dottrina che interrompe la propria continuità di tenuta e di riconoscimento normativo proprio nel momento in cui più dovrebbe essere individuata, vissuta e utilizzata, ma non lo è affatto, semplicemente perché non può essere individuato, vissuto e utilizzato un argomento che non esiste. E chi più di un Papa avrebbe dovuto mostrare, se fosse esistito, il bene della sua utilizzazione proprio per avvalorare la propria realtà di Papa? 
Si vedrà ora quanto l’asserzione ratzingeriana sembrerebbe smentita, oltre che storicamente, anche teoreticamente.

La Nota infatti prosegue avvertendo che chiunque non conseguisse con la dovuta obbedienza de fide, cioè assoluta, a tali ‘verità connesse’, tra cui viene rimarcata, ripeto, quella che a noi sta a cuore, della « legittimità dell’elezione del Sommo Pontefice », ecco: per ciò stesso costui « non è più in comunione con la Chiesa cattolica » (Cap. 6, cpv III), ossia è iure ipso scomunicato dalla Chiesa cattolica (iure ipso: ‘per disposizione derivante immediatamente dalla legge, dunque senza atto o provvedimento applicativo). Abbiamo detto scomunicato.
Come si è visto, tale conclusione parrebbe del tutto affrettata e discutibile, perché si appoggia su un argomento che non ha basi storiche, e quindi è piuttosto essa, si direbbe, a decadere iure ipso
La dottrina del Cardinale Ratzinger – peraltro suffragata dalla firma del Papa allora regnante, Giovanni Paolo II – potrebbe trovare la necessaria solidità solo se ratificata da una papale locutio ex cathedra, cosa a mio avviso peraltro impossibile proprio per la sua inconsistenza storica.
Ma ammesso e non concesso che sia vero che l’elezione di un Papa dev’esser tenuta e obbedita come una delle tante ‘sententia definitive tenenda’, specularmente, con eguale massima e assoluta pretesa di alto esempio ancora di ‘sententia definitive tenenda’, andrebbe messo anche l’atto con cui si realizza un’eventuale Rinuncia al Papato, ossia un’eventuale Rinuncia a quel Munus Petrinum, o Munus Clavium, raccolto dall’augusto Soggetto con la sua elezione al Trono di Pietro.
Ma è proprio questa pur del tutto logica attesa che è impossibile, ed è impossibile proprio per le stesse leggi della Chiesa, ossia per il Codex Iuris Canonici che governa la Chiesa in ogni suo atto. Infatti il suo Canone 332, § 2, afferma esplicitamente, come segnalato al § 13 di quel mio lavoro: « Nel caso il Romano Pontefice rinunci al suo Ufficio, si richiede, per la sua validità, che la rinuncia sia fatta validamente e che venga debitamente manifestata; non si richiede invece che qualcuno l’accetti » (sottolineatura mia), e non si richiede che qualcuno l’accetti perché per stabilire la validità di una Rinuncia papale e dunque per darle la forza di ‘sententia definitive tenenda’, la Chiesa non attende alcun consenso legittimante, giacché a stabilirlo è necessario e sufficiente soltanto che:
primo, sia corretta la sua formulazione interna;
secondo, le sia data la debita pubblicazione.
Sempreché non sia inficiata da nessuna delle quattro cause perverse enumerate dal Canone 188 visto al § 12 del mio saggio (« La rinuncia compiuta per timore grave, ingiustamente incusso, per dolo o errore sostanziale, o per simonia, è nulla per il diritto stesso »). La presenza di anche una sola di tali cause perverse può concorrere a realizzare la Rinuncia nella forma errata che poi si riscontrerà formalmente attraverso la rigorosa griglia semantica posta dal Canone 332 § 2 che la invaliderà senza speranza. Importante distinzione: il Canone 332, § 2, precisa che « per dare validità … non si richiede che qualcuno l’accetti », ma, appuratane la validità, tutti debbono però accettarla, così come da tutti è accettata, specularmente, una papale Elezione, pena l’autoscomunica iure ipso.

Sicché può avvenire che se anche tutta la Chiesa, a cominciare dallo stesso Papa rinunciante, approva una Rinuncia la cui Declaratio non è validamente formulata o è causata da un movente perverso, quella Rinuncia è e resta invalida, è e resta nulla, cioè è e resta una realtà che non esiste, che non c’è affatto, ovvero è e resta una “nonrealtà”, come sono “nonrealtà” i vestiti dell’Imperatore fintamente ricamati da due gaglioffi nell’esemplare fiaba di Andersen, i quali vestiti, in verità, come sappiamo, sono per l’appunto del tutto inesistenti.
Ma: primo), chi, secondo), in base a cosa, terzo), quando, e, quarto), con quali modi la Chiesa permette che possa riconoscersi tutto ciò?
Si noti che per l’Elezione tutta questa problematica è ampiamente svolta da una normativa elaborata da Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, dove ognuna di queste quattro domande ha precise e ben circostanziate risposte giurisprudenziali elaborate, come si vede, da ben tre Papi, risposte che permettono conoscere come è governato il suo svolgimento in ogni suo aspetto, mentre per la Rinuncia la problematica non è minimamente affrontata, sicché essa si pone con questi quattro vibranti interrogativi che attendono da sempre una risposta, finora mai data, altro che ‘sententia definitive tenenda’:

Primo, chi, chi mai stabilisce che la Declaratio di Rinuncia Papale è valida e legittima secondo la normativa richiesta dal CIC? È forse lo stesso augusto Autore che l’ha elaborata? Si è visto che non vi sono sufficienti garanzie di una sua analisi obiettiva, oltre al fatto che poi possono essere presenti elementi sostanzialmente perversi esterni in cui potrebbe essere facilmente coivolto lo stesso Rinunciante, che possono intorbidare il suo atto, come segnala il Canone 188. 
E allora chi è mai? È un organismo terzo chiamato ufficialmente a vagliarla? In tutto l’ordinamento giurisprudenziale della Chiesa non c’è un comma che ne indichi la fattispecie, eppure la Nota illustrativa di cui sopra e il CIC dell’83 sono stati elaborati dagli stessi medesimi altissimi Pastori: Papa Giovanni Paolo II e il Prefetto Joseph Aloisius Cardinale Ratzinger. Dov’è dunque la disfasia?

Secondo, entro quanto tempo e con quali modalità l’autorità o l’organismo preposto a tale altissima indicazione deve dichiarare la funzionalità dell’atto? Anche a queste esigenze non corrisponde alcuna indicazione legislativa.

Terzo, nel caso la Declaratio non risponda alle normative richieste, che procedura è prevista per segnalare il non raggiungimento delle stesse, e, se ciò è causato da fattori patogeni esterni alla stessa (come previsto possibile per l’appunto dal solito Canone 188), come, a chi e in quali termini illustrare le difficoltà ivi nate?

Quarto e ultimo, e specialmente: che grado di verità è esercitato da quella che a buon diritto dev’essere riconosciuta come una ‘verità connessa alla Rivelazione’ – e precisamente a Mt 16,189 – elaborata da un Prelato elevato al massimo del Munus docendi, capace dunque di proferire anche infallibili e indefettibili ‘sententia definitive tenenda’?
È vero o non è vero che dunque detta Rinuncia dovrà presentarsi per necessità come una verità posta allo stesso grado di Magistero della verità che, con la sua Elezione, ha innalzato l’augusto Pastore con regolare Conclave e alla quale si dovrà dare dunque lo stesso grado di obbedienza per riconoscerne adeguatamente, all’opposto, anche la decadenza?
È vero o non è vero che è solo in tal modo che non si permetterebbe alcuna situazione che porterebbe la Chiesa alla rovina, cosa che invece sta attualmente avvenendo proprio perché la Declaratio papale di Rinuncia oggi è lasciata in una situazione di completa anarchia dallo stesso Legislatore che più di tutti dovrebbe avere a cuore la sua perfetta corrispondenza con l’atto elettivo che, come in un delicato palindromo, ne permette l’alta realizzazione?

È POSSIBILE UN’AUTOSCOMUNICA UNIVERSALE?
SÌ, È POSSIBILE: È PROPRIO CIÒ CHE STA SUCCEDENDO OGGI!

Non solo: come è evidente, ora come ora la Rinuncia papale è una Rinuncia che porta tutta la Chiesa, nella sua universalità, a partire dallo stesso Papa che la formula, ad approvare una realtà che, pur non esistendo, pur non essendo, metterebbe tutta la Chiesa nell’orrenda, assurda situazione di compiere poi atti la cui natura pretenderebbe una obbedienza de fide e non osservando la quale Pastori e fedeli verrebbero a trovarsi, tutti quanti sono nella loro universalità di Chiesa militante, iure ipso « non più in comunione con la Chiesa cattolica », ossia autoscomunicati essi stessi medesimi dalla Chiesa cattolica che ancora essi pur sono, secondo tutti i più legali e legittimi effetti.
Ma come può mai avvenire che tutta la Chiesa, Papa per primo, si trovi a essere scomunicata da se stessa medesima solo per non aver saputo riconoscere l’invalidità di una formula di Rinuncia scritta e manifestata da un suo Papa, e sottolineo l’assurdità persino metafisica della cosa?
In altre parole, la legittimità e la conseguente necessaria obbedienza de fide cui si riferisce la Nota del 1968 del Cardinale Ratzinger presuppongono la medesima legittimità legale di ciascuno degli atti che hanno preceduto e condotto all’elezione del Sommo Pontefice successore al Rinunciante, legittimità legale che nel nostro caso è costituita in primo luogo proprio dalla Rinuncia stessa, che è il primo atto di Magistero su cui verificare la legittimità, e che nel caso specifico, risultando essa intrinsecamente invalida, e, da qui, nulla, rende invalido e nullo ogni atto di Magistero successivo che non la consegua come dovuto, ossia riconoscendo per l’appunto la sua invalidità e dunque nullità.
Tanto più che è lo stesso § 2 del Canone 332 che, come visto, ricorda esplicitamente che a rendere valida o invalida una Rinuncia è intrinsecamente la sua formulazione ed estrinsecamente anche solo una delle quattro cause perverse che possono averla prodotta, elencate dal Canone 188, e invece non è assolutamente una sua approvazione da parte di chicchessia, fosse pure essa anche di tutta la Chiesa.
Al contrario, si rimarca qui ancora una volta che a essere fuori dalla Chiesa è chiunque non abbia considerato la realtà dei fatti e dunque l’invalidità e la nullità della Rinuncia del 2013: il Collegio Cardinalizio nella sua totalità e praticamente tutti i Vescovi della Chiesa, a parte oggi i soli Monss. René Henry Gracida e Jan Pawel Lenga, i due Vescovi che di recente hanno riconosciuto la nullità della Rinuncia come primo e imprescindibile atto d’illegalità da cui è poi nato l’illegale papato spurio dell’antipapa “Francesco”, alias Jorge Mario Cardinale Bergoglio.
Per otto lunghi anni tutta la Chiesa militante che ha accolto acriticamente tutti gli atti compiuti da Benedetto XVI dopo l’11 febbraio 2013 per compiere quella “Rinuncia a metà del Munus Petrino” che tanto gli stava a cuore, si è in qualche modo autoscomunicata, a partire dai suoi Cardinali così acriticamente e ciecamente elettori di un Papa che non andava punto eletto perché, come tutti loro avevano modo di sapere benissimo, e nessuno mi toglie dalla testa che di fatto non sapessero, ossia che di fatto neanche uno di essi non fosse giunto alle conclusioni che erano lì davanti agli occhi di tutti e cui sono giunti tanti in tutto il mondo, non c’era alcun Papa da eleggere, e la cosa, per quanto scandalosa, inverosimile, orrenda, non deve turbare più di tanto, perché non è altro che l’estremizzazione radicale del secondo assunto di Romano Amerio, non a caso proposto nelle prime pagine del mio libro: « La Chiesa non va perdutaspiega il grande filosofo cattolico – nel caso non pareggiasse la verità, ma nel caso perdesse la verità » (sottolineature dell’Autore), perché persino gli Apostoli, quando il Signore fu incatenato e portato all’orrendo processo-farsa, vergognosamente si dileguarono in un baleno tutti quanti, un vero obbrobrio.
Ora come allora è una fuga dalla realtà: un’orrenda fuga dalla realtà, con tanto di traditore, naturalmente, e alla grande anche! Perché, voi come li chiamate un antipapa e tutta la sua cortigianeria? E tutto il labirintico e anzi ultralabirintico escamotage ratzingeriano per restare Papa de iure senza esserlo de facto, o forse viceversa, è uguale, cos’è mai, se non un tradimento del Logos e delle Sue inflessibili leggi, solo però obbidendo le quali Gli si dimostra di amarLo?
Ora come allora, questa specie di anche universale e molto peccaminosa autoscomunica, provocata da una fondamentale mancanza di un preciso Magistero di Rinuncia e dalle leggi che ne debbono conseguire, sta producendo comunque i più sconvolgenti effetti che sono sotto gli occhi di tutti, a cominciare dalla scomparsa della stessa Chiesa dalla vita del mondo, annullata e volatilizzata nel nulla come mai prima d’ora: la Chiesa non ha mai vissuto una crisi grave e autoannientante come l’odierna.
D’altronde, senza Papa, come di fatto è, anzi, persino con a capo un antipapa, visto che il Papa vero nega di esserlo ancora malgrado sia evidente il contrario, come potrebbe non scomparire anch’essa?

Eppure questa crisi così devastante un giorno sarà ricordata solo come un misero fatto contingente a cui la Chiesa militante, per misericordiosa grazia di Dio, presto rimedierà, e si è visto che grazie a quei due Vescovi in qualche modo, come con una debole fiammella, anzi due, vi sta già rimediando, ma ci vuole ben altro: ci vuole una scossa, ci vuole qualcosa di grosso, ci vuole del sangue, come duemila anni fa: sì, proprio come duemila anni fa, col loro sangue, amaramente piangendo sul proprio ignominioso peccato, vi rimediarono i due pentitissimi e oggi santissimi Apostoli Pietro, Giovanni, e tutti gli altri, tranne l’Iscariota.
Sicché ora possiamo sperare che il movimento di correzione dell’obbedienza da dare all’atto di elezione di un Papa si muova a capovolgere il proprio mal consigliato giudizio e, pentita, anzi pentitissima, a cominciare dai suoi Cardinali, ma poi anche da tutti i suoi Vescovi e Pastori di ogni ordine e grado, essa Chiesa riconosca presto e con tutto il cuore la realtà vera e reale che le sta ben di fronte: la Rinuncia non c’è mai stata, il Papa da obbedire è ancora, sempre e solo Benedetto XVI/Joseph Ratzinger, il quale, a sua volta se ne pente, si corregge, cestina per sempre la famigerata Declaratio che l’aveva perduto e che aveva trascinato con sé, in una universale scomunica, tutta la Chiesa, e dunque non solo la Chiesa è salva, ma è salvo anche chi con tanta insana e troppo ostinata protervia l’aveva trascinata sull’orlo della propria miserabile ma anche provvidenzialmente davvero impossibile morte. Deo gratias!

Sì: ancora una volta, siano rese grazie a Dio, e di cuore anche! Ma sia chiaro: è la prima volta che si ringrazia Dio prima che Lui, per Sua fin troppo misericordiosa grazia, compia il gran miracolo, e quale miracolo!
Ma ne vale la pena: grazie, Signore, di tutto il bene che ci stai per elargire, a Tua gloria, affinché ancora una volta l’uomo riconosca la inarrivabile potenza della Tua bontà, l’ineffabile superiorità del Tuo Nome, l’infinita e insuperabile benevolenza del Tuo amore per noi.
* * *
* L’originale delle pagine che formano il presente articolo è costituito da una Annotazione di cinque pagine che concludono il capitolo Antefatto del libro di cui si danno gli estremi qui di seguito:
Al cuore di Ratzinger. È lui il Papa, non l’altro, edizioni Aurea Domus, Milano 2021, pp. LXV + 384 (= pp. 449), € 59,99 (Offerta di lancio = € 44,99; al momento richiedibile a: https://enricomariaradaelli.it/emr/aureadomus/aureadomus.html.

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