sabato 5 giugno 2021

Sul ridimensionamento del Summorum novità dal sito tedesco riprese da Peter Kwasniewski

Nella nostra traduzione da Rorate caeli due testi di rilievo ripresi da Peter Kwasniewski, rispettivamente del 31 maggio e del 4 giugno, apparsi sul sito tradizionalista tedesco www.summorum-pontificum.de. Da notare che alcune delle ipotesi della prima parte sono "corrette"; nella seconda, assume particolare rilievo la voce sul cardinale Braz de Aviz posto a capo delle comunità religiose tradizionali che, per ora, sembra essere fuori discussione. Rispetto al mio articolo [qui], troviamo alcune conferme e ulteriori dettagli. Dire mala tempora è un eufemismo... Auxilium christianorum, ora pro nobis! In Te ogni nostra speranza...

Cosa c'è in serbo per noi?

(Parte 1) - 31 maggio 2021

Non si hanno ancora notizie attendibili sulle “interpretazioni” del Summorum pontificum annunciate da Francesco, ma numerose sono le congetture, alcune da prendere molto sul serio.

La considerazione forse più interessante: visto che si parla di “interpretazione”, il testo stesso del motu proprio potrebbe rimanere intatto: le modifiche previste verrebbero realizzate attraverso una riscrittura del regolamento attuativo Universae Ecclesiae 2011 [emanato dopo ben 4 anni e già più restrittivo rispetto alla lettera apostolica qui - qui -ndT]. Interventi più profondi al momento non sarebbero quindi necessari; tuttavia bisognerebbe accettare alcune incongruenze tra il Motu Proprio, che come tale ha forza di legge, e i regolamenti attuativi. Questo è precisamente ciò che ci si deve aspettare alla luce del disprezzo sempre più dimostrato a Roma per il diritto formale e le sue norme.

Infatti la prassi attuale [mutuata dal Concilio] consiste nell'inquadrare i cambiamenti non più come prescrizioni generalmente vincolanti ma - col pretesto del decentramento e del rafforzamento dell'autorità episcopale - come "possibilità estese" o "opzioni", la cui attuazione sarebbe lasciata in tutto o in parte alla discrezione del vescovi locali. È certo che agli Ordinari del luogo sarà data piena autorità sul se e quando, e in quale forma, il clero diocesano potrà celebrare il rito tradizionale. Ma anche i sacerdoti delle comunità di rito antico potrebbero essere soggetti a disposizioni diocesane per la celebrazione nelle chiese della diocesi. In questo contesto si avrebbe la relativizzazione del precedente divieto delle “forme miste”, nel senso che, se necessario, si avrebbero le letture secondo il nuovo lezionario e calendario, così come ci si potrebbero attendere ministranti [non più servizio all'Altare ma nel senso della ministeria quaedam, vedi], ministri straordinari della comunione e la contaminazione con altri aspetti del Novus Ordo [la famosa nefasta ipotesi dell'ibridazione dei due riti per effetto della cosiddetta Riforma della Riforma che sembrava tramontata -ndT]. Anche l'amministrazione dei sacramenti – soprattutto battesimi, matrimoni e cresime – dovrebbe essere, secondo le voci, regolamentata ancora più severamente di prima. Già oggi gli Ordinari del luogo hanno notevoli possibilità di influenza sull'accesso ai riti liturgici in questo senso, fino a rendere (per esempio) impossibile la cresima secondo l'antica liturgia nel loro ambito di autorità.

Non solo in Germania, ma altrove, esistono attualmente numerose diocesi i cui vescovi generalmente non concedono ai membri delle comunità sacerdotali di antico rito il permesso di operare nella loro giurisdizione, il che richiama l'attenzione su un grave "vizio d'origine" nei documenti fondativi di questi gruppi. Secondo i termini del Summorum Pontificum, invece, viene fatto posto ai sacerdoti diocesani che ad esempio, come pensionati, sono meno dipendenti dalla benevolenza episcopale per celebrare la liturgia tradizionale per i fedeli interessati. Secondo le attese nuove normative, gli Ordinari del luogo potrebbero impedire completamente la celebrazione della Santa Messa e l'amministrazione dei sacramenti secondo il rito tradizionale nella loro giurisdizione e realizzare così l'ideale delle “zone franche Tridentine” perseguito dai brutali riformisti della liturgia.

L'espansione dei poteri episcopali o le corrispondenti restrizioni della capacità celebrativa dei sacerdoti rischiano di essere il focus della “reinterpretazione” del Summorum Pontificum. Tuttavia, sono ipotizzabili e prevedibili anche notevoli restrizioni per le comunità sacerdotali dedite alla forma tradizionale – secondo quanto le lobby vaticane pretendono da tempo. È molto probabile che esse, in quanto comunità, saranno completamente subordinate alla Congregazione per gli Ordini Religiosi. Ciò peraltro riguarderebbe, per citare solo i più grandi, la Fraternità di San Pietro, l'Istituto di Cristo Re Sommo Sacerdote, e l'Istituto del Buon Pastore, nonché i monasteri e gli ordini monastici della Tradizione. La Congregazione per la Dottrina della Fede, forse anche la Congregazione per il Culto Divino, sarebbero poi responsabili della regolamentazione delle questioni liturgiche; tutto il resto, in particolare la “sorveglianza legale e disciplinare”, sarebbe nelle mani dell'alveo che fa capo a Braz de Aviz. [Tale spostamento sarebbe potenzialmente più problematico per queste comunità, alla luce alle modalità con cui la Congregazione per il culto ha gestito gli ordini contemplativi nel recente passato, vale a dire, attraverso l'Istruzione Cor Orans del 2018, vedi nota 1 -ndT].

Questa forza avrebbe quindi non solo la possibilità di nominare commissari e, come aveva cercato di fare con i francescani dell'Immacolata (invano, però), di impossessarsi dei loro beni [vedi]. Senza dubbio controllerebbe anche i seminari, li modellerebbe o addirittura li dissolverebbe del tutto e indirizzerebbe i seminaristi ai collaudati seminari diocesani. Lì, già i dirigenti altamente qualificati degli studi e le suore soldato femministe del corpo docente già esistenti avrebbero provveduto a che i candidati fossero preparati per l'edificazione della Chiesa della nuova primavera, così promettente albeggiare.

Un'altra questione disciplinare già esistente per le comunità di vecchio rito, di cui si parla solo a porte chiuse (se non del tutto), potrebbe essere utilizzata in modo più sistematico [dai nemici della tradizione]. Per decenni tali comunità sono state rigorosamente private di una forma giuridica che potesse fornire loro “propri” vescovi. Per le ordinazioni sacerdotali, quindi, dipendono da vescovi esterni, vescovi diocesani o di curia, favorevolmente disposti verso il Summorum Pontificum. Negli ultimi anni, ai vescovi che hanno operato ordinazioni sacerdotali, Roma ha comunicato informalmente (e quindi senza possibilità di appello) che dovrebbero limitarsi a conferire gli ordini sacri alla prossima generazione di sacerdoti della propria diocesi. Attraverso una presumibile legalizzazione di questa prescrizione, le comunità fedeli a Roma potrebbero essere effettivamente limitate, o addirittura bloccate del tutto, nell'ordinazione delle vocazioni che vi affluiscono numerose. 

Con tali strumenti, gli agguerriti oppositori della liturgia tradizionale - che possiamo identificare senza giudizi temerari come nemici della Chiesa di Cristo - potrebbero praticamente liquidare, all'interno della Chiesa, le odiate reliquie ereditate dai secoli e lo spirito della tradizione bimillenaria. Le comunità e le congregazioni fedeli alla tradizione potrebbero operare solo dove i vescovi lo consentiranno, fino all'insediamento di un successore che abbia, per così dire, colto meglio «i segni dei tempi» [e che poi potrebbe completare la liquidazione]. Nelle diocesi “tolleranti e inclini alla diversità”, ci sarebbe poi forse una messa settimanale secondo “il Messale di Giovanni XXIII” in due luoghi senza accesso autostradale il martedì alle 7:45 e il venerdì alle 21:15. Mai la domenica, perché poi i sacerdoti diocesani sono [così vien detto] tutti necessari per incarichi pastorali o per la concelebrazione in cattedrale. Ai fedeli tradizionali  sarebbe efficacemente impedita una vera vita parrocchiale.  L'appello delle comunità, i cui seminari attualmente nel mondo registrano oltre 200 nuovi ingressi ogni anno, potrebbe, con pochi tratti di penna, ridursi al livello degli apporti dei seminari delle moderne conferenze episcopali....

Che i circoli romani con “reinterpretazione” del Summorum Pontificum intendano proprio questo è fuor di dubbio, ed altrettanto fuor di dubbio è il fatto che papa Francesco, per il quale la dottrina apostolica ha poco significato mentre ne hanno molto  i suoi sogni politico-ecclesiali, finirà per indulgere in questo nonostante o anche a causa del suo disinteresse per tutto quanto attiene la liturgia. Le congregazioni dei fedeli tradizionali e soprattutto le comunità sacerdotali della tradizione si preparano ad affrontare tempi duri e prove terribili. In tali circostanze, solo la fiducia nell'aiuto di Dio può darci speranza. E per conservare la retta fede e la salvezza della propria anima e della propria famiglia occorre una rinnovata disponibilità al sacrificio, di fronte a cui impallidiscono gli sforzi del passato.

Cosa c'è in serbo per noi? (Parte 2)

Secondo le informazioni e le indiscrezioni attuali sulle imminenti restrizioni all'uso della liturgia tradizionale, il Vaticano sta pianificando un approccio in due fasi. In un primo passo, previsto tra settimane e non mesi, vanno riscritte le regole per l'uso della liturgia da parte del clero diocesano e sotto la responsabilità dei vescovi locali. In una seconda fase, che non è prevista prima dell'autunno, le comunità sacerdotali di rito antico saranno sollecitate, energicamente e se necessario con misure coercitive, ad orientare il loro impegno pastorale, la loro vita comunitaria e la loro formazione sacerdotale agli « orientamenti del Concilio Vaticano II”.

Una tale divisione in due parti sembra logica e anche vantaggiosa dal punto di vista della politica ecclesiastica per le forze che vogliono respingere il rito tradizionale e l'insegnamento e la spiritualità tradizionali. I documenti del Summorum Pontificum — cioè lo stesso Motu Proprio, poi la lettera di accompagnamento ai vescovi [ Con Grande Fiducia qui], e infine i regolamenti attuativi emanati solo con un ritardo di quattro anni nel 2011 [ Universae Ecclesiae qui - qui] — trattano essenzialmente di regole per il clero o i fedeli nelle diocesi, e solo in pochi casi particolari (ad es. riguardo al conferimento degli ordini sacri) fanno riferimento a questioni di prassi nelle comunità secondo il rito antico, che forse non sono state ancora sufficientemente chiarite nei loro atti istitutivi.

Il vantaggio di una tale divisione in due parti dell'apparato curiale sarebbe soprattutto quello di scindere le attese opposizioni e resistenze rispetto alla situazione affettiva e di interesse e disperderle in un arco temporale più lungo.

Per quanto riguarda le previste regole per il clero diocesano, non ci sono novità sostanziali oltre a quelle che abbiamo già potuto comunicare in precedenza. Ai vescovi sarà data la supremazia virtualmente piena per i loro sacerdoti e per le Chiese e Congregazioni diocesane per quanto riguarda il luogo e l'ora, il numero e la definizione dei partecipanti, nonché le modalità di celebrazione della liturgia tradizionale. Apparentemente non sono previsti diritti indipendenti o addirittura esecutivi per il clero e i fedeli. È incerto se, a parte la Santa Messa, i sacramenti [come il battesimo, la cresima o il matrimonio] possano ancora essere amministrati nella forma tradizionale, e in ogni caso (si pensi ai registri parrocchiali) dipenderebbero dalla buona volontà del Ordinario locale.

Ci sono ancora solo poche informazioni su come saranno trattate le comunità sacerdotali, il cui carisma speciale è la coltivazione della liturgia tradizionale. A grandi linee si dipinge il seguente quadro: Si dice che i superiori delle comunità riceveranno una lettera contestualmente alla promulgazione del nuovo Regolamento diocesano, che contiene essenzialmente due punti. Il primo punto sarebbe la richiesta di cooperare pienamente con i vescovi nell'attuazione delle attese nuove linee guida e di non farsi coinvolgere in eventuali tentativi di eluderle o contrastarle.

In secondo luogo, la lettera conterrebbe l'annuncio o l'invito a un incontro dei superiori previsto per l'autunno a Roma, durante il quale verranno date loro nuove istruzioni per l'uso della liturgia tradizionale nel ministero pastorale. Al centro di ciò vi sarebbe un rigoroso impegno per le decisioni del Concilio Vaticano II, nella misura in cui chiunque a Roma è in grado di distillare un "insieme di decisioni" univoco dai testi spesso ambigui e contraddittori di questo Concilio, che, come so, [è uno sforzo che] non è riuscito in più di cinquant'anni di caos dopo la cerimonia conclusiva. I giocatori di Skat sanno come vanno a finire queste cose: il superiore vince il basso. Sarebbe anche ipotizzabile, come previsto, utilizzare sacerdoti “sottooccupati” delle comunità per la pastorale parrocchiale dopo l'entrata in vigore del nuovo regolamento, presumibilmente secondo le linee guida decise dai comitati liturgici locali. Infine, si parla anche che in questo incontro autunnale saranno annunciate le visite alle comunità, con l'obiettivo di verificarne la fedeltà al Concilio. Dopo i ripetuti colpi di lato del Papa contro forme presunte “rigide” di pietà e formazione nei seminari, i seminari rischiano di essere al centro dell'attenzione romana.

Alla faccia del pettegolezzo romano, sempre fertile. Nulla è ancora ufficiale, ma i singoli tratti descritti danno un quadro d'insieme del tutto plausibile. Una discussione su come le congregazioni e le comunità Tradizionali dovrebbero affrontare un nuovo regolamento di questo tipo avrà senso solo una volta che i documenti saranno disponibili. D'altra parte, una domanda può già essere posta: come i fautori di questo ripristino dell'indulto concesso a malincuore possano e vogliano conciliare il loro approccio con il fatto che le congregazioni tradizionaliste (in senso lato), soprattutto nei paesi industrializzati occidentali sviluppati, sono spesso le uniche isole di crescita nel deserto della confusione postconciliare.
Peter Kwasniewski, 4 giugno 2021
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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Nota di Chiesa e post-concilio
1. Cor orans è una sorta di manuale di applicazione di Vultum Dei quaerere [qui - vedi i prodromi qui], la costituzione apostolica sulla vita contemplativa femminile del 29 giugno 2016, che contiene disposizioni spesso vaghe o astratte, miranti a risolvere problemi per lo più non reali, ma sollevati per ragioni di sapore ideologico, derivate da ideali irrealistici ed eventualmente idonee a far da copertura a intenti surrettizi. Inoltre le citazioni inserite nel testo (Scrittura, Padri, Magistero) sono spesso forzatamente piegate a conferma del discorso, di tono tipicamente modernista: siccome la vita claustrale è una sfida per il nostro tempo, bisogna cambiarla. Si fatica a comprendere la logica di tale tacito assunto, a meno che non si voglia snaturare la vocazione che fin dalle origini costituisce il più efficace antidoto contro la corruzione e l’intiepidimento del popolo cristiano. Il sospetto è confermato dall’insistenza del decreto sulla necessità di formazione permanente, collaborazione tra monasteri, appartenenza a federazioni: è difficile non pensare ad una volontà di ingerenza nella vita monastica e a un metodo di indottrinamento, visti i bei risultati prodotti sui religiosi in genere dallo studio della cattiva teologia e dall’influenza degli organismi associativi…

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