sabato 19 giugno 2021

Icona: sguardo di Dio sull'uomo, sguardo dell'uomo su Dio

Icona, dal greco εἰκών - eicòn = immagine, è il termine tecnico usato per indicare le immagini sacre nell'arte bizantina, in special modo quella russa, designando specificamente la pittura su tavola, a differenza di quella su muro.
Meditazione sull'icona
della Trinità di Rublëv
La funzione essenziale dell'icona, in continuità con il significato e il valore dei "segni" del mistero cristiano, è quella di portare agli occhi quello che la parola porta all'orecchio.

L'immagine è come una presenza che si propone al nostro sguardo, sia attraverso gli occhi materiali che attraverso "gli occhi del cuore", come una finestra aperta sul mistero per poter entrare in comunione con Cristo, con la Madre di Dio, con i Santi: una presenza che si fa accessibile per invitarci a realizzare nella nostra vita ciò che vediamo, dopo averlo rivissuto interiormente.

L'icona nasce e si diffonde a partire dal IV secolo, quando la Chiesa orientale era ancora unita alla Chiesa occidentale: le icone sono dunque patrimonio di tutta la cristianità.

La pittura delle icone non rappresenta solo una stupenda forma d'arte, ma è anche un modo di vivere con maggior intensità la propria fede e un aiuto per avvicinarsi alla Santità, entrando in contatto col soggetto dipinto (Cristo, la Vergine, i Santi). Le figure sono ritratte secondo i canoni di un antinaturalismo che nella teologia delle icone doveva servire a sottolineare la dimensione spirituale dei misteri, degli eventi e dei personaggi sacri. L'arte nell'icona è secondaria, marginale: ciò che è importante è Dio, il Mistero di Dio, che tramite quest'arte viene espresso.

La nascita delle icone si inserisce in un contesto più vasto, che risale all'uomo preistorico e che fa dell'immagine un mezzo per stabilire un contatto con la divinità e per rendere reale la presenza di ciò che vi è raffigurato.

Per la Chiesa, come viene espresso nei suoi Concili, l'icona è un "Sacramentale partecipe della sostanza divina", il che equivale a dire che è il luogo in cui Dio è presente e si può incontrare. Nel Secondo Concilio di Nicea (787) viene definita la natura e il valore delle icone con l'affermazione che il fondamento di quest'arte sta nell'Incarnazione del Figlio di Dio, è quindi possibile rappresentare Dio, in quanto ha assunto la natura umana, assimilandola in modo inscindibile a quella divina, come sottolinea san Giovanni Damasceno. Nel Concilio di Efeso l'icona è definita "tempio", cioè un luogo in cui chi è raffigurato è anche misteriosamente presente.

Nell'icona il Dio-uomo si avvicina a noi, ricordandoci che anche noi siamo icona di Dio, che quindi il nostro destino è diventare come Lui.

L'icona è quindi un "segno sacramentale". Da principio, questa sacramentalità, molto accentuata in oriente, può essere derivata semplicemente dal contatto vivo con la liturgia celebrata, con la fede confessata e la preghiera ecclesiale e inoltre dalla sacralità del luogo in cui è celebrata l'Eucaristia. L'icona è perciò entrata a far parte dell'universo simbolico della liturgia, con il carattere evocativo di una presenza; anche se la tradizione ha sviluppato una collocazione delle icone nella casa, nell'angolo bello o angolo della preghiera, e per le strade, come ricordo e presenza del mistero celebrato che si estende alla vita e alla storia.

Tant'è che nell'arte e nella cultura bizantina il vocabolo icona - che già in questa forma ha le sue prime attestazioni nel latino tardo e medievale, e poi in italiano a partire dal Quattrocento - designa un'immagine sacra portatile, a mosaico, dipinta su legno o su tela ed eseguita a tempera, a encausto o, in seguito, anche con smalto, argento e oro. Essa è un prezioso strumento della speciale arte sacra che aiuta l'approfondimento spirituale: i suoi colori simbolici ed i suoi canoni pittorici, le stesse sue modalità di composizione ad opera di un monaco, preceduta dalla contemplazione del mistero che si vuole raffigurare, dall'ascesi e dalla preghiera, la rendono "luogo" teologico, liturgico, sacramentale, che fa entrare misteriosamente in una Presenza di fede e di amore.

Importanti centri di tradizione iconografica furono la Palestina, la Siria, l'Egitto, Bisanzio e, naturalmente, la Russia, dove la produzione delle icone divenne elemento caratteristico dell'arte e della fede fino al XVIII secolo. Le icone furono in gran numero esportate in Occidente, specie a Roma, ove divennero oggetto di culto e venerazione. L'idea - forza che sottostà alla maggior parte delle raffigurazioni iconografiche - è il mistero dell'Incarnazione, e su di esso si basa e si afferma la venerazione delle icone.

"Ciò che il Vangelo dice con la parola" - si afferma in un Concilio d'Oriente - "l'icona, immagine densa di una Presenza, lo annuncia coi colori e lo rende presente".

Solo tramite questi mezzi: la preghiera, innanzitutto, poi la meditazione, l'ascesi, l'esercizio quotidiano di virtù quali l'obbedienza, il digiuno, l'umiltà ecc., è possibile entrare in sintonia col mondo dell'ultraterreno di cui l'icona è allo stesso tempo frutto e tramite. Infatti, se l'icona è frutto della preghiera, è innegabile che essa stessa dona frutti di preghiera a chi attraverso l'attenzione amorosa e l'apertura di cuore, si sintonizza con la Realtà di cui è veicolo.

Ricordiamo che una delle funzioni dell'icona è stata, tra l'altro, quella di catechizzare il popolo sui misteri della vita di fede tramite le immagini. Un "medium", questo delle immagini, più efficace della parola scritta che nella società medioevale sarebbe stata fruibile da pochi.

Allora le immagini, insieme alla musica sacra e alle liturgie (le azioni di popolo, celebrazioni, processioni, ecc.) divennero il modo più efficace per portare al popolo i complessi contenuti della teologia cristiana medioevale. Funzione peculiare dell'icona è quella di portare davanti agli occhi quel che la parola porta all'orecchio, perché si fissi nelle profondità del cuore.

Il suo linguaggio simbolico è perfettamente accessibile a chiunque sia aperto e disponibile ad accoglierlo.
" L'iconografia cristiana trascrive attraverso l'immagine il messaggio evangelico che la Sacra Scrittura trasmette attraverso la Parola. Immagine e Parola si illuminano a vicenda. Tutti i segni della celebrazione liturgica sono riferiti a Cristo. lo sono anche le sacre immagini della Santa Madre di Dio e dei Santi, poiché significano Cristo che in loro è glorificato. La bellezza e il colore delle immagini sono uno stimolo per la mia preghiera. È una festa per i miei occhi, così come lo spettacolo della campagna sprona il mio cuore a rendere gloria a Dio (San Giovanni Damasceno). La contemplazione delle sante icone, unita alla meditazione della Parola di Dio e al canto degli inni liturgici, entra nell'armonia dei segni della celebrazione in modo che il mistero celebrato si imprima nella memoria del cuore e si esprima poi nella novità di vita dei fedeli " (Catechismo della Chiesa Cattolica nn. 1160 1162,1992).
" L'autentica arte cristiana è quella che, mediante la percezione sensibile, consente di intuire che il Signore è presente nella sua Chiesa, che gli avvenimenti della storia della salvezza danno senso e orientamento alla nostra vita, e che la gloria la quale ci è promessa, trasforma già la nostra esistenza " ( Giovanni Paolo II, Duodecimum Saeculum, n 11 ).
Così l'uomo, creato a immagine (icona, appunto) e somiglianza di Dio (Gn 1, 26) aspira incessantemente a contemplare l'immagine divina che porta in sé; per questo l'icona fatta dalle sue mani, ma nata nel suo cuore e nel suo spirito, non è un'opera arbitraria, ma proviene dal più profondo della sua memoria: " L'amante che arde dal desiderio della bellezza, ricevendo continuamente ciò che gli appare come un'immagine di ciò che desidera, aspira a saziarsi della figura dello stesso archetipo " (San Gregorio di Nissa, De vita Moysis).

Nella stessa opera San Gregorio di Nissa si domanda : " Come mai l'uomo, a cui tante teofanie hanno reso Dio chiaramente visibile, domanda a Dio di manifestarsi a lui, come se colui che gli si mostra continuamente non gli forse ancora apparso? ". Lo stesso Mosè, dopo aver parlato con il Signore "faccia a faccia" [Es 33,11] supplica incessantemente Dio dal profondo del suo essere: "Mostrami la tua gloria!" [Es 33, 18].

La risposta arriva ammirabile e sulla misura stessa del desiderio: " Mi sembra che sentire questo sia proprio di un'anima stimolata da una disposizione amorosa verso la bellezza essenziale, che la speranza trascina continuamente dalla bellezza che ha visto a quella che è al di là e che infiamma continuamente il suo desiderio verso quello che ancora resta nascosto per riscoprirlo incessantemente "

Poiché noi crediamo che Dio stesso si è dato un volto in Gesù, possiamo comprendere che non è possibile dissociare il divieto di rappresentare immagini nell'Antico Testamento (1) e la rappresentazione iconica di Dio nel Nuovo Testamento. Il tema dell'immagine di Dio, del suo Volto, non trova la sua luce e la sua chiave che nella venuta del Cristo. Dio ha un Volto che può mostrare nella sua benevolenza "Fa splendere il tuo volto e noi saremo salvi!" (Sl 79, 4). Questo avviene nello Spirito, che fa conoscere, riconoscere e vivere il Cristo, perché ogni essere delinea un abbozzo del volto di Cristo ed è in esso che trova la sua verità. La natura stessa della rivelazione in Gesù Cristo giustifica pienamente la nascita dell'icona, poiché la seconda persona della Trinità, incarnandosi, porta al mondo non solo la sua parola, ma anche la sua immagine.

L'icona accomuna nel suo linguaggio e nei suoi canoni, dettati dalla Chiesa, tutta l'ecumene cristiana, pur raggiungendo espressioni profondamente originali in ogni area geografica e nazionale. Oggi riproporre l'icona significa tornare alle radici della profonda unità che riconosce in Cristo il Signore del cosmo e della storia, la «chiave di volta dell'universo» e riprendere a respirare con i due polmoni della Chiesa orientale e occidentale.
________________________________ 
(1) "Non avrai altri dei di fronte a me, non ti farai idolo né immagine alcuna di ciò che è lassù nel cielo né di ciò che è quaggiù sulla terra, né di ciò che è nelle acque sotto la terra" (Es 20,5); "A chi mi paragonate e mi rassomigliate? A chi mi raffrontate quasi fossimo simili?" (Is, 46,5)

Nessun commento:

Posta un commento