mercoledì 20 luglio 2022

“Distruggere la pace liturgica per sostenere una falsa narrativa”

Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement, un articolo, ripreso dall'originale tedesco [qui], sulle recenti bordate alla Liturgia tradizionale. Qui l'indice dei precedenti.
“Distruggere la pace liturgica per sostenere una falsa narrativa”:
un contributo di Monika Rheinschmitt

In questo mese di luglio ricorrono due date significative: i quindici anni dal Summorum Pontificum e il primo anniversario della Traditionis Custodes.
“La cosa più bella da questa parte del Cielo”: così viene spesso definita la Santa Messa nel rito romano classico, poiché Dio, l’Altissimo, è al centro di tutte le preghiere, le cerimonie, la musica e l’architettura ecclesiastica. I fedeli tradizionali colgono più frequentemente possibile l’occasione di partecipare a queste celebrazioni della Messa e anche di ricevere i sacramenti in tale forma.

La liturgia come azione di Dio
La celebrazione della Santa Messa (e l’amministrazione degli altri sacramenti) non è un’azione del “popolo” che dipende dal tempo e dal luogo, ma un’azione di Dio che si svolge per mezzo di persone prescelte, appositamente incaricate, consacrate. La forma della liturgia non è arbitraria ma è stata raffinata e perfezionata con una pratica di secoli in cooperazione con lo Spirito Santo. I fedeli possono partecipare alla liturgia, accrescendone la bellezza e la solennità grazie al loro contributo (architettonico, musicale, con decorazioni floreali) ma non spetta a loro modificare il carattere essenziale della celebrazione.

La pacificazione liturgica
Dopo il Concilio Vaticano II, la disputa interna alla Chiesa sul contenuto delle fede e della liturgia si è accentuata ed è stata accompagnata da sempre nuovi tentativi di abolire la liturgia tradizionale, cresciuta e maturata nella Chiesa per oltre un millennio, e di imporre in sua vece il messale di Paolo VI, risultato della riforma liturgica di fine anni Sessanta, come unica forma della lex orandi. Papa Benedetto XVI, col motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio 2007, è riuscito ad affermare una pace liturgica intraecclesiale affermando che il rito antico “straordinario” non era mai stato abolito e doveva essere aperto a tutti i sacerdoti e fedeli insieme al nuovo rito “ordinario”. La pubblicazione del motu proprio Traditionis Custodes il 16 luglio 2021 ha dunque rappresentato un grande shock per tutti i cattolici tradizionali. Essi hanno reagito con un senso di incomprensione e fastidio. Tale reazione è ulteriormente cresciuta dopo i Responsa ad Dubia poco prima del Natale 2021.

Perché la relativa pace liturgica giunta dopo il motu proprio Summorum Pontificum è stata distrutta senza motivo? Nessuno è costretto a celebrare la Messa tradizionale in latino: si tratta di “uno che offre fra molti”. Se la celebrazione della Messa in rito romano classico attrae tanti fedeli, tra cui ragazzi e famiglie giovani, grazie all’orientamento verso Dio di queste cerimonie, alla solennità che si addice all’Altissimo e alla coerenza tra fede e vita che vi si scorge, di certo non è colpa del rito tradizionale in latino. Al contrario, sacerdoti e vescovi, fino al Papa, dovrebbero essere ben disposti verso chiunque oggi continui a trovare Dio e a praticare la fede.

Il Novus Ordo soddisfa i requisiti richiesti dal Concilio Vaticano II?
Come si può affermare che il Novus Ordo “risponde alla volontà dei Padri conciliari” quando da un semplice raffronto tra le celebrazioni della Messa nel Novus Ordo stesso e il testo della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium emerge che non è affatto così? Alcuni esempi:
“L’uso della lingua latina va mantenuto nei riti latini”. “Si deve provvedere affinché i fedeli di Cristo possano anche enunciare o cantare in latino le parti dell’Ordinario della Messa che loro competono”.
 “La Chiesa considera il canto gregoriano come il più adatto alla liturgia romana; esso deve perciò avere un posto preminente nelle azioni liturgiche”. “Nessuna innovazione va introdotta a meno che non sia richiesto da un beneficio per la Chiesa reale e sicuramente auspicabile”.
Dove sono gli studi dettagliati che provano, o almeno dimostrano in modo convincente, per ciascuna modifica apportata nel Novus Ordo rispetto al rito tradizionale in latino, che ciò è richiesto da un beneficio reale e sicuramente auspicabile per la Chiesa? Si potrebbero menzionare tanti altri aspetti, ad esempio l’opinione sempre più diffusa (perfino fra i teologi) che sia stato il Concilio a ruotare gli altari e a prescrivere la celebrazione versus populum (mentre perfino nel Novus Ordo la direzione della celebrazione ad orientem è la norma rubricale!), o a introdurre la comunione sulla mano (cosa che perfino adesso, nel Novus Ordo, è un indulto, una speciale concessione), tutti elementi, questi, che non furono assolutamente stabiliti dai Padri del Concilio Vaticano II.

Il Novus Ordo corrisponde alle intenzioni dei Padri conciliari?
Come si coniuga l’affermazione che il Novus Ordo è l’adempimento delle “intenzioni” del Concilio con le opinioni contrarie di molti testimoni dell’epoca e di partecipanti al Concilio stesso? Ecco alcuni esempi:
Il cardinal Joseph Frings: “Noi Padri conciliari non stabilimmo questo, è contro le decisioni del Concilio. Non riesco a capire come il Santo Padre possa acconsentire a una cosa del genere”.
Il vescovo Domenico Celada: 
“La distruzione graduale della liturgia è un fatto triste universalmente noto. In meno di cinque anni la millenaria struttura del culto divino è stata smantellata… Al suo posto è stata introdotta una forma del rito infantile, chiassosa, rozza e assai noiosa. E l’alienazione e la riluttanza dei fedeli sono state ipocritamente ignorate”. “Mi rammarico di aver votato per la Costituzione conciliare nel cui nome – ma in che modo! – è stata attuata questa pseudoriforma. Se fosse possibile, ritirerei il mio voto”. 
Il cardinal Alfonso Maria Stickler [qui]: 
“Immaginerete quindi il mio stupore quando mi resi conto che l’edizione finale del nuovo Messale romano per molti aspetti non corrispondeva ai testi conciliari che conoscevo così bene, e conteneva diversi elementi che ampliavano, mutavano o addirittura contrastavano espressamente con le disposizioni conciliari”. “Non vi è mai stata, dunque, in nessuna parte dei riti cristiano-cattolici, una rottura, una creazione totalmente nuova, nemmeno nel rito romano latino, se non con la riforma della liturgia post-conciliare, malgrado il Concilio… continuasse a invocare per tale riforma una rigorosa aderenza alla tradizione… Nessuna novità andrebbe introdotta, come espressamente afferma il Concilio a proposito della riforma auspicata dai Padri, che non sia richiesta da un reale e comprovato beneficio per la Chiesa”.
L’arcivescovo Robert J. Dwyer: 
“Chi avrebbe immaginato, il giorno in cui fu promulgata la Sacrosanctum Concilium, che nel giro di pochi anni, assai meno di un decennio, la tradizione latina della Chiesa sarebbe stata completamente dimenticata, ridotta a un ricordo sempre più sbiadito? Al solo pensiero saremmo inorriditi, ma allora sembrava così impossibile da apparire ridicolo. Per quello scoppiammo a ridere”. 
Joseph Gelineau: “Bisogna dichiararlo inequivocabilmente: il rito romano come lo conoscevamo non esiste più. È stato distrutto”. L’allora professor Joseph Ratzinger: “Il profondo scontento di alcuni Padri per la cosiddetta riforma liturgica ha trovato espressione in veementi affermazioni. Il vescovo di Umtali, in Rhodesia, Donal Lamont dichiarò laconicamente il 24 ottobre: “Siamo stati avvelenati dal rinnovamento” (della liturgia, ovviamente). Il Segretario di Stato cardinale Cicognani esclamò con sdegno: “Sat experimenta, sat innovationes!” (Basta esperimenti, basta innovazioni!)

Nel 1967 fu celebrata nella Cappella Sistina una cosiddetta Missa normativa per mostrare lo stato della riforma liturgica ai vescovi che partecipavano al Sinodo episcopale (29 settembre-29 ottobre 1967) e per richiedere la loro opinione. Annibale Bugnini, l’artefice della riforma liturgica, così giudicò l’evento: “Va subito detto che l’esperimento fallì. Anzi, in un certo senso sortì l’effetto opposto e influenzò negativamente il voto”.
Il professor Georg May: 
“Ci fu un’opposizione molto forte al nuovo Ordine della Messa da parte dei vescovi che partecipavano all’assemblea generale del Sinodo episcopale. Ma quell’opposizione fu sorprendentemente trascurata e non ebbe effetto… Con atteggiamento intransigente, intollerante e sprezzante gli autori e i promotori della cosiddetta riforma liturgica persistettero nelle loro idee erronee”.
Dov’è l’”unità” nel Novus Ordo?
Perché nel Novus Ordo ogni sorta di allontanamento, indebolimento e in genere deviazione dal rito della Messa è accettata eppure si parla di “unità”, anche se di rado si assiste a due celebrazioni uguali?
Come si può, in nome dell’unità, ripudiare il latino come lingua liturgica usata in tutto il mondo e invece attuare ovunque pastorali distinte e diversificate per gruppo linguistico? (In quasi tutte le grandi città esistono parrocchie italiane, polacche, croate, inglesi, portoghesi, eccetera, con le loro Messe e i loro appuntamenti). Specie in una società multiculturale come quella odierna, un linguaggio comune di preghiera – come nella maggior parte delle religioni – è importante per l’unità.

Il Novus Ordo è l’unica espressione della lex orandi del rito romano?
La questione se il rito romano classico sia stato abolito è stata ripetutamente dibattuta. Il cardinal Stickler ha dichiarato in un’intervista: “Nel 1986 Papa Giovanni Paolo II pose a una commissione di nove cardinali due domande. La prima: ‘Papa Paolo VI o altra autorità competente ha proibito la celebrazione diffusa della Messa tridentina in epoca moderna?’ La risposta fornita da otto su nove cardinali fu: ‘No, la Messa di San Pio V non è mai stata proibita’. Posso dirlo perché ero uno di quei cardinali.
L’altra questione molto interessante fu questa: ‘Può un vescovo proibire a un sacerdote dalla sana reputazione di continuare a celebrare la Messa tridentina?’ I nove cardinali furono concordi nel replicare che nessun vescovo può proibire a un sacerdote cattolico di celebrare la Messa tridentina. Non esiste un divieto ufficiale, e credo che il Papa non lo emetterà mai… proprio in forza delle parole di Pio V, che dichiarò che quella Messa non sarebbe mai stata abolita”. I nove membri della commissione erano i cardinali Ratzinger, Mayer, Oddi, Stickler, Casaroli, Gantin, Innocenti, Palazzini e Tomko.
Nel 2007 Papa Benedetto XVI scrisse: “Ciò che fu sacro per le precedenti generazioni rimane sacro e grande anche per noi; non può essere d’un tratto proibito ovunque o addirittura diventare dannoso”. La Costituzione sulla liturgia afferma: “In materie che non concernono la fede o il bene comune, la Chiesa non vuole rendere obbligatoria una rigida uniformità”.
Secondo molte autorevoli dichiarazioni, nessuna modifica è stata apportata ai contenuti della fede dal Vaticano II, in quanto concilio puramente pastorale. Dunque, la lex orandi del rito romano tradizionale, che prima del Concilio equivaleva alla lex credendi della Chiesa, deve continuare a corrispondervi anche dopo.

Gli sviluppi successivi al Traditionis Custodes
Un anno dopo la pubblicazione del Traditionis Custodes, nei paesi di lingua tedesca [Pro Missa Tridentina concentra la sua opera su tali nazioni] la situazione è migliore che in altri; ad esempio, in Francia e negli Stati Uniti vi sono diocesi in cui la celebrazione della Messa nel vecchio rito è stata rigorosamente ridotta, in certi casi al 20 per cento di quanto avveniva in precedenza. Anche nell’America centrale e meridionale (Cile, Costa Rica, Perù) sono stati apportati clamorosi tagli. Il numero delle sedi in cui si celebra la Messa tradizionale in latino nei paesi di lingua tedesca è diminuito di circa il 10 per cento negli ultimi dodici mesi, ma il numero delle celebrazioni in rito tradizionale latino è calato solo del 3,5 per cento.
Questo si spiega con il fatto che le Messe officiate principalmente da preti diocesani sono state abolite. Nella gran parte dei casi ciò non è conseguenza di proibizioni dirette in base al Traditionis Custodes e ai documenti successivi, bensì delle normali variazioni (unificazione di parrocchie, trasferimento dei celebranti, invecchiamento e malattie dei sacerdoti) per cui non tutte le sedi sono state mantenute.

Prospettive
“Unità” non significa uniformità. Tale consapevolezza è stata in genere ben presente alla Chiesa per lungo tempo e va riconquistata e concretizzata, ad esempio attraverso una regolamentazione come quella del motu proprio Summorum Pontificum. L’unità nella fede comprende ciò che è stato “creduto ovunque, sempre, e da tutti”. Questa fede può diventare più profonda, come una fotografia che, quando i colori vengono intensificati, la luminosità e i contorni migliorati, produce un effetto migliore, pur essendo impossibile modificare o addirittura sostituire il soggetto e sostenere che la foto rappresenti la medesima immagine di prima. Lo stesso avviene per la fede e la liturgia.
La preghiera e la liturgia rivolte a Dio, non agli uomini e ai loro gusti mutevoli, hanno un effetto missionario, aiutando così chi ne è in cerca a trovare la Fede, o a ritrovarla, e ad approfondirla per mezzo della catechesi e della lettura. Dobbiamo dunque impegnarci strenuamente per mantenere in vita in più luoghi possibile il rito tradizionale in latino – in una forma straordinariamente bella, solenne, gradita al Signore – in modo che un sempre maggior numero di quanti sono aperti ad accoglierlo possano avere accesso alla ricchezza dell’amore di Dio.
Ad majorem Dei gloriam 
Monika Rheinschmitt
Presidente di Pro Missa Tridentina
15 luglio 2022

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