giovedì 13 gennaio 2022

Gli Europei autoctoni rischiano di essere non più cittadini ma 'umani' senza volto e senza storia, in una diaspora assurda e forse già non più governabile

Di seguito, non disponendo dell'originale, pubblico nella mia traduzione da una fonte anglofona scoperta in rete, il testo che segue: un Secondo saggio tratto dal libro Giorgio Agamben, I mezzi senza fine: Note sulla politica, edito da Bollati Boringhieri, 1996
Lo pubblico senza indugio per quanto ci consente di decifrare. Se è questo il senso ormai nemmeno più recondito della realtà  distopica in cui siamo immersi, lo trovo terrificante. In fondo non è altro che l'immagine icastica degli Stati-nazione d'Europa trasformati in un enorme campo profughi, dove non più cittadini ma 'umani' senza volto e senza storia sono in una diaspora assurda e forse già non più governabile. Ne stiamo prendendo atto troppo tardi (almeno io), e se non altro qualche polverone sollevato per tempo e recepito per l'azione nelle sedi adeguate avrebbe potuto forse cambiare le carte in tavola. Mancanza di cultura o connivenza delle opposizioni che anche oggi blaterano con proclami inani, neppure più specchietti per le allodole?  Dalla lettura di quanto riporto di seguito, se non ho le traveggole, mi si è svelato il senso di quanto sta accadendo da troppo tempo e che ben spiega il perché ciò che per noi è inaccettabile sia rimasto inascoltato dalla politica degli ultimi decenni di egemonia sinistrorsa. La mia conclusione trasecolata (per il fatto di conoscere solo ora questi filoni di pensiero che da tempo stanno forgiando la realtà e che avrebbero dovuto esser ben noti ai nostri politici di opposizione, per mettere in campo interventi adeguati piuttosto che proclami utili solo ad una propaganda illusoria) è che, in soldoni, stanno facendo di noi quello che erano gli ebrei della diaspora: un popolo, a differenza loro nemmeno più popolo, in esilio. 
Di fatto non è altro che quanto successo agli ebrei quando con la diaspora si sono trovati fuori da quella che era la loro situazione-strutturale: l'Alleanza. per loro etnica (basata sul trinomio Dio-Popolo-Terra), non teologale, come invece per noi cristiani è l'appartenenza a Cristo. Anche noi cristiani, ci consideriamo in esilio in quanto nel mondo ma non del mondo; ma questo sul piano spirituale mentre, in virtù dell'incarnazione, siamo anche cittadini (non profughi) e abbiamo il senso dell'appartenenza a radici culturali e identitarie concrete che tra l'altro abbiamo contribuito a forgiare nei secoli. 
Potrà esserci di grande aiuto Paolo Pasqualucci sul sano concetto di Stato da ripristinare, se non siamo già troppo oltre... Ci sono troppi indizi sui quali chiudono la bocca a chi li denuncia, affibbiando etichette di ogni genere per delegittimare il dissenso che ora ha una chiave di lettura meno generica e basata sui loro paradigmi. Il problema è che finora continuavamo a contestare con le nostre categorie e paradigmi, che negli attuali centri del potere sono saltati da tempo! 
Così come nella Chiesa la pastorale fluida non più definitoria ci relega fuori dall'ermeneutica storicista, in politica restiamo inascoltati perché i nostri principi sono basati su un'ordine costituito e non prevedono l'arbitrio - mi si consenta l'ossimoro - delle nuove norme anomiche anticostituzionali del mondialismo tecnocratico in fieri. E quando non esiste dialogo e confronto non resta che porre in essere un realtà altra. Il come e con chi non è nelle mie possibilità e lo affido a Colui che è il vero Signore della storia.
Precedenti articoli e relativi commenti dello stesso Autore, dei quali e sul quale farò a breve una sintesi, sono disseminati in due indici: qui - qui. (Maria Guarini)

Mezzi senza fine. Note sulla politica
Giorgio Agamben, Bollati Boringhieri, 1996
L'eclissi della politica è cominciata da quando essa ha omesso di confrontarsi con le trasformazioni che ne hanno svuotato categorie e concetti. Accade così che paradigmi genuinamente politici vadano ora cercati in esperienze e fenomeni che di solito non sono considerati politici: la vita naturale degli uomini restituita al centro della polis; il campo di concentramento; il rifugiato; il linguaggio come luogo politico per eccellenza, oggetto di una contesa e di una manipolazione senza precedenti; la sfera dei mezzi puri o dei gesti, ossia dei mezzi che, pur restando tali, si emancipano dalla loro relazione a un fine. Il libro cerca di ripensare le categorie della politica in una nuova realtà. (vedi anche qui)

Secondo saggio tratto dal libro Giorgio Agamben, I mezzi senza fine: Note sulla politica
edito da Bollati Boringhieri, 1996

1. Nel 1943 Hannah Arendt, in una piccola rivista ebraica in lingua inglese, “The Menorah Journal”, ha pubblicato un articolo intitolato We Refugees. Al termine di questo breve, ma significativo scritto, dopo aver abbozzato polemicamente il ritratto del signor Cohn, l'ebreo assimilato che, dopo essere stato 150% tedesco, 150% viennese, 150% francese, deve amaramente rendersi conto alla fine che il passato non può mai tornare1, ri-concettualizza la condizione di rifugiato e di senzatetto che stava vivendo, per proporla come paradigma di una nuova coscienza storica. Il rifugiato che ha perso ogni diritto e cessa di volersi assimilare a tutti i costi a una nuova identità nazionale, di contemplare con chiarezza la sua condizione, riceve, in cambio di una certa impopolarità, un vantaggio inestimabile: «La storia non è più, per lui, un libro chiuso e la politica cessa di essere privilegio dei Gentili.
Vale la pena riesaminare il senso di questa analisi, che oggi, esattamente cinquant'anni dopo, non ha perso nulla della sua attualità.
Non solo il problema si presenta, in Europa e altrove, con altrettanta urgenza, ma, nell'ormai inarrestabile declino dello Stato-nazione e nella generale corrosione delle tradizionali categorie giuridico-politiche, il rifugiato è, forse, l'unica figura del popolo nel nostro tempo e, almeno fino al completamento del processo di dissoluzione dello Stato-nazione e della sua sovranità, l'unica categoria in cui oggi ci sia permesso intravedere le forme e i limiti di una comunità politica a venire. Al contrario, è possibile che, se vogliamo essere all'altezza dei compiti assolutamente nuovi che ci attendono, dovremo decidere di abbandonare senza riserve i concetti fondamentali in cui abbiamo finora rappresentato i soggetti della politica (l'uomo e il cittadino con i suoi diritti, ma anche il popolo sovrano, il lavoratore, ecc.) e ricostruire la nostra filosofia politica partendo da questa singola figura.

2. La prima apparizione dei profughi come fenomeno di massa avviene alla fine della prima guerra mondiale, quando la caduta degli imperi russo, austro-ungarico e ottomano e il nuovo ordine creato dai trattati di pace sconvolgono profondamente l'assetto demografico e territoriale struttura dell'Europa centro-orientale. In breve tempo si trasferirono dai loro paesi 1500.000 bielorussi, 700.000 armeni, 500.000 bulgari, 1.000.000 greci, centinaia di migliaia di tedeschi, ungheresi e rumeni. A queste masse in movimento si aggiunge la situazione esplosiva determinata dal fatto che circa il 30% delle popolazioni dei nuovi organi statali creati dai trattati di pace sul modello dello stato-nazione (ad esempio, in Jugoslavia e Cecoslovacchia) costituivano minoranze che dovevano essere tutelate attraverso una serie di trattati internazionali (i cosiddetti Trattati di Minoranza), che spesso restavano lettera morta. Pochi anni dopo, le leggi razziali in Germania e la guerra civile in Spagna disperdevano in tutta Europa un nuovo e importante contingente di profughi.
Siamo abituati a distinguere tra apolidi e rifugiati, ma né allora né oggi la distinzione è così semplice come potrebbe sembrare a prima vista. Fin dall'inizio molti profughi, che non erano tecnicamente apolidi, preferirono diventarlo piuttosto che tornare in patria (è il caso degli ebrei polacchi e rumeni che alla fine della guerra si trovavano in Francia o in Germania e, oggi, dei perseguitati politicamente e di coloro per i quali il ritorno in patria significa impossibilità di sopravvivenza). D'altra parte, i rifugiati bielorussi, armeni e ungheresi furono prontamente denazionalizzati dai nuovi governi sovietico, turco, ecc. È importante notare che, a partire dalla prima guerra mondiale, molti stati europei iniziarono a introdurre leggi che consentissero la denaturalizzazione e la denazionalizzazione dei propri cittadini: prima la Francia, nel 1915, per quanto riguarda i cittadini naturalizzati di origine “nemica”, nel 1922 l'esempio è stato seguito dal Belgio, che ha revocato la naturalizzazione ai cittadini che avevano commesso atti “antinazionali” durante la guerra; nel 1926 il regime fascista promulgò una legge simile nei confronti dei cittadini che si erano mostrati “indegni della cittadinanza italiana”; nel 1933 fu la volta dell'Austria, e così via, finché nel 1935 le leggi di Norimberga divisero i cittadini tedeschi in cittadini a pieno titolo e cittadini senza diritti politici. Queste leggi - e la conseguente apolidia di massa - segnarono una svolta decisiva nella vita del moderno Stato-nazione e la sua definitiva emancipazione dalle nozioni ingenue di popolo e cittadino. Non è questa la sede per ripercorrere la storia dei vari comitati internazionali attraverso i quali gli Stati, la Società delle Nazioni hanno cercato di affrontare il problema dei profughi, dal Bureau Nansen per i rifugiati russi e armeni (1921), all'Alto Commissario per i Rifugiati dalla Germania (1936), il Comitato Intergovernativo per i Rifugiati (1938), l'Organizzazione Internazionale per i Rifugiati dell'ONU (1946), fino all'attuale Alto Commissario per i Rifugiati (1951), la cui attività, secondo il suo statuto, non è politico, ma solo “umanitario e sociale”. L'essenziale è che, ogni volta che i rifugiati non sono più casi individuali, ma fenomeno di massa (come accaduto tra le due guerre e ancora oggi), sia queste organizzazioni che i singoli Stati, nonostante le solenni evocazioni dei diritti inalienabili dell'uomo, si sono dimostrati assolutamente incapaci non solo di risolvere il problema, ma semplicemente di affrontarlo adeguatamente. L'intera questione è stata così trasferita nelle mani della polizia e delle organizzazioni umanitarie. [pensiamo al fenomeno delle masse che affluiscono indiscriminatamente sulle nostre coste. Ora appare chiaro su cosa si fonda la sordità invincibile del sistema sinistrorso alle giuste rivendicazioni della Meloni alla gestione di un fenomeno così devastante accampando la distinzione tra rifugiato e immigrato clandestino -ndT]

3. Le ragioni di questa impotenza risiedono non solo nell'egoismo e nella cecità degli apparati burocratici, ma nell'ambiguità delle stesse nozioni fondamentali che regolano l'inclusione del nativo (cioè della vita) nell'ordinamento giuridico dello stato-nazione. H. Arendt ha intitolato il quinto capitolo del suo libro sull'imperialismo, dedicato al problema dei rifugiati, Il declino dello Stato-nazione e la fine dei diritti umani. È necessario cercare di prendere sul serio questa formulazione, poiché lega indissolubilmente il destino dei diritti umani e quello del moderno Stato-nazione, per cui il declino di quest'ultimo implica necessariamente la sua obsolescenza. Il paradosso qui è che proprio la figura – il rifugiato – che avrebbe dovuto incarnare i diritti umani per eccellenza segna invece la crisi radicale di questo concetto. “La concezione dei diritti umani, ” scrive H. Arendt, “basata sulla presunta esistenza di un essere umano in quanto tale, cadde in rovina non appena coloro che la professarono si trovarono di fronte per la prima volta a uomini che avevano veramente perso ogni altra specifica qualità e relazione – tranne il puro fatto di essere umano. Nel sistema dello Stato-nazione, i cosiddetti diritti sacri e inalienabili dell'uomo si rivelano privi di qualsiasi tutela proprio nel momento in cui non è più possibile configurarli come diritti dei cittadini di uno Stato. Ciò è implicito, se riflettiamo, nell'ambiguità del titolo stesso della Dichiarazione del 1789: Déclaration des droits de l'homme et du citoyen, dove non è chiaro se i due termini denominino due realtà distinte o formino, invece, un endiade, in cui il primo termine è, in verità, sempre contenuto nel secondo. 
Che per qualcosa come un semplice essere umano in quanto tale non ci sia spazio autonomo nell'ordinamento politico dello Stato-nazione è evidente almeno dal fatto che lo status di rifugiato è sempre stato considerato, anche nel migliore dei casi, come una condizione temporanea, che deve portare o alla naturalizzazione o al rimpatrio. Uno status stabile di "semplicemente umano in quanto tale" è inconcepibile nella legge dello stato-nazione.

4. È tempo di smettere di guardare alle Dichiarazioni dei diritti dal 1789 ad oggi come proclami di eterni valori metagiuridici, tendenti a vincolare il legislatore al loro rispetto, e di considerarli secondo la loro reale funzione nello Stato moderno. I diritti dell'uomo rappresentano, infatti, anzitutto la figura originaria dell'iscrizione della nuda vita biologica nell'ordinamento giuridico-politico dello Stato-nazione. Quella nuda vita (la creatura umana) che, nell'Ancien Regime, apparteneva a Dio e, nel mondo classico, era nettamente distinta (come zoé) dalla vita politica (bios), ora viene in primo piano nella cura dello Stato e diventa, per così dire, il suo fondamento terreno. Stato-nazione significa: uno stato che fa della natività, della nascita (cioè della nuda vita umana) il fondamento della sua sovranità. Le Dichiarazioni dei diritti devono quindi essere viste come il luogo in cui avviene il passaggio dalla sovranità regale di derivazione divina alla sovranità nazionale. Assicurano l'inserimento della vita nel nuovo ordine statale che seguirà al crollo dell'Ancien Regime. Il fatto che, attraverso di essi, il soggetto si trasformi in cittadino significa che la nascita — cioè la nuda vita biologica — diviene qui per la prima volta (con una trasformazione di cui solo ora possiamo cominciare a misurare le conseguenze biopolitiche) la portatrice immediata della sovranità. Il principio di natività e il principio di sovranità, separati nell'Ancien Regime, sono ormai irrevocabilmente uniti a formare le fondamenta del nuovo Stato-nazione. La finzione qui implicita è che la nascita diventa immediatamente nazione, in modo che non ci possa essere spazio tra i due momenti. I diritti sono, cioè, attribuiti all'uomo, solo nella misura in cui egli è il presupposto immediatamente snaturante (e che, anzi, non deve mai venire alla luce in quanto tale) del cittadino. 

5. Se il rifugiato è un tale elemento di disturbo nell'ordine dello Stato-nazione, è innanzitutto perché, abbattendo l'identità tra uomo e cittadino, tra natività e nazionalità, mina la rappresentazione originaria della sovranità. Eccezioni individuali a questo principio erano naturalmente sempre esistite: la novità del nostro tempo, che minaccia lo Stato-nazione nelle sue stesse fondamenta, è che porzioni crescenti dell'umanità non sono più rappresentabili al suo interno. Per questo, in quanto scardina l'antica trinità Stato-nazione-territorio, il rifugiato, questa figura apparentemente marginale, merita invece di essere considerato la figura centrale della nostra storia politica. Non dimentichiamo che i primi campi sono stati costruiti in Europa come spazio di controllo per i profughi, e che la successione dei campi di internamento — campi di concentramento — i campi di sterminio rappresentano una filiazione perfettamente reale. Una delle poche regole a cui i nazisti si attenevano costantemente durante la "soluzione finale" era che solo dopo essere stati completamente denazionalizzati (compresa la cittadinanza di seconda classe a cui avevano diritto dopo le leggi di Norimberga) ebrei e zingari potevano essere mandati nei campi di sterminio. Quando i diritti dell'uomo non sono più i diritti del cittadino, allora l'uomo è veramente sacro, nel senso che questo termine ha nel diritto romano arcaico: votato a morte. Una delle poche regole a cui i nazisti si attenevano costantemente durante la "soluzione finale" era che solo dopo essere stati completamente denazionalizzati (compresa la cittadinanza di seconda classe a cui avevano diritto dopo le leggi di Norimberga) ebrei e zingari potevano essere mandati nei campi di sterminio. Quando i diritti dell'uomo non sono più diritti del cittadino, allora l'uomo è veramente sacro, nel senso che questo termine ha nel diritto romano arcaico: votato alla morte.

6. La nozione di rifugiato deve essere nettamente separata da quella di diritti umani e il diritto di asilo (ormai drasticamente ridotto nella legislazione degli Stati europei) non deve più essere considerato come la categoria concettuale in cui il fenomeno viene a essere iscritto (uno sguardo alle recenti Tesi sul diritto d'asilo di A. Heller mostra che ciò può portare oggi solo a una confusione inappropriata). Il profugo va considerato per quello che è, cioè nientemeno che un concetto-limite che mina radicalmente i principi dello Stato-nazione e, al tempo stesso, permette di sgombrare il campo per un rinnovamento categorico che non può essere rinviato.
Nel frattempo, infatti, il fenomeno della cosiddetta immigrazione clandestina nei paesi della Comunità Europea ha assunto (e assumerà sempre più nei prossimi anni, con i previsti 20 milioni di immigrati dai paesi del Centro Europa) tali caratteristiche e proporzioni tali da giustificare pienamente questo capovolgimento di prospettiva. Ciò che gli Stati industrializzati devono affrontare ora è una massa permanentemente residente di non cittadini, che non possono e non saranno naturalizzati o rimpatriati. Questi non cittadini hanno spesso una nazionalità di origine, ma poiché preferiscono non avvalersi della protezione del proprio Stato, si trovano, come rifugiati, nella condizione di “apolidi di fatto”. T. Hammar ha proposto di utilizzare il termine abitanti per questi residenti non-cittadini, che ha il merito di mostrare come il concetto di cittadino sia ormai inadeguato a descrivere la realtà politica e sociale degli Stati moderni. D'altra parte, i cittadini degli stati industriali avanzati (sia negli Stati Uniti che in Europa) manifestano, attraverso una crescente diserzione delle istanze codificate di partecipazione politica, un'evidente propensione a diventare abitanti stabili non-cittadini residenti, in modo tale che cittadini e abitanti entrino, almeno in alcuni strati sociali, in una zona di potenziale indistinzione. Allo stesso tempo, secondo il noto principio che l'assimilazione sostanziale in presenza di differenze formali esacerba l'odio e l'intolleranza, crescono le reazioni xenofobe e le mobilitazioni difensive. I cittadini degli stati industriali avanzati (sia negli Stati Uniti che in Europa) manifestano, attraverso una crescente diserzione delle istanze codificate di partecipazione politica, un'evidente propensione a diventare abitanti, stabili non cittadini residenti, in modo tale che i cittadini e gli abitanti stanno entrando, almeno in certi strati sociali, in una zona di potenziale indistinzione. Allo stesso tempo, secondo il noto principio che l'assimilazione sostanziale in presenza di differenze formali esacerba l'odio e l'intolleranza, crescono le reazioni xenofobe e le mobilitazioni difensive. i cittadini degli stati industriali avanzati (sia negli Stati Uniti che in Europa) manifestano, attraverso una crescente diserzione delle istanze codificate di partecipazione politica, un'evidente propensione a diventare abitanti, stabili non-cittadini residenti, in modo tale che i cittadini e gli abitanti stanno entrando, almeno in certi strati sociali, in una zona di potenziale indistinzione. Allo stesso tempo, secondo il noto principio che l'assimilazione sostanziale in presenza di differenze formali esacerba l'odio e l'intolleranza, crescono le reazioni xenofobe e le mobilitazioni difensive. 

7. Prima della riapertura dei campi di sterminio in Europa (cosa che sta già cominciando ad accadere), è necessario che gli stati-nazione trovino il coraggio di mettere in discussione il principio stesso dell'iscrizione della natività e della trinità stato-nazione-territorio che si basa su di esso. Non è facile indicare a questo punto le modalità in cui ciò può concretamente avvenire. Basta qui suggerire una possibile direzione. È noto che una delle opzioni considerate per la soluzione del problema di Gerusalemme è che essa diventi, contemporaneamente e senza divisione territoriale, capitale di due diversi organi statali. La condizione paradossale di mutua extraterritorialità (o, meglio, aterritorialità) che ciò comporterebbe potrebbe essere generalizzata come modello di nuove relazioni internazionali.
In un senso simile, potremmo guardare all'Europa non come un'impossibile “Europa delle nazioni”, la cui catastrofe è già prefigurata a breve termine, ma come uno spazio aterritoriale o extraterritoriale, in cui tutti i residenti degli Stati europei (cittadini e non-cittadini) si troverebbero in una posizione di esodo o di rifugio e lo status di europeo significherebbe l'essere-in-esilio (ovviamente anche stabile) del cittadino. Lo spazio europeo segnerebbe così un divario irriducibile tra nascita e nazione, in cui il vecchio concetto di popolo (che, come è noto, è sempre minoritario) potrebbe trovare un senso politico, decisamente opposto a quello di nazione (che finora l'ha usurpato indebitamente). Questo spazio non coinciderebbe con alcun territorio nazionale omogeneo né con la loro somma topografica, ma agirebbe su di essi, perforandoli e articolandoli topologicamente come in una bottiglia di Leida o in una striscia di Moebius, dove esterno e interno sono indeterminati. In questo nuovo spazio le città europee, entrando in un rapporto di reciproca extraterritorialità, ritroverebbero la loro antica vocazione di città del mondo.
In una sorta di terra di nessuno tra Libano e Israele, ci sono ora quattrocentoventicinque palestinesi espulsi dallo Stato di Israele. Questi uomini costituiscono certamente, secondo il suggerimento di H. Arendt, “l'avanguardia del loro popolo”. Ma non necessariamente o non solo nel senso che formerebbero il nucleo originario di un futuro stato-nazione, che probabilmente risolverebbe il problema palestinese in modo inadeguato come Israele ha risolto la questione ebraica. Piuttosto, la terra di nessuno in cui si trovano i profughi ha finora retroagito sul territorio dello Stato d'Israele, incidendo e alterandolo in modo tale che l'immagine di quel cumulo di neve gli sia diventata più interna di qualsiasi altra regione di Heretz Israel. Solo in una terra in cui gli spazi degli Stati saranno stati così trafitti e topologicamente deformati, in questo modo, e nel modo in cui il cittadino sarà stato in grado di riconoscere il rifugiato che egli stesso è, è concepibile oggi la sopravvivenza politica degli uomini. - Fonte
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Nota di Chiesa e post-concilio
L'Autore usa qui ò frase echeggiante Balzac: on ne parvient pas deux fois che ricorda tanto il mantra ricorrente fin dall'inizio dell'ultima crisi Nulla sarà più come prima

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