giovedì 27 gennaio 2022

Il carattere alternativo, estremo e combattivo, in difesa della Fede cattolica, delle Spagne versus la visione individualistico-assolutista e mercantile dell’“Europa”

Ci segnalano un libro di grande rilievo del noto filosofo tomista spagnolo, che raccoglie saggi dedicati agli snodi più importanti del passaggio dalla teoria alla prassi dell'immanentismo moderno (La Cristianità medioevale e la crisi delle sue istituzioni; Conseguenze del Protestantesimo; Che cos'è il giacobinismo; Il mito del marxismo).
FRANCISCO ELÍAS DE TEJADA, Le radici della modernità, traduzione e note a cura di Gianandrea de Antonellis, saggio introduttivo di Giovanni Turco, Edizioni Solfanelli, Chieti 2021, pp. 180, euro 12. 
Sono onorato per l’incarico di recensire questo magnifico volume del grande pensatore spagnolo Francisco Elías de Tejada, la più nota espressione filosofica di quel movimento culturale, politico e militare, di stampo schiettamente “tradizionalista e controrivoluzionario”, che è stato il Carlismo, nato nelle terre basche, Navarra e Catalogna, poco prima del 1833 e divenuto espressione contemporanea di tutte le Spagne e della loro missione storica.
Il volume ha una magistrale introduzione di Giovanni Turco: Le radici della modernità nel pensiero di Francisco Elìas de Tejada. È edito nell’ambito della “Collana studi carlisti”, da Solfanelli (Chieti, 2021).
Non è facile sintetizzare quest’opera perché termini, per noi consueti, forse abusati, come “Europa” e “Occidente”, sono sostanzialmente banditi dal lessico “castigliano” tradizionale, in quanto alternativi e contrapposti a quello di “Cristianità”.
Vi è, però, un punto fermo, per tutti, l’instaurazione del Sacro Romano Impero, da parte di quello straordinario personaggio che fu il re Carlo Magno, che sintetizzò in sé il retaggio germanico (franco), quello romano e quello cristiano, declinato senza aggettivi, perché allora dire cristiano voleva dire cattolico, giacché non esisteva ancora quell’autentica tragedia religiosa che sarebbe stata la Riforma, o, meglio, Rivoluzione protestante, dopo la quale si sarebbe dovuto precisare.

Fu un momento ideale quella notte di Natale dell’800 dopo Cristo, quando nacque il Sacro Romano Impero, che riunì gran parte dell’Europa fino alla parte settentrionale della Spagna e, soprattutto, alla Catalogna, senza riuscire a sottomettere mai altri territori ispanici e in particolare le terre basche e navarresi che inflissero ai Franchi la terribile sconfitta di Roncisvalle (Orreaga in basco).

Alla morte di Carlo Magno, l’impero fu diviso, col trattato di Verdun, tra i tre figli maschi di Carlo, e la parte occidentale dell’Impero, che conservò la lingua latina, cominciò un distacco progressivo dalla parte rimasta germanica dell’Impero, divenendo Regno di Francia. All’interno di quell’impero, vi era l’Italia centro settentrionale fino all’odierno Lazio.

Le Spagne rimasero come appartate, impegnate nella secolare crociata che in terra iberica si chiamò Reconquista, contro l’Islam, e dal Re di Navarra, Sancho III il Grande, si originò quello che sarebbe divenuto, progressivamente, il Regno di Spagna, perché i futuri Regni di Castiglia e di Aragona non erano altro che contee della Navarra, che furono assegnate, alla morte del grande Re, nel 1035, rispettivamente al figlio Ferdinando, la Castiglia, appunto, insieme a parte del Leòn e all’altro figlio Ramiro il bastardo, la contea di Aragona. Le due contee divennero Regni che si unificarono alla viglia del completamento della Reconquista.

Dalle pagine di Elías de Tejada emerge il carattere alternativo, estremo e combattivo, in difesa della Fede cattolica, delle Spagne e, viceversa, la visione individualistico-assolutista e mercantile dell’“Europa”, terreno d’incubazione di due fenomeni che Elías de Tejada respinge senza mezzi termini: il Protestantesimo ed il Liberalismo. Il primo perché fondato sulla Scriptura e sull’aggettivo sola, cioè Sola Scriptura, Sola Gratia, Sola Fides e così via, il secondo perché propugna una visione astratta ed “ucronica” dell’uomo. Attraverso una progressiva serie di rotture, all’interno dell’impero, con il progressivo allontanamento del ramo “occidentale” e, ormai, francese dell’Impero, ridotto alla sola dimensione germanica, con la rottura tra Impero e Papato, nella lotta per le investiture e con la caduta di quest’ultimo nell’orbita francese, la “Cristianità”, ormai allontanatasi dal modello carolingio, è aperta a tutti gli sconvolgimenti dei secoli successivi e all’errore capitale del “nuovo mondo” moderno: la scomparsa della visione teocentrica, sostituita da quella antropocentrica che si esprime nell’Umanesimo e nel Romanismo.

Ma, proprio all’inizio del 1500, si afferma una figura straordinaria che va affiancata a Carlo Magno, Carlo V, che, per una serie di legami familiari, è imperatore del Sacro Romano Impero Germanico, arciduca d’Austria, re di Spagna e principe dei Paesi Bassi, come Duca di Borgogna, cioè in sostanza dell’ex porzione occidentale dell’impero. Unifica in sé anche le vaste colonie castigliane e una colonia tedesca nelle Americhe. Diviene “Defensor Ecclesiae” per decisione di Papa Leone X, anche contro la minaccia islamica. Non riuscendo, però, nel suo ideale universalistico, anche a causa della politica filoprotestante di Enrico II di Francia.

Ma il processo di disgregazione riprese.

Poi, si afferma il Giacobinismo, con la sua altissima e spesso dimenticata concentrazione di vescovi e sacerdoti. Corrente, quella giacobina, che, ricorda Elías de Tejada, è l’inevitabile conseguenza delle tesi di Jean Jacques Rousseau. E, per finire, si profila la teoria-prassi di Karl Marx, che parte dal “pensiero dietro il fatto”, fonda una “religione atea”, e che, infatti, aggiunge al protestantesimo paterno il retaggio materno ebraico veterotestamentario, ma a rovescio, ovvero non solo senza ma contro Dio, con il sogno utopico di un “paradiso in terra”, come meta finale di un percorso al termine del quale il nuovo “popolo eletto”, il proletariato, inaugurerà l’eliminazione di ogni alienazione e di ogni sfruttamento.

Come si vede, la “modernità” non è un fatto statico, ma un processo in cui ogni tappa è legata alla precedente, la conferma e la supera, dialetticamente, portando avanti il processo, questo sì, di alienazione dell’uomo da Dio e dal creato.
Giuliano Mignini

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