mercoledì 19 ottobre 2022

È legittimo definire ‘Novus Ordo [Missae]’ un’invenzione di Paolo VI?

Un nuovo articolo del prof. Peter Kwasniewski nella nostra traduzione da New Liturgical Movement. Qui l'indice degli articoli sulla questione liturgica in seguito a Traditionis custodes, Responsa ad Dubia e Desiderio desideravi.

È legittimo definire ‘Novus Ordo [Missae]’
un’invenzione di Paolo VI ?


Chi si imbatte in discussioni liturgiche può a un certo punto trovarsi di fronte alla seguente obiezione: “Non si dovrebbe parlare di ‘Novus Ordo’ o della ‘Messa Novus Ordo’. Non si chiama così. È un’etichetta tradizionalista: una strategia per attaccare il messale riformato di Papa San Paolo VI”, etc.

Questa questione merita di essere osservata più da vicino.

L’espressione “Novus Ordo [Missae]”, pur non essendo il modo usuale in cui il Vaticano, a partire dal 1969, ha preferito definire l’Ordine della Messa creato dal Consilium e promulgato da Paolo VI il 3 aprile 1969, si trova in un paio di documenti ufficiali e sembra aver acquisito un valore percepito come dispregiativo solo più tardi.

La prima cosa da affermare chiaramente è che nel corso degli anni Sessanta Paolo VI associava costantemente l’aggettivo “nuovo” alle sue riforme liturgiche. Ad esempio, nell’udienza generale del 7 marzo 1965, egli parlò di un “nuovo ordine [del culto]”, di un “nuovo schema di cose”, di “nuovi libri liturgici”, di “nuova forma”, di “nuova liturgia”, di “nuova abitudine” e di “innovazione liturgica” — tutto questo riferendosi a cambiamenti molto meno drastici di quelli che avrebbe promulgato quattro anni dopo. A fortiori, l’applicazione dell’aggettivo novus al messale del 1969 è del tutto giustificata sulla base delle abitudini linguistiche del suo stesso promulgatore.

Non dimentichiamo che molte cose che oggi si presume siano entrate con il Novus Ordo nel 1969 erano già in circolazione prima di esso, poiché la liturgia tradizionale è stata progressivamente smantellata negli anni '50 e '60: il sacerdote rivolto verso il popolo, cosa che è accaduta per la prima volta con il deplorevole servizio della Domenica delle Palme di Pio XII; la recita del Padre Nostro insieme al sacerdote nella liturgia, cosa mai fatta nella tradizione romana prima del nuovo Venerdì Santo di Pio XII; le preghiere della Messa in volgare, che apparivano qua e là sperimentalmente; l’eliminazione delle preghiere ai piedi dell’altare e dell’ultimo Vangelo, un taglio avvenuto nel 1965; l’introduzione di nuovi lezionari ad experimentum; l’ammissione di molteplici Preghiere eucaristiche; lo scarto di alcuni paramenti liturgici; e così via.

Giungendo al nostro tema: nell’udienza generale del 19 novembre 1969, Paolo VI tentò di spiegare perché doveva essere imposto un nuovo messale: questa volta, con molta più esattezza, fece riferimento a “un nuovo rito della Messa” (quattro volte), a “un nuovo spirito”, a “nuove direzioni”, a “nuove regole”, all’“innovazione”. Nell’udienza generale della settimana successiva, menzionò “l’innovazione liturgica del nuovo rito della Messa” e, sette volte, il “nuovo rito”; utilizzò parole come “nuovo”, “novità”, “rinnovamento”, “innovazione”, “novità” un totale di 18 volte. Commento in dettaglio queste due udienze generali nel capitolo 4 del mio nuovo libro The Once and Future Roman Rite: Returning to the Latin Liturgical Tradition after Seventy Years of Exile. [Il rito romano di un tempo e futuro: il ritorno alla tradizione liturgica in latino dopo settant’anni di esilio] [1]

È interessante notare che il Cardinal Alfredo Ottaviani, uno dei massimi prelati vaticani (nonostante l’enorme odio che nutriva per lui la fazione antiromana del Concilio) e per lungo tempo prefetto del Sant’Uffizio, usò l'espressione “Novus Ordo Missae” 18 volte nel famoso “Intervento Ottaviani” — più propriamente intitolato Breve studio critico del nuovo Ordine della Messa — del 25 settembre 1969, che egli firmò insieme al Cardinal Antonio Bacci e presentò a Paolo VI [vedi]. [2] Egli utilizzò questa espressione come se fosse abbastanza ovvia, familiare e ineccepibile, e — per quanto ne so io — nessuno all’epoca ne contestò l’adeguatezza, mentre molti altri elementi che si trovano all’interno dello studio critico sono stati oggetto di acceso dibattito.

Quel che so è che la prima volta che l’espressione “Novus Ordo Missae” compare in un documento del magistero pontificio è in un discorso pronunciato da Paolo VI (il testo è disponibile qui) in un concistoro per la nomina di venti cardinali, il 24 maggio 1976. In tale discorso egli usa l’espressione Novus Ordo [Missae]: “usus novi Ordinis Missae” e “novus Ordo promulgatus est” (“l’uso del Nuovo Ordine della Messa”; “il Nuovo Ordine è stato promulgato”). [3] Nell’aprile del 2010 l’Ufficio per le Celebrazioni Liturgiche del Sommo Pontefice ha pubblicato sul sito del Vaticano un breve documento intitolato “Il sacerdote nei riti conclusivi della Messa”. Sorprendentemente, il testo — sebbene ricordi Benedetto XVI e il periodo in cui Guido Marini era il suo maestro di cerimonie, e sebbene esso faccia abbondante riferimento a forme “ordinarie” e “straordinarie” — rimane tuttora sul sito vaticano (qui). Questo documento fa riferimento al “Novus Ordo” (tout court) e al “Vetus” [Ordo], anche se per quest'ultimo termine utilizza le virgolette come a voler sottolineare che si tratta di un aggettivo improprio.

Ero già a conoscenza di tutto ciò prima ancora di scoprire un articolo di Max Johnson datato 14 gennaio 2010 su Pray Tell: “Da dove viene l’espressione ‘Novus Ordo’?”. Come ci si può aspettare, l’articolo si lamenta del fatto che l’espressione sia diventata un’arma utilizzata dai tradizionalisti per affibbiare alla messa un “titolo” invece di una semplice descrizione passeggera, che sarebbe equivalente al dire “nuovo innario” o “nuovo libro appena dato alle stampe”, senza alcun significato sostanziale (teologico). Alla luce dei summenzionati, autentici peana all’innovazione cantati da Paolo VI nelle udienze del 1969, questo punto di vista sembra difficile da sostenere. Le modifiche apportate alla Messa non sono meramente casuali o superficiali, sulla stregua di un nuovo carattere tipografico o di una nuova rilegatura per un messale, bensì mozzano l’osso e il midollo del rito.

La mia conclusione è comprensibilmente molto diversa da quella di Pray Tell. Penso che sia giusto chiamare “novus” — che significa sia ‘nuovo’ che ‘strano’ — l’invenzione realizzata dal Consilium. Qualunque cosa essa sia, non è assolutamente il rito romano, come dimostro con molteplici argomenti in The Once and Future Roman Rite. È vero che l’implacabile critica tradizionalista ha conferito all’espressione “Novus Ordo [Missae]” un valore peggiorativo — ma ciò è esattamente quanto essa merita.
Peter Kwasniewski, Lunedì 17 ottobre 2022
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[1] Quello stesso capitolo è una versione rivista e ampliata di una lezione il cui testo è disponibile qui.
[2] Il testo è disponibile su EWTN qui; per ulteriori informazioni sulla sua storia, si veda qui.
[3] Una nota sulla terminologia. Al giorno d’oggi l’espressione “Novus Ordo” è stata estesa per avere praticamente lo stesso significato di “riti liturgici riformati”. Pertanto, si sentirà parlare di “battesimo Novus Ordo”, di “breviario Novus Ordo” e simili. Sebbene si comprenda facilmente cosa si intende, sarebbe più corretto dire il “nuovo rito del battesimo”, la “nuova liturgia delle ore” e così via, poiché “Novus Ordo” è solo una forma abbreviata di “Novus Ordo Missae”: si riferisce esattamente all’ordine della Messa seguito nell’offerta dell’Eucaristia. Tuttavia, si può correttamente fare riferimento al “lezionario Novus Ordo” e al “calendario Novus Ordo” per via della loro stretta relazione con i libri liturgici della Messa.
[Traduzione per Chiesa e post-Concilio di Antonio Marcantonio]

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