Nell'articolo che segue la questione è centrata sulle critiche all'Amoris laetitia, cioè sostanzialmente sui Dubia [qui]. Ma c'è ben altro, accaduto successivamente (Sinodo Amazzonico [qui] - Dichiarazione Abu dhabi [qui] - Fratelli tutti [qui]) su cui il Cardinale non ha mancato di far sentire la sua voce a più riprese.
«Il cardinale Caffarra [defunto arcivescovo di Bologna], che era un caro amico, venne a trovarmi e mi chiese cosa stesse succedendo. Ha detto che quelli di noi che difendono l'insegnamento e la disciplina della Chiesa sono ora chiamati nemici del papa. Ed è un segnale di quello che è successo. Durante il mio sacerdozio, sono sempre stato accusato di essere troppo attento a ciò che il Papa ha detto. E ora mi trovo in una situazione in cui mi chiamano nemico del papa, cosa che non sono».
Così esprime il cardinale Raymond Burke, in un'intervista a Ross Douthat pubblicata sul New York Times, il 9 novembre 2019.
«Non ho fatto altro che quello che ho fatto per trent'anni della mia vita sacerdotale e che mi ha fatto diventare vescovo, delegato apostolico in Africa, membro della Commissione preconciliare centrale, assistente del trono papale. Cosa potrei desiderare di più come prova che Roma riteneva che il mio lavoro fosse proficuo per la Chiesa e per il bene delle anime? E ora, mentre sto facendo un lavoro abbastanza simile a quello che ho realizzato per trent'anni, improvvisamente sono "sospeso a divinis", forse presto scomunicato, separato dalla Chiesa, rinnegato. È possibile? È quello che ho fatto per trent'anni sia anche suscettibile di una "sospensione ai divinis"?»Così ha parlato Mons. Marcel Lefebvre, nel suo sermone della Messa di Lille, il 29 agosto 1976.
Apologia Pro Vita Sua del cardinale Burke
In una recente intervista con il giornalista cattolico Ross Douthat, il cardinale Burke - che è considerato all'unanimità un critico conservatore del pontificato di Francesco - difende il suo lavoro nella Chiesa cattolica. Contrariamente a quanto ritengono i sostenitori del papa, il cardinale Burke non si considera nemico di Francesco. Non fa che sostenere l'insegnamento cattolico ortodosso, come l'indissolubilità del matrimonio. Nel fare ciò, riconosce di aver perso il favore di Francesco, il che ha portato alla sua partenza dalla Congregazione dei Vescovi e poi dal Tribunale della Segnatura Apostolica. Tuttavia sostiene che non attacca la funzione papale, ma predica semplicemente la fede.
Il cardinale continua:
«Il documento di lavoro [per il Sinodo per l'Amazzonia] non ha valore dottrinale. E se il papa apponesse il suo timbro su questo documento? La gente dice: "Se non lo accetti, sarai nello scisma"; ma sostengo che non sarei nello scisma perché il documento contiene elementi che negano la tradizione apostolica. Ciò che intendo è che il documento è scismatico. Non lo sono io».D'altro canto, mons. Lefebvre aveva dichiarato durante le consacrazioni episcopali del sermone del 1988:
«Non siamo scismatici! (...) Al contrario, è per dimostrare il nostro attaccamento a Roma che stiamo facendo questa cerimonia. È per mostrare il nostro attaccamento alla Chiesa di sempre, al Papa e a tutti coloro che hanno preceduto questi papi che, purtroppo, dal Vaticano II, hanno ritenuto necessario aderire agli errori, errori gravi che stanno demolendo la Chiesa e distruggendo il sacerdozio cattolico».Il cardinale Burke insiste:
«Non sono cambiato. Insegno sempre le stesse cose che ho sempre insegnato e queste non sono le mie idee. Ma improvvisamente, questo viene percepito come contrario al pontefice romano».
Su questo punto preciso, come non si può non vedere un'eco lontana della dichiarazione di mons. Lefebvre del 21 novembre 1974:
«Noi aderiamo con tutto il cuore e con tutta l'anima alla Roma cattolica custode della fede cattolica e delle tradizioni necessarie al mantenimento della stessa fede, alla Roma eterna, maestra di saggezza e di verità.(...) Nessuna autorità, neppure la più alta nella gerarchia, può costringerci ad abbandonare o a diminuire la nostra fede cattolica chiaramente espressa e professata dal Magistero della Chiesa da diciannove secoli. (...) Per questo ci atteniamo fermamente a tutto ciò che è stato creduto e praticato nella fede, i costumi, il culto, l'insegnamento del catechismo, la formazione del sacerdote, l'istituzione della Chiesa, della Chiesa di sempre e codificato nei libri apparsi prima dell'influenza modernista del Concilio, attendendo che la vera luce della Tradizione dissipi le tenebre che oscurano il cielo della Roma eterna».Un'involontaria ironia
Un'ironia, senza dubbio involontaria, accompagna le parole del cardinale Burke, nella misura in cui egli stesso una volta era critico nei confronti dell'ex arcivescovo di Dakar e della Fraternità San Pio X. In una conferenza tenutasi il 15 luglio 2017, il vescovo Burke aveva persino dichiarato che la Fraternità «è nello scisma (sic) dal momento che il defunto mons. Marcel Lefebvre ha ordinato quattro vescovi senza il mandato del Romano Pontefice». Ha aggiunto: «Pertanto non è legittimo assistere alla messa o ricevere i sacramenti in una chiesa che è sotto la direzione della Fraternità Sacerdotale San Pio X».
Se queste parole del cardinale sono certamente fuori luogo, è deplorevole che non capisca il motivo delle consacrazioni episcopali del 1988, per perpetuare l'autentico sacerdozio cattolico e fornire ai fedeli sacramenti certamente validi, secondo il rito romano tradizionale. In tal modo, le consacrazioni, come tutta l'opera sacerdotale di mons. Lefebvre, furono fatte per la vita della Chiesa e il bene della fede cattolica. Non è così che il cardinale Burke comprende il proprio ministero sacerdotale, che consiste nel difendere la fede di fronte all'eterodossia, anche se in modo imperfetto? Possa l'attuale situazione della Chiesa, che la pone in una situazione simile - se non identica - a quella che mons. Lefebvre conobbe, farlo riflettere ...
Questo parallelismo non sfiora quasi Ross Douthat che interroga il cardinale Burke sul New York Times. Il giornalista si impegna a distinguere la fedeltà del cardinale Burke all'ortodossia di fronte alle utopie di papa Francesco, dal «quasi-esilio tradizionalista intrapreso dopo il Concilio Vaticano II dalla Fraternità San Pio X». Qualunque sia il significato del termine "quasi-esilio", la recente storia ecclesiastica mostra che è vero il contrario. Non solo la Fraternità San Pio X ha salvato la messa cattolica e i riti sacramentali per il maggior bene di tutta la Chiesa - e questo nonostante la rabbiosa opposizione - ma sua posizione secondo cui l'antico rito romano non era mai stato abrogato è stata, di fatti, confermata da papa Benedetto XVI nel suo motu proprio Summorum Pontificum, nel 2007.
Inoltre, le cappelle della Fraternità, aperte a tutti i cattolici, esattamente come il suo apostolato, specialmente attraverso la pubblicazione, sono modi per lei non solo di diffondere la fede e la vita cattolica, ma anche di mettere in guardia sulla profondità della crisi che la Chiesa sta attraversando. Lungi da qualsiasi spirito di ribellione, non esita a denunciare la distruzione causata dal Vaticano II e le sue riforme e a ricordare l'urgente necessità di ripristinare la Tradizione cattolica. Non sono quindi mons. Lefebvre e la Fraternità sacerdotale da lui fondata a collocarsi nel "quasi-esilio" della Chiesa; ma sono le autorità che governano la Chiesa che si sono messe in esilio dichiarato dalla Tradizione.
Tuttavia, è interessante e piacevole notare che i recenti scandali consentono agli uomini di Chiesa di rendersi meglio conto dell'attuale crisi e - questa è una novità dal Concilio - di opporsi pubblicamente alla distruzione della fede. Tuttavia, questa lotta necessaria può essere efficace solo riconoscendo che l'attuale crisi ha radici nello stesso Concilio Vaticano II.
(Fonti: New York Times/SSPX.US-district - FSSPX.Actualités - 14/11/2019 )
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