giovedì 22 dicembre 2022

Libertà religiosa ed educazione cattolica: catechismo o insegnamento religioso? Magistero o eterna ricerca della verità?

 Libertà religiosa ed educazione cattolica:
catechismo o insegnamento religioso?
Magistero o eterna ricerca della verità?

Gederson Falcometa

Ho un conto Instagram per motivi di lavoro. Lì seguo diverse pagine cattoliche e l’altro giorno ho visto un messaggio di un membro che diceva: “I miei genitori non mi hanno mai battezzato, perché hanno preferito aspettare che crescessi per poter scegliere la mia religione. Però oggi, da adulta, ho saputo che mia nonna che mi ha battezzato di nascosto ai miei genitori”.
Considerando che i genitori si sono posti la domanda se battezzarla o no, possiamo presumere che si tratti di una coppia cattolica progressista coerente. Infatti, se la persona umana ha diritto alla libertà religiosa, il battesimo e l’educazione di un bambino nella fede cattolica comportano il rifiuto del detto diritto della persona umana alla libertà religiosa.
In questo caso, grazie alla nonna, l’interessata ha ricevuto il battesimo, ma i suoi genitori, tra catechismo e insegnamento religioso, hanno preferito l'insegnamento religioso. Questo è più coerente con l’insegnamento della Dignitatis Humanae (DH).

Questo problema, forse, può spiegare il comportamento di certi prelati che portano i bambini nelle moschee. E anche quei prelati che donano dei terreni ad altre religioni per la costruzione dei loro templi (prevalentemente musulmani). In questo senso, il dialogo interreligioso finisce per essere un dialogo in vista della conferma della propria posizione religiosa. Oltre che una tentazione, visto che voglio conoscere altre religioni per sapere se la mia è migliore delle altre, ed essere così sicuro che la mia scelta è stata quella giusta. Se una persona, in base al suo giudizio o principalmente al suo sentimento soggettivo, trova qualcosa di meglio in un’altra religione, si converte.
Questo è possibile solo perché con il concilio Vaticano II, e DH, la Chiesa è stata posta sullo stesso piano delle altre religioni.

Benedetto XVI arrivò a parlare di analfabetismo religioso. Ora, una Chiesa che considera la libertà religiosa come un diritto umano, non può educare i suoi fedeli nella fede (cosa che si chiede ai genitori durante il rito del battesimo), senza peccare contro il loro presunto diritto alla libertà religiosa. Quindi, tutta l’educazione cattolica post-DH è stata fatta con questo presunto diritto come guida. Così come l’azione del magistero stesso: distinguere tra una vera e una falsa interpretazione del Concilio Vaticano II significherebbe restringere la libertà religiosa dei contraffattori del Concilio. Per questo si è parlato di due ermeneutiche, ma in nessun momento si è detto se fossero vere o false.

Per quanto riguarda il concilio Vaticano II, questo problema è ancora più evidente, poiché l’insegnamento del vero Concilio porrebbe fine alla libertà religiosa. Come dice don Matteo Liberatore, S.J. (1):
“Il dovere di cercare la verità ha luogo solo quando la verità non è stata ancora acquisita. Ma quando è acquisita, sorge il dovere, non di cercarla (che sarebbe una stramberia), ma di abbracciarla e custodirla. La ricerca è una azione e presuppone uno scopo diverso su cui appoggiarsi. Il possesso della verità comporta la cessazione di questa azione, e quindi la quiete; poiché il vero costituisce la certezza. Dove, per intenderci, la proposizione di Cassani dovrebbe essere convertita in quest’altra; l’uomo ha il più alto dovere di aderire alla verità; e quindi ha il diritto di cercarla con ogni studio quando non ce l’ha o l’ha perduta disgraziatamente; ma quando l’ha conseguita, ha il dovere di impiegare ogni mezzo per conservarla e proteggerne il possesso».
Nel caso del concilio Vaticano II non si tratta di cercare la verità sul suo insegnamento, perché come dice Padre Liberatore, questo implicherebbe non il diritto di cercarla ma il dovere di abbracciarla e custodirla. Per una ermeneutica della riforma nella continuità si tratta di una ricerca senza fine. E’ per questo che Ratzinger diceva:
«Quello che ha rovinato la Chiesa dopo il Concilio non è stato il Concilio stesso ma il rifiuto di accettarlo … quindi l’obiettivo è di scoprire il vero Concilio e di approfondirne le intenzioni alla luce dell’esperienza corrente, e non di sopprimerlo» (2).
Ma come si può accettare quello che ancora si deve scoprire?
Come può un magistero insegnare qualcosa che deve ancora essere scoperto? Quello che lo Spirito Santo insegna in un Concilio sarebbe la stessa cosa che scoprire un Concilio alla luce dell’esperienza attuale (questa esperienza è la tradizione della Chiesa?)?

Qui il “Concilio dei Padri” non compare, appare l’obiettivo di scoprire il vero Concilio e approfondirne le intenzioni. La tesi del Concilio rubato dai media è una tesi di De Lubac che Benedetto XVI ha fatto sua e ribadito nel suo ultimo discorso da Papa.
Oggi sono percepibili i frutti della libertà di perdizione, come definiva Gregorio XVI le libertà moderne. E si parla di fake news. Certo, c’erano fake news, ma il Concilio, con la sua applicazione della misericordia all’errore, ha concesso a quest’ultimo piena libertà.
Quello che i media hanno fatto la maggior parte del tempo è stato di pubblicizzare gli errori di Papi, Cardinali, Vescovi, Padri... Quindi dire semplicemente che i Media hanno rubato il Concilio è ammettere che nel Concilio non c’erano testimoni per difendere il suo vero insegnamento.

Semplifichiamo per facilitare le cose:
La Sacrosanctum Concilium, al n° 36, afferma che nella liturgia il latino deve essere conservato (3). Tuttavia Paolo VI celebra la prima Messa in volgare in italiano, e parla del sacrificio del latino nella Messa (4).
I media hanno riportato questo fatto, non è colpa di Paolo VI se non ha applicato correttamente il Concilio (quale sarebbe stata la sua intenzione nel fare il contrario di quanto chiedeva il Concilio?).
Né è colpa sua se ha fabbricato un Rito (lo riconoscono diversi prelati, tra cui Ratzinger/Benedetto XVI) e lo ha imposto a tutta la Chiesa.
Un altro esempio è la Lettera circolare del cardinal Ottaviani ai Presidenti delle Conferenze episcopali (5), sui problemi di interpretazione del Concilio e sulla responsabilità della gerarchia nella difesa del vero Concilio (nel Sinodo straordinario del 1985 non vi è traccia di questa lettera). In essa egli segnala diversi errori ancora oggi diffusi. Certo, i media hanno pubblicizzato questi errori, ma la colpa di tali errori è dei media o di una gerarchia incapace di affermare ciò che è vero e condannare ciò che è falso?
Quello a cui abbiamo assistito con il Concilio e il postconcilio, è stato che la verità ha perso la battaglia per la libertà, cioè gli uomini di Chiesa, dal Papa al più semplice laico, si preoccupano più di difendere la libertà che della verità stessa. Diventarono voltariani “Non sono d’accordo con una sola parola che hai da dire, ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirla”.

Tesi come quella che il “Concilio dei media ha prevalso sul Consiglio dei Padri” [qui - qui - qui] o come quella delle due ermeneutiche sono indifendibili, perché vanno contro il buon senso, contro l’onestà intellettuale, rincretiniscono e uccidono l’intelligenza.
È difficile credere che la Chiesa del Nostro Signore e Salvatore, vero Dio e vero uomo, non possa fare nulla contro i media. Quelli che vogliono cercare i mezzi, ma non vogliono, usano tesi come queste come scuse per il fallimento di ciò che difendono.
La più grande testimonianza di tutta questa confusione è una quasi totale assenza di Dio e della sua grazia. Nessuno ottiene le grazie di Dio agendo contro Dio!!!

Quindi, non c’è più insegnamento, e non c’è più magistero, ciò che abbiamo a partire dal Concilio è una Chiesa che si unisce all’umanità nell’eterna ricerca della verità che la Chiesa dovrebbe testimoniare e insegnare.
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NOTE
1 - P. Matteo Liberatore, S.I., Della libertà di religione e di culto, in La Civiltà Cattolica, 1877. ( qui )
2 - Cardinale Ratzinger, Principles of Catholic Theology, 1987, p. 390. 3 - Sacrosanctum Concilium, 36: Latino e lingue nazionali nella liturgia
  1. L’uso della lingua latina, salvo diritti particolari, sia conservato nei riti latini.
  2. Dato però che, sia nella Messa che nell’amministrazione dei sacramenti, sia in altre parti della liturgia, non di rado l’uso della lingua nazionale può riuscire di grande utilità per il popolo, si conceda alla lingua nazionale una parte più ampia, specialmente nelle letture e nelle ammonizioni, in alcune preghiere e canti, secondo le norme fissate per i singoli casi nei capitoli seguenti.
  3. In base a queste norme, spetta alla competente autorità ecclesiastica territoriale, di cui all’art. 22- 2 (consultati anche, se è il caso, i vescovi delle regioni limitrofe della stessa lingua) decidere circa l’ammissione e l’estensione della lingua nazionale. Tali decisioni devono essere approvate ossia confermate dalla Sede Apostolica.
  4. La traduzione del testo latino in lingua nazionale da usarsi nella liturgia deve essere approvata dalla competente autorità ecclesiastica territoriale di cui sopra.
4 -  Paolo VI, Papa liberale  : il 7 marzo 1965, dichiarava ai fedeli raccolti in piazza San Pietro: «È un sacrificio che la Chiesa compie, rinunciando al latino, lingua sacra, bella, espressiva, elegante. Essa ha sacrificato secoli di tradizione e di unità della lingua per un’aspirazione sempre più grande all’universalità.» E il 4 maggio 1967 questo “sacrificio” veniva consumato, con l’Istruzione Tres abhinc annos che stabiliva l’uso della lingua volgare per la recita, a voce alta, del Canone della Messa. Lo spiegò nuovamente, il 26 novembre 1969, presentando il nuovo rito della messa: «Non è più il latino, ma la lingua corrente che sarà la lingua principale della Messa. Per chiunque conosca la bellezza, la forza del latino, la sua capacità di esprimere le cose sacre, sarà certamente un grande sacrificio vederlo sostituito dalla lingua corrente. Noi perdiamo la lingua di secoli cristiani, diventiamo come degli intrusi e dei profani nell’ambito letterario dell’espressione sacra. Perdiamo dunque in gran parte questa mirabile e incomparabile ricchezza artistica e spirituale che è il canto gregoriano. Abbiamo certamente motivo di provarne rimpianto e quasi smarrimento.»
Paolo VI pronunzia dunque la contraddittoria sentenza: «La risposta sembra banale e prosaica - dice - ma è buona, perché umana e apostolica. La comprensione della preghiera è più preziosa dei vetusti indumenti di seta dei quali essa si è regalmente adornata. Più preziosa è la partecipazione del popolo, di questo popolo di oggi che vuole gli si parli chiaramente, in una maniera intelligibile ch’esso possa tradurre nel suo linguaggio profano. Se la nobile lingua latina ci taglia fuori dai bambini, dai giovani, dal mondo del lavoro e degli affari, se essa è uno schermo opaco invece che un cristallo trasparente, faremmo bene i calcoli, noi pescatori d’anime serbandole l’esclusiva nel linguaggio della preghiera e della religione?» 5 - Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera circolare ai Presidenti delle Conferenze Episcopale circa ad alcune sentenze ed errori insorgenti sull’interpretazione dei decreti del Concilio Vaticano II - ( qui )
1. “Spetta alla Gerarchia il diritto e il dovere di vigilare, guidare e promuovere il movimento di rinnovamento iniziato dal Concilio, in maniera che i Documenti e i Decreti conciliari siano rettamente interpretati e vengano attuati con la più assoluta fedeltà al loro valore ed al loro spirito. Questa dottrina, infatti, deve essere difesa dai Vescovi, giacché essi, con a Capo Pietro, hanno il mandato di insegnare con autorità. Lodevolmente molti Pastori hanno già cominciato a spiegare come si conviene la dottrina del Concilio”.
Gli errori denunciati: “Conviene, a titolo di esempio, accennare ad alcune di tali opinioni ed errori, così come risultano dai rapporti di persone competenti e da scritti pubblicati.
  1. In primo luogo circa la stessa Sacra Rivelazione: ci sono alcuni, infatti, che ricorrono alla Sacra Scrittura lasciando deliberatamene da parte la Tradizione, ma poi restringono l’ambito e la forza della ispirazione biblica e dell’inerranza, né hanno una giusta nozione del valore dei testi storici. 
  2. Per quanto riguarda la dottrina della fede, viene affermato che le formule dogmatiche sono soggette all’evoluzione storica al punto che anche lo stesso loro significato oggettivo è suscettibile di mutazione. 
  3. Il Magistero ordinario della Chiesa, particolarmente quello del Romano Pontefice, è talvolta così negletto e sminuito, fino a venir relegato quasi nella sfera delle libere opinioni.
  4. Alcuni quasi non riconoscono una verità oggettiva assoluta, stabile ed immutabile, e tutto sottopongono ad un certo relativismo, col pretesto che ogni verità segue necessariamente il ritmo evolutivo della coscienza e della storia. 
  5. La stessa Persona adorabile di Nostro Signore Gesù Cristo è chiamata in causa, quando, nell’elaborazione della dottrina cristologia, si adoperano, circa la natura e la persona, concetti difficilmente conciliabili con le definizioni dogmatiche. Serpeggia un certo umanesimo cristologico che riduce Cristo alla condizione di un semplice uomo, il quale un po’ per volta acquistò la consapevolezza della sua filiazione divina. Il suo concepimento verginale, i miracoli, la stessa Risurrezione vengono ammessi solo a parole, ma vengono ridotti al puro ordine naturale. 
  6. Similmente nella teologia sacramentaria alcuni elementi o vengono ignorati o non sono tenuti nel debito conto, specialmente per quanto riguarda l’Eucaristia. Circa la presenza reale di Cristo sotto le specie del pane e del vino non mancano alcuni che ne parlano inclinando ad un esagerato simbolismo, quasi che, in forza della transustanziazione, il pane e il vino non si mutassero in Corpo e Sangue di N.S. Gesù Cristo, ma fossero semplicemente trasferiti ad una determinata significazione. Ci sono alcuni che, a proposito della Messa, insistono troppo sul concetto di agape a scapito del concetto di Sacrificio.
  7. Alcuni vorrebbero spiegare il Sacramento della Penitenza come un mezzo di riconciliazione con la Chiesa, non esprimendo sufficientemente il concetto di riconciliazione con Dio offeso. Affermano pure che nella celebrazione di questo Sacramento non è necessaria l'accusa personale dei peccati, sforzandosi di esprimere unicamente la funzione sociale della riconciliazione con la Chiesa. 
  8. Né mancano alcuni che o non tengono in debito conto la dottrina del Concilio Tridentino circa il peccato originale, o la spiegano in modo che la colpa originale di Adamo e la trasmissione del suo peccato ne restano perlomeno offuscate. 
  9. Né minori sono gli errori che si vanno propagando nel campo della teologia morale. Non pochi, infatti, osano rigettare il criterio oggettivo di moralità; altri non ammettono la legge naturale, affermando invece la legittimità della cosiddetta etica della situazione. Opinioni deleterie vanno propagandosi circa la moralità e la responsabilità in materia sessuale e matrimoniale. 
  10. A quanto s'è detto bisogna aggiungere alcune parole circa l'ecumenismo. La Sede Apostolica loda, indubbiamente, coloro che nello spirito del Decreto conciliare sull'ecumenismo promuovono iniziative destinate a favorire la carità verso i fratelli separati e ad attirarli all'unità della Chiesa; ma si duole del fatto che non mancano alcuni i quali, interpretando a modo proprio il Decreto conciliare, propugnano un'azione ecumenica tale da offendere la verità circa l'unità della fede e della Chiesa, favorendo un pernicioso irenismo e un indifferentismo del tutto alieno dalla mente del Concilio.
Questi pericolosi errori, diffusi quale in un luogo quale in un altro, sono stati sommariamente raccolti in sintesi in questa Lettera agli Ordinari di luogo, affinché ciascuno, secondo la sua funzione ed il suo ufficio, si sforzi di sradicarli o di prevenirli”.

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