In Rai va in onda la celebrazione di Lotta Continua, a Cremona va in scena l’ennesimo Giuseppe Verdi in versione trans e arcobaleno, in tutta Italia, in ogni festival e in ogni kermesse sfilano film, canzoni, opere impostati sul solito triplice canone: lgbtq+, migranti e bella ciao. Non c’è scampo. Potrei farvi un elenco puntuale di questo permanente calendario globale, motivare il radicale dissenso ed esercitare fervente indignazione. Sono cose già dette e scritte e vanamente denunciate.
L’unica novità è che questo ora avviene con un governo di destra, sotto “dittatura neofascista”, secondo gli allucinati profeti del Male, le Murgia, i Montanari, i Saviano, gli Scurati. E’ la prova ulteriore che un regime non esiste, nessuna libertà è in pericolo. Cose già dette e ridette ai tempi della “tirannia liberista” di Berlusconi. Però, per una volta, proviamo ad andare oltre il sacrosanto e prevedibile sdegno. E chiediamoci: ma come mai non c’è quasi nulla di alternativo a questo carnevale permanente del conformismo trasgressivo? Perché non nascono, non si producono, non si vedono programmi, film, spettacoli, concerti, format alternativi? Le attenuanti, generiche e specifiche, ci sono tutte.
Perché c’è un monopolio mafioso della cultura in tutte le sue varianti, l’intera filiera passa da una rete di cosche ideologico-affaristiche a cui si piegano tutti, case di produzione e distribuzione, industria e impresari, autori e sceneggiatori, attori e registi, scrittori e cantanti, ma poi anche giornali e recensori, giurie e istituzioni. Sarebbe difficile trovare sponsor e finanziatori per un progetto alternativo, e trovare chi lo realizza, chi vi partecipa, chi lo sostiene, chi lo divulga: la catena è nelle mani di quel Collettivo e dei suoi complici; ogni genere di pressione e intimidazione viene esercitata per boicottare l’esito, far deragliare i progetti, cancellarli o silenziarli. Meno soldi, meno disponibilità, meno visibilità. Chi la pensa in modo diverso viene scoraggiato, così cambia mestiere o cambia idea. Ovvero, o si dedica ad ambiti più neutrali, temi meno “sensibili”; oppure alla fine si adatta al clima, abbozza, si allinea. Eppure, i grandi del pensiero, dell’arte e della letteratura, ma anche del cinema, del teatro e della musica, erano estranei alla presente cappa ideologica; in molti casi esprimevano sensibilità conservatrici, tradizionali, perfino reazionarie, nazionaliste se non protofasciste. O erano solitari, impolitici. Invece la media generale dei loro odierni succedanei, in ogni ambito, si professa allineato al conformismo collettivo e ripete il rosario dell’Ideologia Correct.
Ribadite queste premesse e riconosciute tutte le difficoltà conseguenti, resta il fatto che non c’è un racconto diverso, alternativo, in nessun ambito. Se devo pensare a una cultura pop alternativa alla narrazione ieri marxista e oggi radical-progressista, trovo solo un modello cine-televisivo d’ispirazione cattolica: quello interpretato decenni fa nel servizio pubblico televisivo da Ettore Bernabei (e poi dalla sua Lux). Il resto nulla.
La presenza di Berlusconi nei media, tv e cinema, non si è affatto contrapposta a quella vulgata ideologica. Al conformismo ideologico ha risposto col mondo luccicante di tette, quiz e ricreazione. La risposta subculturale del berlusconismo è stata il divertimento rispetto all’impegno, la visuale leggera e scosciata rispetto alla cupa visione storico-ideologica, il consumismo rispetto al comunismo. American way.E la destra? Non c’era, e se c’era dormiva. Non contava, non se ne occupava, si limitava a inveire contro questa dominazione. Più qualche raro, spesso scadente, prodotto isolato.Ora, è inutile recriminare e fare processi retroattivi, non serve a nulla e non scopre nulla di nuovo. Si sa che l’egemonia culturale della sinistra non è solo il frutto della sua propensione a irreggimentare con intolleranza e arroganza ma anche dell’insensibilità praticante della destra verso la cultura, anche nella campo più largo e pop della mentalità. Vero è che la destra, in ogni sua versione, lascia più liberi; ma è vero pure che non dà importanza alla battaglia culturale e ai suoi derivati. Al più le idee sono da professare e non da pensare o rielaborare, si abbracciano una volta per tutte, come la fede e l’appartenenza, senza misurarsi con la realtà di oggi e le altre culture.
Con queste premesse e in questa situazione come dovrebbe comportarsi ora che governa, col mondo dei media, della cultura e dello spettacolo? Lasciar correre, essere indifferenti, censurare e frenare, cercare piccoli compromessi di sopravvivenza? No, meglio adottare criteri diversi. Il primo è premiare e incoraggiare l’eccellenza, la qualità, i migliori, a prescindere dalle appartenenze. Il secondo è raccontare temi veri, realmente sentiti e prioritari, e non assecondare rivalse settarie (tipo lotta continua o frange arcobaleno). Il terzo criterio è allargare l’offerta, le possibilità e i terreni neutrali, perché ci sono molte più cose in cielo in terra e nell’animo umano di quante ne incaselli l’ideologia nei suoi rigidi schemini. Infine, incoraggiare temi, autori, versioni, progetti alternativi, col solo limite della qualità, favorendo la nascita e lo sviluppo di racconti differenti, opposti alla vulgata dominante e ai suoi pregiudizi.
Ma per adottare linee del genere occorre una strategia, una visione, una volontà e più laboratori in cui formare, studiare, selezionare uomini, idee e format. E bisogna partire da concrete domande in campo: cosa impedisce di avere un altro racconto rispetto a quello su Lotta continua, la Traviata trans o le compagnie di giro coi loro catechismi ossessivi nei festival, teatri e biblioteche? Quali sono gli ostacoli, i muri, le carenze che si frappongono a realizzarli? Come porvi rimedio, in che modo, partendo da chi e da cosa? Troppo facile sbrigarsela con un’invettiva o infilando la testa nella sabbia. Perché non provare a cambiare la vigente Rotta Continua?
Marcello Veneziani - La Verità - 9 dicembre 2022
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