Anche per ricordarci chi siamo e da dove veniamo, mentre la nostra storia e la nostra identità sono pesantemente minacciate.
Sono poche le informazioni che i Vangeli ci danno sugli anni nascosti di Gesù. Tra esse, il mistero del Ritrovamento presso i dottori del tempio e il suo successivo ritorno a casa con Maria e Giuseppe. Un episodio che Simone Martini dipinse in modo originale.
Dal momento in cui è stato generato, alla nascita e alla primissima infanzia, Gesù ha ispirato molti pittori, scultori, incisori, poeti e scrittori: l’Annunciazione, la Natività, la Presentazione al tempio e la fuga in Egitto sono rappresentate in centinaia di opere d’arte, attraverso i secoli. Invece gli aspetti storici relativi agli anni dell’infanzia e dell’adolescenza di Gesù sono rimasti perlopiù marginali. Non solo nell’arte, ma anche nei Vangeli stessi. Sono anni sovente definiti (in modo non accademico): anni perduti di Gesù (detti anche gli anni silenziosi), gli anni sconosciuti, gli anni mancanti o gli anni oscuri…
E allora viene naturale la domanda: dove e come ha vissuto Gesù, dove ha studiato, cosa ha fatto fino all’età di 30 anni, momento in cui inizia la sua vita pubblica? Alla luce del ritrovamento dei “Rotoli del Mar Morto” e della loro autenticità e autorevolezza, diversi storici e teologi, a partire da Benedetto XVI (“L’infanzia di Gesù”, 2013, Rizzoli), ipotizzano che Gesù (Yehoshua) abbia passato buona parte dei 18 anni “sconosciuti” della propria vita presso gli Esseni, dove avrebbe studiato per diventare rabbino.
Benedetto XVI, pervenuto a questa importantissima deduzione attraverso, appunto, la lettura dei suddetti “Rotoli” (150 a.C. - 70 d.C), scoperti nel 1947, scrive: “Sembra che Giovanni Battista, ma forse anche Gesù e la sua famiglia, fossero vicini alla Comunità degli Esseni”. Oltre a papa Ratzinger, anche altri importanti autori affermano che l’ebreo Rabbi Yehoshua ben Yosef (Giosuè figlio di Giuseppe), meglio noto come Gesù di Nazaret, facesse proprio parte della corrente ebraica degli Esseni. Lo studioso francese André Dupont-Sommer (1900-1983) ha dedicato buona parte della sua vita proprio allo studio dei manoscritti del Mar Morto e nella sua importante opera Les Écrits esséniens découverts près de la Mer Morte scrive infatti così: “I documenti di Qumran rivelano chiaramente che la Chiesa cristiana primitiva affonda le sue radici, in modo che nessuno avrebbe potuto supporre, nella setta ebraica degli Esseni e che da essa deriva una buona parte della sua organizzazione, dei suoi riti, delle sue dottrine e del suo ideale mistico e morale”.
Anche il teologo cattolico e studioso dell’Antico Testamento Simone Paganini scrive: “Lo sfondo culturale del Nuovo Testamento (i Vangeli) e dei Manoscritti del Mar Morto era pressoché identico”. Stabilito questo, è normale chiederci qual era la quotidianità del piccolo Gesù durante gli anni dell’infanzia e dell’adolescenza? Troviamo vaghe risposte nei Vangeli, dai quali possiamo dedurre che la famiglia di Gesù appartenesse alla classe media e che era gente relativamente benestante: Matteo spiega che la famiglia in cui crebbe Gesù era un vero e proprio clan, composto da diversi parenti (fra i quali troviamo Zaccaria, sacerdote e padre di Giovanni Battista). Marco invece si sofferma sul mestiere di Gesù adolescente. Nel suo Vangelo (6,3), Marco racconta che Gesù era “tektòn” termine greco molto utilizzato all’epoca per definire il mestiere di artigiano e, in modo particolare, di “carpentiere” (costruttore di tetti, di mobili e di barche).
Luca invece ci parla di un adolescente fuori dal comune, che stupiva coloro che lo incontravano con la sua intelligenza e arguzia. «I suoi genitori si recavano tutti gli anni a Gerusalemme per la festa di Pasqua. Quando egli ebbe dodici anni, vi salirono di nuovo secondo l’usanza; ma trascorsi i giorni della festa, mentre riprendevano la via del ritorno, il fanciullo Gesù rimase a Gerusalemme, senza che i genitori se ne accorgessero. Credendolo nella carovana, fecero una giornata di viaggio, e poi si misero a cercarlo tra i parenti e i conoscenti; non avendolo trovato, tornarono in cerca di lui a Gerusalemme. Dopo tre giorni lo trovarono nel tempio, seduto in mezzo ai dottori, mentre li ascoltava e li interrogava. E tutti quelli che l’udivano erano pieni di stupore per la sua intelligenza e le sue risposte. Al vederlo restarono stupiti e sua madre gli disse: “Figlio, perché ci hai fatto così? Ecco, tuo padre e io, angosciati, ti cercavamo”. Ed egli rispose: “Perché mi cercavate? Non sapevate che io devo occuparmi delle cose del Padre mio?”. Ma essi non compresero le sue parole. Partì dunque con loro e tornò a Nazaret e stava loro sottomesso. Sua madre serbava tutte queste cose nel suo cuore. E Gesù cresceva in sapienza, età e grazia davanti a Dio e agli uomini». (Luca 2, 41-52)
E partiamo proprio da questo Vangelo per menzionare uno dei dipinti più singolari della storia dell’arte: Il Ritorno di Gesù a Betlemme dopo la disputa con i Dottori, una tempera su tavola eseguita nel 1342 da Simone Martini. L’opera fu eseguita ad Avignone, in Francia, dove la corte pontificia era stata trasferita da Roma, nel 1309, e dove rimase fino al 1377, sotto il potente e condizionante influsso della monarchia transalpina. Questo dipinto fu presumibilmente commissionato a Simone Martini per la devozione privata da un alto prelato o forse dallo stesso pontefice. Nel dipinto si trova un’iscrizione, in latino, collocata lungo il bordo inferiore della cornice, dove si legge la datazione dell’opera e la firma: “Simone di Siena mi ha dipinto nell’anno di Nostro Signore 1342”. Inoltre, un’altra iscrizione latina si trova sul libro che la Madonna tiene in mano, nella quale si legge: “Fili, quid fecisti nobis sic?” (Figlio, perché ci hai fatto così?).
Il dipinto, di medie dimensioni (49 x 35 cm) si trova in Gran Bretagna, a Liverpool, alla Walker Art Gallery. È un’opera veramente singolare, perché si sofferma sull’emozionalità e l’intimità della Sacra Famiglia, una cosa fuori dal comune e un aspetto mai trattato da nessun altro artista. Il quadro, con la sua combinazione molto interessante di elementi antichi e moderni e la sua straordinaria qualità, è un vero capolavoro, pieno di grazia.
Simone Martini in questo dipinto presenta un soggetto unico e originale in tutta l’iconografia cristiana: infatti, l’artista non è interessato alla disputa con i dottori del Tempio, ma ritrae i tre protagonisti della Sacra Famiglia, evidenziando le loro reazioni a seguito del ritrovamento di Gesù, dopo tre giorni di ricerca angosciata da parte di Maria e Giuseppe. È insolita questa scelta che sposta la scena sul versante più intimo delle relazioni familiari. Il pittore ci fa entrare nel mistero della crescita di Gesù, narrata dal Vangelo, e ce ne presenta degli aspetti inediti con un'eccellente capacità d’introspezione psicologica dei personaggi. Guardando il dipinto, sembra di partecipare ad una normale scena di conflitto familiare: due genitori, sollevati di avere ritrovato il figlio che pensavano perduto e che cercano di farglielo capire; e un adolescente in apparente ribellione che non vuole sentire ragioni. Chi contempla l’opera, che tratta di un mistero ricco di significato, non può che riconoscere la reale umanità assunta dal Figlio di Dio nell’evento dell’Incarnazione.
Simone Martini, talvolta detto anche Simone Senese, nato nel 1284 a Siena, e morto ad Avignone nel 1344, è un pittore e miniatore senese, contemporaneo di Ambrogio Lorenzetti e allievo di Duccio, che utilizza le tecniche dell’affresco e della tempera su tavola. Il suo lavoro ha esercitato una notevole influenza sul gotico internazionale. Considerato uno dei maestri della scuola senese e sicuramente uno dei più grandi e influenti artisti del Trecento italiano, è l’unico in grado di competere con Giotto. La sua formazione avvenne probabilmente nella bottega di Duccio di Buoninsegna.
La prima opera datata di Martini, da molti riconosciuta come il suo capolavoro, è il grande affresco della Maestà, realizzato nel 1312-1315 per la Sala del Consiglio del Palazzo Pubblico di Siena dove è ancora oggi appeso, e che egli stesso restaurò nel 1321 perché l’opera era già gravemente danneggiata dall’umidità. Nel luglio del 1317 Simone fu chiamato a Napoli da Roberto d’Angiò, che lo nominò cavaliere e gli concesse una pensione annuale. Inoltre, gli commissionò il dipinto San Ludovico da Tolosa che incorona il fratello Roberto d'Angiò, ora conservato nel museo di Capodimonte a Napoli.
Pittore errante e geniale, Martini passa da Siena a Napoli, da Assisi ad Orvieto, per arrivare finalmente ad Avignone, dove si spegne nel 1344. Anche se comunemente Simone Martini è considerato un pittore laico, chi scrive pensa che fosse un uomo di grande fede, a giudicare dalla bellezza e la sensibilità con la quale umanizza i personaggi divini, in un tentativo cortese e rispettoso di avvicinarli a noi. E ci riesce. (Liana Marabini - Fonte)
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