La verità è che nessuno si è speso davvero per la pace in Ucraina. E di certo non l'hanno fatto coloro che oggi sventolano arcobaleni (squallidi stendardi dell'Occidente svirilizzato, ma anche disumanizzato, che ha rinnegato le sue radici cristiane) e gridano indignati senza più alcun valore autentico da difendere perché sono già stati calpestati su tutti i fronti.
Ma la Vergine intercederà per tutti, anche per la manica di ipocriti automi senza cervello che illuminano i monumenti d'Europa, che non considerano le cause prossime e remote di questa guerra e ancora vanno dietro a chi soffia sul fuoco anziché tentare di spegnerlo. L'ennesima guerra per la quale al solito sono sempre gli innocenti a pagare — e non solo in Ucraina — per via dei temibili effetti incontrollabili di un incendio che rischia di allargarsi diventando inestinguibile finché, Dio non voglia, non avrà divorato quel che resta dell'Occidente europeo e della sua morente civiltà. Di seguito un post di Toni Capuozzo che fotografa il momento puntuale e riflette.
Fare gli eroi con le vite degli altri
Nelle ore più buie ci si aggrappa all’unica domanda urgente: dov’è il Male in questo momento, e dove il Bene? Non c’è dubbio che il Male è l’aggressione di Putin, e che il Bene sia fermarla. Come? Scommettere che la resistenza di Kiev avrà ragione di un’invasione via via più pesante, e sperare che logori Putin sul campo e persino in casa sua fino a impantanarlo? Le sanzioni, armi a doppio taglio, funzionano nel lungo periodo, non ora e adesso [e fanno più male ai sanzionatori più fragili e meno avveduti che ai sanzionati -ndr]. Gli aiuti in armi salvano la coscienza, non cambiano la battaglia. Serve sacrificare Zelensky sull’altare, immolare migliaia di vite per vincere la guerra dell’immagine e incollare la figurina gelida di Putin per sempre sull’album dei cattivi della Storia?
Quando vedo la distribuzione delle armi ai cittadini, quando vedo donne confezionare bottiglie molotov, quando sento di trattative rifiutate perché non si tratta con la pistola alla tempia, la mia memoria da vecchio cronista mi riporta ai luoghi in cui la dignità è morta, ed è rimasta solo la sopravvivenza e la pietà. Alle bombe Nato sui colleghi della televisione di Belgrado, ai curdi di Kobane, alle donne afghane illuse e abbandonate, alle doppie morali e alle sovranità sussultanti, sacre ora, relative domani.
So per esperienza che dietro le parole delle guerre c’è il cinismo dei fatti, e la modestia preziosa e ingannata delle vite della gente qualunque. Non predico la resa, né fisica né morale: si dice che la Russia può reggere solo dieci giorni di attacco, se Zelesky e i suoi reggono l’urto. E del resto siamo solo spettatori, che possono tifare, stupirsi di una colonna cecena spazzata via, o preoccuparsi di un deposito di scorie radioattive sotto tiro, temere e pregare, guardare o chiudere gli occhi.
Mi sembra però che i leader – e noi tutti – immaginiamo molto come combattere senza farci male (noi, qui) e poco come far cessare il fuoco. Negoziati in Bielorussia? Magari.
Intanto abbraccerei quegli anziani disarmati che rallentano mezzi corazzati, e perfino ne prendono in giro gli occupanti, quella resistenza passiva che forse è la sola distanza possibile a noi vecchi, quando la gioventù mette l’elmetto, e pronuncia parole di marmo, come la gloria. Preferiamo passare alla geografia, nascondendo i cartelli stradali, che alla Storia. Se guerre le hai viste, ogni tregua è buona come il pane.
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