di Gian Pietro Caliari
Nel suo De Officiis, Marco Tullio Cicerone illustra il rapporto fra la Giustizia, come fondamento della Res Pubblica, e coloro che rivestono un officium (una pubblica carica) affinché la Iustitia - come concetto e valore astratto - abbia attuazione concreta nell’ordinamento civile e nella umana convivenza.
A proposito di coloro che sono chiamati ad esercitare una magistratura, Cicerone argutamente osserva: “Cum autem duobus modis, id est aut vi aut fraude, fiat iniuria, fraus quasi vulpeculae, vis leonis videtur; utrumque homine alienissimum, sed fraus odio digna maiore. Totius autem iniustitiae nulla capitalior quam eorum, qui tum, cum maxime fallunt, id agunt, ut viri boni esse videantur. De iustitia satis dictum” (De Officiis I, 41).
“In due modi poi si può recare offesa: cioè con la violenza o con la frode; con la frode che è propria dell'astuta volpe e con la violenza che è propria del leone; indegnissime l'una e l'altra dell'uomo, ma la frode è assai più odiosa. Fra tutte le specie d'ingiustizia, però, la più detestabile è quella di coloro che, quanto più ingannano, più cercano di apparire galantuomini. Basti ciò, che è stato detto, per la giustizia”.
L’indegno e indecoroso spettacolo, cui abbiamo attoniti assistito, la scorsa settimana, per l’elezione del nuovo Capo dello Stato e che si è, miseramente, concluso con la rielezione del Presidente della Repubblica già in carica, non può lasciare indifferenti.
L’ultimo miserabile straccio, infatti, che ancora copriva le pubenda incancrenite di una classe dirigente, imbelle e priva di ogni elementare cultura politica e di ogni minima dignità costituzionale, è stato così stracciato e rimosso!
I rappresentanti della Nazione - come recita ancora la comatosa Costituzione della Repubblica all’articolo 67 - sono apparsi in tutta la loro miseranda condizione morale, culturale e ideale, prima ancora che politica.
Direbbe Cicerone: “Fra tutte le specie d'ingiustizia, però, la più detestabile è quella di coloro che, quanto più ingannano, più cercano di apparire galantuomini” (Ibidem).
Parafrasando, poi, l’Arpinate: i parlamentari e i delegati regionali hanno ingannato fingendo d’essere dei galantuomini, hanno agito invece come una volpe, con frode, cosa indegna in un’uomo, vile e criminale in dei magistrati della Repubblica!
L’elezione del Capo dello Stato si è trasformata, così, nell’ultimo atto, forse irreversibile, di un complotto sistemico che dura ormai da oltre due anni.
Il diabolico esperimento d’ingegneria sociale, travestito come un’immonda Drag Queen da pandemonio pandemico, e di cui - come denunciato da un numero crescente di osservatori d’oltre Oceano - sono vittime designate i cittadini italiani e con loro la Costituzione, “la più bella del mondo”, che pure “il popolo sovrano” aveva difeso con il referendum del 4 dicembre 2016, dal vile attacco di un altro aspirante padrone del Caos.
Di fronte al funereo spettacolo di un intero Paese ingannato, asservito, diviso e vilipeso, hanno orrore e commiserazione quei nobili Padri della Repubblica, che il 6 febbraio 1947 così presentavano per la votazione finale all’Assemblea Costituente, il nuovo progetto di Costituzione Repubblicana.
“Onorevoli Colleghi! — Liberata da un regime funesto di servitù, ritemprata dalle forze vive della resistenza e del nuovo ordine democratico, l’Italia ha ripreso il suo cammino di civiltà e si è costituita a Repubblica, sulle basi inscindibili della democrazia e del lavoro”, (Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione, Meuccio Ruini). [manca l'unico Fondamento che può fecondare l'azione dell'uomo -ndr]
Sempre quei nobili Padri, giustificando l’assenza di un preambolo costituzionale e motivando la ragione per la quale i diritti fondamentali dei cittadini erano stati “costituzionalizzati” nei primi articoli della Carta Fondamentale osservavano: “Preliminare ad ogni altra esigenza è il rispetto della personalità umana; qui è la radice delle libertà, anzi la libertà, cui fanno capo tutti i diritti che ne prendono il nome. Libertà vuol dire responsabilità. Né i diritti di libertà si possono scompagnare dai doveri di solidarietà di cui sono l’altro ed inscindibile aspetto. Dopo che si è scatenata nel mondo tanta efferatezza e bestialità, si sente veramente il bisogno di riaffermare che i rapporti fra gli uomini devono essere umani” (Ibidem).
Ancora gli stessi nobili Padri, infine, si rifiutarono deliberatamente d’inserire nella Carta Fondamentale della Repubblica il dispositivo dello “stato d’emergenza”, come osservato dall’allora Presidente della Corte Costituzionale il 28 aprile 2020: “La nostra Costituzione non contempla un diritto speciale per lo stato di emergenza sul modello dell’art. 48 della Costituzione di Weimar o dell’art. 16 della Costituzione francese, dell’art. 116 della Costituzione spagnola o dell’art. 48 della Costituzione ungherese. Si tratta di una scelta consapevole. Nella Carta costituzionale non si rinvengono clausole di sospensione dei diritti fondamentali da attivarsi nei tempi eccezionali, né previsioni che in tempi di crisi consentano alterazioni nell’assetto dei poteri” (Relazione annuale della Corte Costituzionale del Presidente Marta Cartabia).
Osservando, poi, che: “La Repubblica ha attraversato varie situazioni di emergenza e di crisi che sono stati affrontati senza mai sospendere l’ordine costituzionale, ma ravvisando all’interno di esso quegli strumenti che permettessero di modulare i principi costituzionali in base alle specificità della contingenza: necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità sono i criteri con cui, secondo la giurisprudenza costituzionale, in ogni tempo deve attuarsi la tutela sistemica e non frazionata dei principi e dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione e dei relativi limiti” (Ibidem).
Necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità, non sono solo concetti giuridici ma sono eminentemente linee di confine fra scelte politiche democratiche e costituzionali, e al contrario imposizioni autoritarie, antidemocratiche, anticostituzionali e liberticide di una repubblica delle banane!
Sempre più evidenze - che con scaltro, disinibito e impudico trasformismo anche le nostre virus-star nazionali e i loro giornali unici del virus vanno man mano ammettendo - dimostrano che in questi due ultimi anni i limiti invalicabili della necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità sono stati oltrepassati.
Ben al contrario, si sono imposte d’imperio su una popolazione impaurita e smarrita obblighi non necessari, non proporzionali, non bilanciati, non giustificabili e non temporanei e, persino, controproducenti rispetto alla diffusione di un virus e alla sua reale gravità.
Un’intera classe politica, ad ogni possibile livello, ha permesso che col favore delle tenebre un oscuro avvocato di provincia trasformasse la Repubblica in democratura che, poi, doveva essere consegnata mani e piedi a un “vile affarista” (Cossiga dixit) della Goldman Sachs!
Di fronte al laido spettacolo di un Paese devastato nella sua tenuta sociale e di una Carta Fondamentale ridotta a carne per porci, i più attendono che - infine e sempre troppo tardi! - la magistratura trovi coraggio e tempo perché il principio di giustiziabilità delle scelte politiche, operate e imposte negli ultimi due anni, trovi piena attuazione.
La nostra Carta vigente, tuttavia, aveva previsto anche queste assenze, per porre rimedio a una classe politica imbelle, incapace e persino traditrice della sovranità del popolo.
La prima, secondo i Padri Costituenti, doveva risiedere nel Presidente della Repubblica: “Più grave e penetrante d’ogni altro intervento è poi la facoltà del Presidente della Repubblica di sciogliere le camere; dopo aver sentito i loro presidenti. L’affermazione di Mirabeau che lo scioglimento è il mezzo migliore di lasciar modo di manifestarsi all’opinione pubblica, che non ha mai cessato di essere la sovrana di tutti i legislatori riecheggia oggi nella dichiarazione di Blum che lo scioglimento delle camere è la chiave di volta di un ordinamento democratico” (Relazione del Presidente della Commissione per la Costituzione, Meuccio Ruini).
Il turpe e osceno spettacolo offerto al Paese dall’Assemblea, che pure ha portato alla sua rielezione dovrebbe, al di là di ogni ragionevole dubbio, convincere il Capo dello Stato ad esercitare, infine, questa grave e penetrante facoltà che è a garanzia della sovranità popolare e, dunque, della sua stessa legittimità ad occupare la suprema magistratura della Repubblica.
Scelta ineluttabile, direbbe Cicerone, se il sommo colle della Repubblica fosse occupato da qualcuno che è, e non solo vuole apparire, un galantuomo!
La seconda, non ebbero timore ad evocarla e indicarla i nobili Padre della Repubblica Italiana: “Al principio di fedeltà ed obbedienza alla pubblica autorità fa riscontro quello di resistenza, quando l’autorità viola le libertà fondamentali. Venne da alcuni espresso il dubbio se in una costituzione che presuppone e si basa sulla legalità possa trovar posto il diritto o piuttosto il fatto della rivolta. Ha anche qui influito il ricordo di recenti vicende; ed è prevalsa l’idea che la resistenza all’oppressione, rivendicata da teorie e carte antichissime, è un diritto e un dovere, del quale non può tacersi, anche e proprio in un ordinamento che fa capo alla sovranità popolare” (Ibidem).
I cultori e professionisti della tanto evocata e celebrata Resistenza al nazi-fascismo, oggi sono dimentichi e muti, anzi si sono trasformati in celebranti del nuovo regime che dallo stato emergenziale si è ora conclamato come stato d’eccezione costituzionale.
Di fronte a una banda di apparenti galantuomini che al di là della legge, al di sopra della legge, e senza legge - come scrisse Agostino d’Ippona - si sono trasformati in una “banda di briganti” (De Civitate Dei, IV), i nobili Padri della Repubblica Italiana ce lo ricordano: “Al principio di fedeltà ed obbedienza alla pubblica autorità fa riscontro quello di resistenza, quando l’autorità viola le libertà fondamentali”.
Che questa resistenza debba essere pacifica, intellettuale, culturale e persino religiosa, di fronte al vile e conclamato tradimento dei chierici - prima che muscolare: questo ça va sans dire!
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