Indice degli articoli su Traditionis custodes e sui Responsa.
Leggo e traduco da La Croix del 10 febbraio, una reazione a Traditionis custodes dell'altra campana, quella dei modernisti. Notevole perché esprime apertis verbis il riconoscimento senza più infingimenti che vige un'altra lex orandi e dunque un'altra lex credendi. Col linguaggio non più definitorio, ma immaginifico e affabulatore introdotto dal concilio [qui].
Insomma, ecco esplicitati i nuovi paradigmi della Chiesa 2.0 di conio conciliarista e la prova lampante dell'ermeneutica di discontinuità mascherata per decenni dalla ratzingeriana cosiddetta continuità nella riforma del nuovo soggetto-Chiesa di conio storicista anziché fondata sull'oggetto-rivelazione. Ed è evidente dall'eloquio degli autori il conseguente spostamento dei cardini su cui si fonda la Fede, di fatto traferiti dalla conoscenza all'esperienza, dalla ragione al sentimento, che scade nel sentimentalismo. La fede retta che implica una spiritualità sana nasce dal connubio equilibrato tra conoscenza ed esperienza.
Il papa attuale sembra incarnare in pieno l'esperienza a scapito della conoscenza, nella prassi ateoretica, nei discorsi approssimativi quando non svianti, privi di approfondimenti e spiegazioni, insieme alle direttive da pena capitale della tradizione, di cui ci inonda. Quanto al testo che segue ci sarebbe da scrivere un volume di confutazioni di una tale congerie di falsità e fraintendimenti che mi pare vadano anche oltre la diminutio riscontrata finora nella messa riformata. Mi limito ad inserire alcune mie chiose - non esaustive ma in base alle immediate risonanze - nei punti incriminati. Ed ora entriamo nel testo.
Il papa attuale sembra incarnare in pieno l'esperienza a scapito della conoscenza, nella prassi ateoretica, nei discorsi approssimativi quando non svianti, privi di approfondimenti e spiegazioni, insieme alle direttive da pena capitale della tradizione, di cui ci inonda. Quanto al testo che segue ci sarebbe da scrivere un volume di confutazioni di una tale congerie di falsità e fraintendimenti che mi pare vadano anche oltre la diminutio riscontrata finora nella messa riformata. Mi limito ad inserire alcune mie chiose - non esaustive ma in base alle immediate risonanze - nei punti incriminati. Ed ora entriamo nel testo.
una opportunità per Cristo! »
L'articolo de La Croix così condensa nell'incipit il succo del testo riportato:
Nuovo contributo al dibattito sul motu proprio di papa Francesco e sulla messa tridentina. Per Aline e Alain Weidert, una coppia di fedeli impegnati nella Chiesa, l'accettazione della vecchia forma della liturgia promuoverebbe “una «contro-testimonianza di fede», «la religione del mea culpa e la riparazione perpetua».
Gli autori evidentemente partono dalla sottolineatura apodittica della Traditionis custodes che riprendo qui: «I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano».
Lo spirito della liturgia di un'altra "fede", la sua teologia, le norme della preghiera e della Messa di ieri (la lex orandi del passato), non possono più, senza discernimento, continuare ad essere le norme della fede odierna, il suo contenuto (la nostra lex credendi). La riluttanza comanderebbe di non pensare troppo al contenuto per non destabilizzare ulteriormente la Chiesa.Tutto il contrario! Una fede che scaturisse ancora dalla lex orandi di ieri, che ha fatto del cattolicesimo la religione di un dio perverso che fa morire suo figlio per placare la sua ira, religione del mea culpa e della riparazione perpetua, porterebbe a una contro-testimonianza di fede, a immagine disastrosa di Cristo. La riprova è l'attivazione ancora troppo frequente di indulgenze, legate tra l'altro a sacrifici di massa, redenzioni per i peccati.
Si parla senza remore di altra fede e altra teologia il che è esattamente speculare alle nostre critiche che riconoscono ecclesiologia e teologia diverse nei due riti, costantemente ignorate finora; non c'è tuttavia da meravigliarsene perché non può esserci dibattito o confronto, posto che si tratta di due fedi diverse... Sulle difformità delle rispettive ecclesiologia e teologia:
- antropocentrica nel Novus Ordo con la diluizione del sacrificio del Signore per effetto della enfatizzazione della “mensa della Parola” e del convito fraterno, con l'Altare trasformato in mensa, il sacerdote presidente dell'Assemblea celebrante e ad essa rivolto in una comunicazione orizzontale.
- teocentrica nel Vetus dove è ben evidente: il Sacrificio espiatorio, propiziatorio, impetratorio, oltre che di lode; l'Offertorio sacrificale; la chiara affermazione della transustanziazione e della presenza reale; il sacerdote celebrante in persona Christi rivolto al Signore insieme all'Assemblea (comunicazione verticale ascendente e discendente).
Parlare del dio perverso che fa morire suo figlio per placare la sua ira purtroppo evoca le parole di Joseph Ratzinger (corsivi miei): «Quale posizione assume la croce in seno alla fede in Gesù considerato come il Cristo? […] In questo campo la coscienza cristiana è in genere ancora largamente improntata ad una grossolana idea della teologia di espiazione risalente ad Anselmo di Canterbury […] Per molti cristiani, e specialmente per quelli che conoscono la fede solo piuttosto da lontano, le cose stanno come se la croce andasse vista inserita in un meccanismo, costituito dal diritto offeso e riparato. Sarebbe la forma in cui la giustizia di Dio infinitamente lesa verrebbe nuovamente placata da un’infinita espiazione [...] Nel Nuovo Testamento invece, la situazione è quasi esattamente l’inversa. Non è l’uomo che s’accosta a Dio tributandogli un dono compensatore, ma è Dio che si avvicina all’uomo per accordarglielo. Per iniziativa stessa della sua potenza amorosa, egli restaura il diritto leso, giustificando l’uomo colpevole mediante la sua misericordia creatrice e richiamando alla vita la creatura morta […]». (in Introduzione al cristianesimo, Queriniana, Brescia 1996, p. 227).
Come meravigliarci dunque di espressioni del genere? Anche se in altri testi Ratzinger/Benedetto si è espresso correttamente, basta ricordare Pio X, nella Pascendi: « avviene che nei loro libri si incontrano cose che ben direbbe un cattolico; ma, al voltar della pagina, si trovano altre che si stimerebbero dettate da un razionalista».
Tra l'altro gli autori citano le indulgenze, di luterana memoria, che comportano - a certe condizioni - la totale o parziale remissione innanzi a Dio della pena temporale dovuta per i peccati (già cancellati per quanto riguarda la colpa), concessa dalla Chiesa ai vivi a modo di completa e definitiva assoluzione, e ai defunti a modo di suffragio. Fanno parte dell'insegnamento costante della Chiesa; ma sono peraltro a margine e chi ama la tradizione le accoglie senza particolari sottolineature.
Proseguono i nostri autori:
Le nostre messe sono malauguratamente marchiate da un forte carattere sacrificale “espiatorio” con uno scopo “propiziatorio” per annientare i peccati (20 volte citati), per realizzare la nostra salvezza e per salvare le anime dalla vendetta divina. “Propiziazione” che le comunità dell' Ecclesia Dei difendono giustamente con le unghie e con i denti con i loro sacerdoti - sacrificatori, formati per dire il Santo Sacrificio della Messa, vera immolazione.
Ricordiamo che il Santo sacrificio, l'Eucaristia - che non è una Cena, ma è anche e non soltanto immolazione e solo dopo la consacrazione diventa banchetto escatologico - si offre a Dio per i seguenti fini (vedi in seguito l'aspetto del culto pubblico):
- per onorarLo come si conviene, e per questo si chiama latreutico
- per ringraziarLo dei suoi benefici, e per questo si chiama eucaristico;
- per darGli la dovuta soddisfazione dei nostri peccati, e per questo espiatorio
- per suffragare le anime del purgatorio; e per questo propiziatorio;
- per ottenere tutte le grazie che ci sono necessarie, e per questo impetratorio.
Riprendo ancora le parole di Joseph Ratzinger, che nel testo sopra citato afferma anche: "Non è l’uomo che s’accosta a Dio tributandogli un dono compensatore, ma è Dio che si avvicina all’uomo per accordarglielo...". C'è tutta la consonanza con l'ecclesiologia e la teologia del NO, nella quale è l'Assemblea che celebra e non il sacerdote in Persona Christi ed essa offre a Dio "il frutto della terra e del nostro lavoro" in ringraziamento per la Creazione, mentre nell'Offertorio della messa Tridentina - che non proviene da Trento ma dall'epoca apostolica - l'offerta dell'Assemblea (e quella di ogni singolo credente che ne fa parte) si inserisce dopo la Consacrazione, a sacrificio compiuto, ri-presentato al Padre in ogni Santa Messa. Ed è tutta presente SOLO nell'offerta del Figlio e ad essa conseguente. Il Sacerdote - e l'Assemblea attraverso lui - non offre "il frutto della terra e del nostro lavoro", ma nell'offertorio già offre le "oblate" (ciò che è destinato a divenire il Corpo e Sangue del Signore). Quindi non si tratta di un inno ebraico al Creatore (berakàh, preghiera di benedizione) ma è già una "prolessi", cioè l'anticipazione, la preparazione a quello che è il momento culminante sia del Rito che della Storia: l'espiazione al nostro posto per ri-generarci nella "creazione nuova" con la Risurrezione.
Ovvio che è sempre Dio che ci precede e si accosta a noi. Ma il dono compensatore esiste ed è l'obbedienza fino alla fine del Figlio, il "fiat voluntas tua" del Getsemani, che ribalta un tragico non serviam che ha coinvolto anche l'uomo e ha introdotto il male e la morte nella Creazione. Riguarda il rapporto dell'uomo con Dio che Cristo Signore, nella Sua umanità, ha ripristinato come vittima di espiazione sulla Croce. Non è l'umanità che offre, ma il Figlio, al posto di ogni uomo, che è chiamato ad accogliere in Lui la redenzione e la conseguente rigenerazione.
Si può approfondire [qui] la dinamica della nostra offerta in Cristo, desunta dalla mistagogia (progressiva introduzione ai misteri) del Rito Romano non riformato e [qui] le variazioni dell'Offertorio trasformato in berakah.
Prosegue il testo dei due autori:
Il numero delle messe di riparazione per loro rasenta l'ossessione, tanto che dieci sacerdoti che concelebrano con il loro vescovo rappresentano nove sacrifici in meno per la salvezza delle anime! Il numero dei segni della croce (47) rasenta la magia. “Il sacramento dell'Eucaristia” è sempre un “antidoto” ai peccati (Concilio di Trento 23a sessione).
E così diventa un'ossessione anche la riparazione mentre quella che noi chiamiamo e sperimentiamo come opera di Cristo viene etichettata come magia! Perché se ne ignora la solennità sacrale completamente sparita nell'attuale orizzontalismo banalizzante. Ed è proprio in quella solennità sacrale che anche le ripetizioni rappresentano una santa routine che accende l'attenzione sull'importanza dell'invocazione o del gesto ripetuti e aiuta il sempre ulteriore approfondimento di ciò che essi significano e veicolano nel credente che partecipa sapendo ciò che accade.
Cito Martin Mosebach: "Lo stesso rito è ripetizione, ma è sempre nuovo nel sacrificio di Cristo che è reso presente come fosse la prima, ultima, unica volta. E nella gradualità del rinnovarsi consente che si sperimenti e si attinga la forza di ritrovarsi a casa".
E veniamo alla concelebrazione che, per effetto dei Responsa, sarà la spina nel fianco per gli Istituti ex Ecclesia Dei. Cito qui una magistrale dichiarazione di Padre Enrico Zoffoli, un passionista che molto si è speso per riaffermare l'insegnamento costante della Chiesa:
« Non esito a rispondere che tutti celebrano una sola Messa, se veramente con-celebrano. Infatti: se nella Messa individuale uno è il ministro offerente, in quella concelebrata sono molti; tali però solo fisicamente, non moralmente; distinzione che, a mio parere, è sufficiente a risolvere la controversia. In realtà: unico è l'altare..., unica la materia da consacrare..., unica la consacrazione..., unico il tempo della pronunzia delle parole della medesima...; unico il sacerdozio ministeriale messo in evidenza dalla concelebrazione... Tutti, dunque, rappresentano e si comportano come se fossero (formassero) UN SOLO MINISTRO con l'intenzione di compiere una sola azione liturgica: «Multi sunt unum in Christo...» (S. Th., III, q.82, a.2, 3um). L'importante è che «omnium intentio debet ferri ad idem instans consecrationis» (iv., c.). Ha un senso inequivocabile dunque la "Declaratio de concelebratione" (7.8.1972): «Praecipua habetur manifestatio Ecclesiae in UNITATE SACRIFICII ET SACERDOTII IN UNICA gratiarum actione circa unum altare».
Ciò che non si verificava quando in una chiesa o cappella (specialmente di grandi comunità religiose) 20-40 sacerdoti, contemporaneamente celebravano in altrettanti altari, compiendo ciascuno - indipendentemente dagli altri, e quindi per conto proprio - quanto occorreva per celebrare. Se, oggi, "concelebrando" 100 sacerdoti, risultassero 100 messe, quante ieri ne risultavano quando ciascuno dei 100 sacerdoti "celebrava" per conto suo, a che scopo la "concelebrazione"?... che senso avrebbe?... come essa potrebbe ritenersi manifestazione dell'unità del sacerdozio?... ».
La concelebrazione, oggi tanto abusata in ogni dove, tanto che sembra che una messa sia tanto più "solenne" quanto più alto il numero di concelebranti, priva la Chiesa, e le anime in essa, di un'infinità di grazie. In ogni caso il diritto della Chiesa riconosce che la libertà di ciascun sacerdote di celebrare individualmente deve essere rispettata (Can. 902 CIC). La questione della concelebrazione eucaristica, presentata nei Responsa come indispensabile gesto eloquente per vivere la comunione ecclesiale, richiederebbe una lunga trattazione che oltrepassa l'ambito di questo scritto.
« Non esito a rispondere che tutti celebrano una sola Messa, se veramente con-celebrano. Infatti: se nella Messa individuale uno è il ministro offerente, in quella concelebrata sono molti; tali però solo fisicamente, non moralmente; distinzione che, a mio parere, è sufficiente a risolvere la controversia. In realtà: unico è l'altare..., unica la materia da consacrare..., unica la consacrazione..., unico il tempo della pronunzia delle parole della medesima...; unico il sacerdozio ministeriale messo in evidenza dalla concelebrazione... Tutti, dunque, rappresentano e si comportano come se fossero (formassero) UN SOLO MINISTRO con l'intenzione di compiere una sola azione liturgica: «Multi sunt unum in Christo...» (S. Th., III, q.82, a.2, 3um). L'importante è che «omnium intentio debet ferri ad idem instans consecrationis» (iv., c.). Ha un senso inequivocabile dunque la "Declaratio de concelebratione" (7.8.1972): «Praecipua habetur manifestatio Ecclesiae in UNITATE SACRIFICII ET SACERDOTII IN UNICA gratiarum actione circa unum altare».
Ciò che non si verificava quando in una chiesa o cappella (specialmente di grandi comunità religiose) 20-40 sacerdoti, contemporaneamente celebravano in altrettanti altari, compiendo ciascuno - indipendentemente dagli altri, e quindi per conto proprio - quanto occorreva per celebrare. Se, oggi, "concelebrando" 100 sacerdoti, risultassero 100 messe, quante ieri ne risultavano quando ciascuno dei 100 sacerdoti "celebrava" per conto suo, a che scopo la "concelebrazione"?... che senso avrebbe?... come essa potrebbe ritenersi manifestazione dell'unità del sacerdozio?... ».
La concelebrazione, oggi tanto abusata in ogni dove, tanto che sembra che una messa sia tanto più "solenne" quanto più alto il numero di concelebranti, priva la Chiesa, e le anime in essa, di un'infinità di grazie. In ogni caso il diritto della Chiesa riconosce che la libertà di ciascun sacerdote di celebrare individualmente deve essere rispettata (Can. 902 CIC). La questione della concelebrazione eucaristica, presentata nei Responsa come indispensabile gesto eloquente per vivere la comunione ecclesiale, richiederebbe una lunga trattazione che oltrepassa l'ambito di questo scritto.
È da questa parte sommersa della Messa tridentina da cui dobbiamo continuare ad emergere, una deriva storica curiosamente passata sotto silenzio (tabù?) nei dibattiti attuali. Dal Concilio Vaticano II abbiamo fatto molta strada, fino al patto iniziale di un'Eucaristia positiva, di un “Fate questo in memoria di me! dove tutti sono invitati a partecipare quotidianamente al Sacramento dell'Alleanza : «Come quest'acqua si mescola al vino per il sacramento dell'Alleanza, uniamoci alla divinità di Colui che ha preso la nostra umanità». Sacramento dell'Alleanza, un concetto nuovo in questa preghiera dal Vaticano II.
Nel 2022 la Chiesa è, pastoralmente, ferma. Se vogliamo poter offrire in futuro una gustosa fede e pratica cristiana, dobbiamo avventurarci, attraverso la riflessione e la formazione, a scoprire un fondo di salvezza ancora inesplorato (non sfruttato) di Gesù, non prima della sua morte contro (“per”) i peccati ma la sua esistenza come Patto. «Perché è la sua umanità, nell'unità della persona del Verbo, che è stata lo strumento della nostra salvezza». (Vaticano II Sacrosanctum concilium 5) La scelta è chiara! Non tra diverse sensibilità religiose ed estetiche, ma tra infiniti sacrifici per cancellare i peccati ed eucaristie che suggellano l'Alleanza/Cristo.
Il Sacramento dell'Alleanza non è un concetto nuovo del Vaticano II in questa preghiera, che peraltro è presente anche nel Rito antico. Resta da stabilire cosa si intende... Da notare che il Fate questo in memoria di me, il Signore lo pronuncia subito dopo la Consacrazione e dunque significa: Offritevi al Padre come ho fatto io! E quel 'memoria', non è un semplice ricordo, ma lo ziqqaron ebraico= riattualizzazione!
L'affermazione del partecipare quotidianamente al sacramento dell'Alleanza evoca la necessità di una vita eucaristica, il Rito che diventa vita vissuta. Ma questo non è mai stato trascurato né viene impedito dal Rito antico, vissuto come sacrificio, compiuto il quale si può partecipare al banchetto escatologico della Santa comunione col Risorto, che però prima di risorgere si è fatto vittima ed è morto in Croce. Ed è proprio dall'Eucaristia sacramento che veniamo trasformati e resi capaci di fare della nostra vita un “sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” come ci ricorda San Paolo in Romani,12.
E se nell'acqua mescolata al vino possiamo vedere l'Incarnazione, Colui che ha preso la nostra umanità lo ha fatto per redimerla dal peccato, espiandone le conseguenze sulla Croce, e ricollocarla, rigenerata dalla Risurrezione, alla destra del Padre. La storia della salvezza, infatti culmina con l'Ascensione... E non possiamo veder congiunta la nostra umanità alla Persona divina del Salvatore se non lo seguiamo anche sulla Croce. La Nuova ed eterna Alleanza emerge dall'Incarnazione e dalla Redenzione, prima che dalla Risurrezione.
L'affermazione del partecipare quotidianamente al sacramento dell'Alleanza evoca la necessità di una vita eucaristica, il Rito che diventa vita vissuta. Ma questo non è mai stato trascurato né viene impedito dal Rito antico, vissuto come sacrificio, compiuto il quale si può partecipare al banchetto escatologico della Santa comunione col Risorto, che però prima di risorgere si è fatto vittima ed è morto in Croce. Ed è proprio dall'Eucaristia sacramento che veniamo trasformati e resi capaci di fare della nostra vita un “sacrificio vivente, santo, gradito a Dio” come ci ricorda San Paolo in Romani,12.
E se nell'acqua mescolata al vino possiamo vedere l'Incarnazione, Colui che ha preso la nostra umanità lo ha fatto per redimerla dal peccato, espiandone le conseguenze sulla Croce, e ricollocarla, rigenerata dalla Risurrezione, alla destra del Padre. La storia della salvezza, infatti culmina con l'Ascensione... E non possiamo veder congiunta la nostra umanità alla Persona divina del Salvatore se non lo seguiamo anche sulla Croce. La Nuova ed eterna Alleanza emerge dall'Incarnazione e dalla Redenzione, prima che dalla Risurrezione.
Se c'è qualcosa da esplorare nella Tradizione (Scrittura e rivelazione apostolica) non si devono cercare nova, cioè cose nuove; ma si possono approfondire nove, in maniera nuova, i principi che ci sono stati consegnati in via definitiva (il lerinense, ripetutamente citato, docet).
Sulla ripetizione di infiniti sacrifici vedi supra.
Dicono che la Chiesa è pastoralmente ferma. Ma stanno parlando della Liturgia e si esprimono come se la Liturgia dovesse essere sottoposta ad una costante evoluzione e addirittura in base a criteri di sinodalità, invece che ad uno sviluppo organico fondato sulla fede vissuta e non sulle mode del tempo.
Diciamo che il Papa, primo tra i vescovi e come ognuno di essi, è custode, padre e pastore. E come tale deve difendere ciò che anch’egli ha ricevuto. La liturgia, come la storia della Chiesa, è una. Essa nel tempo certamente si sviluppa, ma in maniera organica. Un seme di grano non può diventare un albero di mele. Un sacrificio non può diventare una cena. La storia della Chiesa conosce un solo sviluppo, non può esserne ignorata una parte che non piace, mettendola tra parentesi. (Ci ho scritto un libro: vedi)
Sulla ripetizione di infiniti sacrifici vedi supra.
Gesù ne ha celebrato uno solo
Ciò che sarebbe grave non è che ci siano meno messe per mancanza di sacerdoti, ma che la vita del battezzato non sia alleanza, vita offerta, parola data. La Messa, fonte, vertice e centro non significa ripetitiva, esclusiva. Gesù ne celebrò solo uno, ma tutta la sua esistenza fu Eucaristia, Sacramento dell'Alleanza.
Sulla ripetizione, sul vivere un'esistenza eucaristica e sul Sacramento dell'Alleanza, vedi supra.
È dunque la vita del battezzato, intesa come Sacramento-Alleanza-Eucaristia, che salverà la forma-Chiesa esausta e crollata. L'acqua umana assume il colore del divino, il vino assume il sapore dell'acqua, la loro “unità”, la loro alleanza, è un vero “strumento di salvezza”. Fine dell'ossessione del peccato, è solo «l'altra faccia» della salvezza (Catechismo della Chiesa Cattolica 389).
Sarà esausta e crollata la forma-Chiesa che non ha niente a che vedere con l'Una Santa Cattolica Apostolica di istituzione divina che, proprio perché tale, è sopravvissuta e sopravviverà alle infedeltà e alla corruzione di clero e gerarchie. Il resto è un ulteriore esempio di retorica conciliare dall'orizzonte terreno e materialista. Non si comprende il senso del riferimento all'articolo del catechismo, che tra l'altro cita Rm 5, 12-21 [1] e afferma che non si può intaccare la rivelazione del peccato originale senza attentare al mistero di Cristo.
Se si potranno attivare passi sinodali, sarà per continuare ad avviare questo nuovo patto di salvezza: non più la ricerca ossessiva della riparazione ma l'annuncio di tutto l'Uomo-Cristo, allo stesso tempo Figlio dell'uomo e figlio di Dio. Un invito a camminare verso la mandorla di Cristo, forte simbolo di alleanza, incrocio di due cerchi: l'Uomo e Dio
Linguaggio simbolico di una possibile coesistenza dell'umano e del divino (acqua e vino) e quindi della risurrezione dell'uomo, espressione di cui Cristo sono eredi tutti i battezzati, a quella eredità cristiana (compito eucaristico) tutti sono invitati. Invitati non a un culto pubblico per implorare Dio di essere a noi favorevole, non tanto invitati nemmeno a una ristrutturazione della Chiesa o delle parrocchie, quanto a una figura di Cristo del tutto nuova.
Sui passi sinodali e la sinodalità, come pure sulla coesistenza tra l'umano e il divino vedi supra.
Sul culto pubblico dimenticano che primaria
funzione della liturgia è lo ius divinum [2] al culto
autentico che diventa, poi, il “luogo” privilegiato
in cui l’Actio divino-umana ed eterna del Figlio opera
sul credente e feconda la vita di fede e quella
quotidiana.
Le corrispondenti definizioni della Sacrosanctum
Concilium e del Catechismo, de voce, smentiscono
la rottura; ma, de facto, essa risulta drammaticamente
e inequivocabilmente confermata dai
molti raffronti tra le due diverse ecclesiologie e
teologie che sostanziano il rito dei secoli e quello riformato nonché dai frutti della rivoluzione conciliare raccolti nell’ultimo
cinquantennio .
__________________________________1. Rm 5, 12-21 Quindi, come a causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e con il peccato la morte, così anche la morte ha raggiunto tutti gli uomini, perché tutti hanno peccato. Fino alla legge infatti c'era peccato nel mondo e, anche se il peccato non può essere imputato quando manca la legge, la morte regnò da Adamo fino a Mosè anche su quelli che non avevano peccato con una trasgressione simile a quella di Adamo, il quale è figura di colui che doveva venire. Ma il dono di grazia non è come la caduta: se infatti per la caduta di uno solo morirono tutti, molto di più la grazia di Dio e il dono concesso in grazia di un solo uomo, Gesù Cristo, si sono riversati in abbondanza su tutti gli uomini. E non è accaduto per il dono di grazia come per il peccato di uno solo: il giudizio partì da un solo atto per la condanna, il dono di grazia invece da molte cadute per la giustificazione. Infatti se per la caduta di uno solo la morte ha regnato a causa di quel solo uomo, molto di più quelli che ricevono l'abbondanza della grazia e del dono della giustizia regneranno nella vita per mezzo del solo Gesù Cristo. Come dunque per la colpa di uno solo si è riversata su tutti gli uomini la condanna, così anche per l'opera di giustizia di uno solo si riversa su tutti gli uomini la giustificazione che dà vita. Similmente, come per la disobbedienza di uno solo tutti sono stati costituiti peccatori, così anche per l'obbedienza di uno solo tutti saranno costituiti giusti. La legge poi sopraggiunse a dare piena coscienza della caduta, ma laddove è abbondato il peccato, ha sovrabbondato la grazia, perché come il peccato aveva regnato con la morte, così regni anche la grazia con la giustizia per la vita eterna, per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore.
2. Esiste uno ius divinum al culto che è il riconoscimento
del primato di Dio su ogni cosa. Si realizza facendo convergere
su Lui tutte le attività — personalmente e comunitariamente
— attraverso la virtù di religione, come ci ricorda la
Mediator Dei. Dunque riguarda l’intera esistenza e tutti i
suoi ambiti ed è funzione primaria della Chiesa come corpo
mistico di Cristo e popolo sacerdotale: pensiamo al sacerdozio
battesimale, sia pur distinto in grado ed essenza da quello
ordinato. Ristabilisce inoltre il giusto rapporto fra Dio e la
sua creazione, a Lui ordinata, a partire dall’uomo, unica creatura
terrena creata a Sua immagine. Viene espresso anche
in atti e riti pubblici. Esiste quindi uno ius liturgicum: la
Chiesa ha sempre concepito la liturgia come il suo culto pubblico
ufficiale e quindi ha regolato gli atti e i riti che lo
sostanziano ed esprimono le verità di fede professate. Tutte
le norme sono indirizzate a questo giusto rapporto, dal quale
dipende la salvezza del mondo, e così devono essere rispettate
come comando di Dio e non come invenzione dell’uomo.
Non è possibile focalizzare tutto sulla Risurrezione, che costituisce la verità di fede,se non si interiorizza la portata divisiva del peccato,per accedere al dono di grazia dell'Eucaristia.La sutura dello scollamento richiederebbe la formazione mistagogica del sacerdote,cosa a mio avviso mancante nel vetus e nel novus ordo,a motivo principalmente della frequente insufficienza di conoscenza esperienziale della portata creativa della vita dello Spirito.Questa insufficienza ha portato e porta all'intellettualita' di fede senza cuore o viceversa alla pratica di cuore senza fede. Questa è la profonda ragione della sostanziale perdita della verità sponsale che la bellezza della liturgia dovrebbe incarnare e trasmettere.
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