Totalitarismo percettivo
Si spenderanno fiumi di inchiostro per descrivere questa coscrizione coattiva e massificata del consenso: si parlerà di ipnosi estesa, si parlerà di mediocrità del Male, si parlerà di convergenze psico-sociali, storiche, più o meno plausibili, più o meno ficcanti. Viviamo una parentesi allucinatoria e soverchiante all'interno della quale ogni regola di buon senso è stata letteralmente polverizzata: il nostro mondo - come attraversato uno specchio magico - si è improvvisamente capovolto, quando non liquefatto. In realtà quel "quid" che riassuma esaustivamente la totalità di questa deriva schizoide non verrà mai isolato - per usare una terminologia cara ai poltronari sadosanitari - se non indagando a fondo e con onestà il rapporto che intercorre tra il Corpo Sociale, il Corpo Fisico e il Corpus Percettivo.
Il Corpo Sociale definisce tutte le connessioni psicologiche, sociali, economiche, che traghettano il grande flusso del comune sentire. È l'insieme non solo delle persone, ma delle vite delle persone e del modo in cui quelle stesse vite vengono vissute e regolate all'interno di una Società.
Il Corpo Fisico - nella mia definizione sintetica - è la risultanza dei rapporti più o meno armoniosi tra la nostra carne e il nostro spirito. È il Corpo che ci sentiamo addosso singolarmente, e può essere leggero come una spuma o pesante come una montagna. Può essere vibrante e in salute oppure tumefatto e canceroso.
Il Corpus Percettivo invece è l'irradiazione volontaria di stimolazioni e percetti finalizzati a creare un frame, un recinto, entro il quale il Corpo Sociale e il Corpo Fisico sono abilitati ad esistere. Il Corpus percettivo è di natura artificiale, solitamente eterodiretto, ma può ingenerare "varianti" - sempre per usare un lessico abusato dai satrapi di corte - che prendono vita e fioriscono spontaneamente, talvolta controllabili, talvolta no.
Una facile (e piuttosto sintetica) triangolazione delle tre categorie potrebbe fornire un indirizzo di indagine, un suggerimento, un tracciato per chi voglia comprendere meglio la situazione che viviamo.
Il Corpus Percettivo entra in diretta e profonda relazione con il Corpo Fisico, lo si potrebbe definire una sorta di "entanglement" quantistico. Se il Corpus Percettivo modula - come nel nostro triste caso - la sensazione radicale di una emergenza vasta, ecco che il Corpo Fisico (sintesi, lo ricordo, del corpo biologico e di quello sottile) comincia a tremare, a secernere paura e terrore. Paura e terrore che dal Corpo Fisico passano giocoforza al Corpo Sociale ridefinendone le connessioni dalla radice e apparecchiando normazioni che ne regolino le interazioni interne. D'altro canto il Corpus Percettivo per produrre effetti ha bisogno che il Corpo Fisico sia debilitato, malaticcio, permeabile. È così che si relaziona direttamente anche al Corpo Sociale edificando relazioni di Potere che transitano attraverso l'impoverimento Culturale e Valoriale. Il meccanismo del "biasimo sociale" è una perfetta prigione inodore, e per generare la polarizzazione necessaria all'innesco del biasimo serve una sapiente grammatura dell'intrattenimento - come spiegato egregiamente ne "La Società dello Spettacolo" del buon DeBord e come vaticinato da altri testi più "famigerati".
In sintesi - per esser pratici - nessun "patogeno" d'Oriente avrebbe così fortemente potuto rimodulare il Corpo Sociale se non ci fosse stato a priori un Corpo Fisico pronto a riceverne le stimolazioni di terrore, di paura atavica, un Corpo Fisico drammaticamente e intenzionalmente svuotato d'ogni essenza da una pervicace riplasmazione operata dal Corpus Percettivo durante gli ultimi decenni. A riprova di quanto si sostiene basti osservare la facile constatazione che i più oscenamente immersi nella liquefazione totalitaria sono quelli che si "informano" per mezzo dei teleschermi ossessivi, che ascoltano un'unica verità monodirezionata, che insistono sul frame scontornato da essi stessi e oltre al quale non è dato andare. (Uriel Crua)
politico-oligarchica avida e lugubre
Immediatamente dopo la rielezione di Mattarella, la pubblica opinione è stata incantata con il ritornello che la sua riconferma fosse segno di stabilità, un argine al caos; lo stesso Mattarella, nel discorso d’inaugurazione, ha cercato di investire il rigore costituzionale di colui che conferisce identità unitaria agli italiani, ergendosi alla figura paterna che deve proteggere il popolo dalle sue pulsioni irrazionali e dal demagogo di turno che se ne potrebbe approfittare. Paradossalmente è stato proprio Silvio Berlusconi, il demagogo per antonomasia, a dare maggiore credibilità alla sceneggiata istituzionale della rielezione di Mattarella, rifiutando la propria candidatura e sostenendo la riconferma di quest’ultimo. Perché, come diceva Oliviero Beha, il ruolo del “buffone di Arcore” nel campo oligarchico è proprio questo – di dare un alibi ad altri politici e affaristi italiani, in quanto la sua impresentabilità consente di coprire e offuscare fenomeni altrettanto impresentabili quanto lui.
Quando nel 2011 il Governo Monti, quello dei competenti, doveva trovare una legittimazione dell’effettivo colpo di Stato con cui si era insediato, la giustificazione era di dover salvare l’Italia con politiche impopolari di austerità, perché uno come Berlusconi, che voleva piacere agli elettori, non ne era capace e avrebbe trascinato il paese verso un debito catastrofale (che in ultima istanza è stato gonfiato dallo spread, e non dalla spesa pubblica). Nulla di più falso di tale premessa. Pur promuovendo qualche politica di ampio consenso, Berlusconi è stato tutt'altro che contrario alle politiche di austerità, in quanto è stato lui a fondare nel 2005 l’Equitalia. E sempre nello stesso anno il suo governo ha introdotto l’aumento dell’età pensionabile, dopo che nel 2003 aveva imposto una durissima legge sulla precarizzazione del lavoro, mentre nel 2010 l’ultimo suo governo congelò gli stipendi dei lavoratori statali. In realtà, l’unico gesto di generosità che Berlusconi ha saputo elargire agli italiani è stato quello di alimentare la narrazione mediatica di osceni gossip e leggende metropolitane sulla sua vita privata, qualcosa di inimmaginabile per gli attuali governanti e leader, la cui vita privata emana altrettanto grigiore e asfissia come le rispettive azioni politiche.
Tornando alla manipolazione narrativa dell’ultimo decennio, iniziata con l’esordio politico di Mario Monti, possiamo scoprire che, secondo i dati Istat/Banca d’Italia, il debito pubblico nell’anno della caduta del Governo Berlusconi, il 2011, è al 116% del PIL, mentre alla fine del 2012, dopo oltre un anno di ‘salvataggio’ da parte del Governo Monti, è al 123% del PIL (oggi con Draghi è al 160% del PIL), quindi in costante aumento: e si tratta non solo in rapporto al PIL, ma anche in assoluto. I mitici mercati non si erano fatti intenerire dai drastici tagli di Monti e per abbassare i tassi ci è voluto poi l’intervento della BCE. Ma questa ‘anomalia’ si è verificata ancora prima dell’euro, nel 1993, l’anno in cui il Governo Amato/Ciampi ha istituito la tassa sulla prima casa, poco dopo che Amato aveva eseguito il primo prelievo forzoso sui conti correnti degli italiani, il che ha fatto sì che il debito pubblico aumentasse di oltre 10 punti rispetto all’anno precedente. Questo fa capire come il presunto nesso tra le politiche di austerità e la riduzione del debito non ha nessun riscontro nei dati.
Similmente come con le misure anti-Covid, [lesive in primo luogo della libertà e dignità della persona -ndr], lesive oltre tutto degli interessi del ceto medio, l’opinione pubblica è stata abituata a credere che tagliare i redditi da lavoro e tassare la piccola proprietà immobiliare sono garanzia di serietà, di buongoverno e di progresso. A quelli che si fidano dei governi “dei competenti” è doveroso spiegare che quando si tassa e si taglia, cioè quando si fanno politiche impopolari con il pretesto di un’emergenza, lo si fa per trasferire reddito e ricchezza a favore delle oligarchie, e non per ridurre le spese o per proteggere il popolo da pericolose avventure. Il dogma del ruolo salvifico di Draghi va spacciato come narrazione dominante nonostante il disfacimento economico del paese, e dato che oramai una redistribuzione del reddito verso i lavoratori è inconcepibile, ecco l’arrivo del Green pass come misura politica (fondata su false premesse sanitarie) per distribuire in modo controllato e razionato libertà e diritti, cioè attribuire premialità agli stessi valori che prima erano disponibili e inviolabili: la versione italiana del credito sociale cinese, solo che a ribasso di reddito e di QI.
Con i governi Conte/Draghi ci è stato anche un altro elemento di novità: stando alla relazione della Commissione parlamentare antimafia del giugno 2021, si apprende che i lockdown hanno determinato una concentrazione forzosa di capitali a favore del crimine organizzato, e quindi anche della finanza globale, visto che quest’ultima ricicla i proventi della criminalità per farli rientrare nei circuiti internazionali. Secondo la relazione, le stesse forniture e servizi legati al Covid sono stati infiltrati da organizzazioni speculative e di truffa. Possiamo dire, quindi, che lo Stato ha usato le forze dell’ordine per impedire alle persone per bene di lavorare e produrre reddito, consegnando un numero imprecisato di imprenditori all’usura e al “welfare alternativo” del crimine organizzato. Con il Super green pass invece migliaia di piccole imprese sono costrette a ridimensionarsi con il lavoro, e persino il semplice titolare di un bar, che non controlla il lasciapassare al cliente, rischia di diventare un fuori legge.
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