Era ora, ce l’hanno fatta a concretizzare la tanto agognata transizione ecologica! L’operazione Greta non è quindi stata vana, non è più il sogno adolescenziale di masse teleguidate da istituzioni in trance ecosostenibile. Tutti d’accordo allora ad abbandonare il petrolio e il cattivo gas russi per passare al gas di scisto americano, e chi se ne frega che sia più inquinante del gas tradizionale e che abbia un impatto ambientale devastante nelle zone di estrazione e che a noi costa più del 30% di quello “di Putin”. Il grande Totò avrebbe detto: «E che sono io Pasquale?» intanto che rideva e prendeva schiaffi.
Biden, bontà sua, ricorda a noi europei che la carenza di cibo sarà un’emergenza reale, e perché diventi davvero realtà e non solo promessa è opportuno procedere con le sanzioni e, soprattutto, con l’invio di aiuti “umanitari” all’Ucraina. Von der Leyen non può che approvare entusiasta, figuriamoci il sempre prono Draghi, pronto a precisare che lui al super vertice Nato, per quanto riguarda le armi, ha ribadito l’impegno preso da tutti gli altri governi del Patto atlantico, così l’Italia da 70 milioni di euro al giorno per spese militari passa a 100 milioni. Mentre la recessione proietta beffarda la sua ombra sul nostro futuro ravvicinato.
L’Ucraina non è nella Nato, ma è anni che da Vicenza partono istruttori per addestrare personale in quelle basi che solo apparentemente sono ucraine; e i russi, che non sono certo dei fessacchiotti, molte di quelle strutture le stanno distruggendo sapendo bene che non sono strutture militari ucraine bensì della Nato (cosa che la nostra informazione con l’elmetto naturalmente si guarda bene dal farci sapere). Intanto il segretario generale della Nato Stoltenberg ci fa sapere che schiererà quattro nuovi “gruppi da battaglia” (portando a otto i gruppi tattici baltici schierati nel mar Nero) nei paesi del suo fianco orientale (Bulgaria, Romania, Ungheria, Slovacchia).
Alla “libera” Europa, che mai come in questa congiuntura mostra di essere una dipendenza Usa, viene impedito di continuare sulla strada delle relazioni commerciali con la Russia, compromettendo così in modo assai grave la possibilità di garantirsi quelle fonti di approvvigionamento (gas, grano, mangimi, fertilizzanti eccetera) senza delle quali la prospettiva certa è la recessione economica con conseguente caduta verticale delle condizioni di vita delle popolazioni europee. L’Italia fa la faccia truce, noi che manchiamo di tutto ma non di pale eoliche, col Pd che sin dal primo momento si è calato l’elmetto in testa e guida spavaldamente… col culo degli altri lo schieramento guerrafondaio.
L’Europa agisce quindi contro i suoi stessi interessi, agnello sacrificale della volontà americana di difendere il lembo occidentale del continente euroasiatico. La stessa America che lasciando l’Afghanistan ha detto addio a qualsiasi prospettiva asiatica. Con tutti (o quasi) a credere che la fuga dall’Afghanistan fosse la sentenza del fallimento dell’esportazione in quelle contrade della famosa democrazia (niente da fare con quei “selvaggi”, e con i “selvaggi”, si sa, i crimini contano nulla o quasi); invece era solo la presa d’atto che l’area asiatica fosse ormai diventata per lei “off limits”.
E qui arriviamo al punto: l’epoca unipolare a guida Usa è tramontata, il mondo sta entrando a passi da giraffa nell’epoca del multipolarismo. Si va formando un’area euroasiatica, non omogenea vero, ma convergente sull’intesa di costruire un processo all’insegna del multipolarismo: Russia, Cina, India si muovono in questa direzione; la stessa Israele sembra avere delle insofferenze, e la Turchia già da tempo si muove per conto suo. E in Africa è sempre più facile trovarvi Cina e Russia che America. Alla quale non resta che coltivare il suo giardino di casa (ma anche lì ha dei problemini con qualcuno) e la sua dipendenza europea.
Gli Usa dovevano quindi stringere sull’Europa, non poteva più tollerare che questa continuasse a tessere rapporti commerciali come se niente fosse con una Russia che non era più quella di Eltsin. Andava senz’altro spezzato quell’asse Berlino-Mosca che più di altro le dava preoccupazione. Per ora sembra esserci riuscita, nonostante mugugni e titubanze tedesche e quel rompiscatole del sovranista di ferro Orban che si ostina a voler mettere in primo piano piano gli interessi del popolo che rappresenta («Non possiamo permettere che il prezzo della guerra sia pagato dalle famiglie ungheresi. Questo è il motivo per cui continueremo a opporci", ha dichiarato con fermezza Orban rifiutando la pretesa del presidente ucraino di mandare armi, richiesta considerata «inaccettabile, e contraria agli interessi del popolo ungherese»). Dell’Italia meglio lasciar perdere, semplicemente vergognosa la sua posa a 90 gradi.
L’Europa avendo quindi incassato l’ukase Usa si è scavata la fossa da sola, e non sembra che riesca a esprimere nulla che vada oltre l’orizzonte americano, mancandole la capacità di “pensarsi” altro da questo orizzonte.
Difficile d’altronde per essa pensarsi altro, dopo che la configurazione post seconda guerra mondiale bellica l’ha posta in uno stato di totale dipendenza atlantica. E non si tratta solo della massiccia colonizzazione militare (basi sparse ovunque, solo in Italia più di 100), ma anche di quella colonizzazione culturale che si è tradotta nella piena adesione allo stile di vita americano (“american way of life”)… sin da quando le truppe a stelle e strisce sono entrate nelle città “liberate” distribuendo chewing gum (“cingomme”), sigarette e cioccolato.
Stile di vita poi perfezionatosi con le migliaia di film hollywoodiani che hanno inondato le nostre sale cinematografiche, con la musica e tutto il resto… fino ad arrivare a quella mutazione antropologica che accompagna i tristi e decadenti ultimi anni in cui si è arrivati a tal punto di degrado da non voler “rischiare” di definire la donna perché non si è biologi, oppure di accettare che in gare femminili di nuoto le atlete gareggino con maschi che si “sentono” donna (e ben gli sta alle atlete che si lamentano e basta ma che non sono capaci di rifiutarsi di gareggiare con un maschio fisico, meritano prima o poi di dover gareggiare con delfini in “transizione”). Un american way of life nella quale domina quella cultura “woke” (di cui tante volte ho parlato) che ha letteralmente invaso la struttura nervosa della società americana (e nostra di rimando), che nel progressismo transumano trova la migliore copertura ideologica al suo liberal globalismo.
Ma sono questi i valori dell’Occidente? Per Walter Veltroni sì. Il quale arriva addirittura a dire che «l’invasione dell’Ucraina è una guerra ai valori dell’Occidente”. Mostrando così il buon Veltroni la sua solida cultura… Panini e l’incapacità di distinguere tra valori dell’Occidente e “valori” dell’età globale. I “valori” che lui ritiene occidentali, (e con lui tutto il bel mondo progressista) sono infatti quelli che si identificano in astratto con libertà e democrazia, con tutto il pacchetto dei “diritti civili” (cittadinanza universale, con tanto di accoglienza e inclusione dei migranti considerati come ipotesi di nuova umanità; rifiuto dei confini e degli stati nazione, salvo poi diventare nazionalisti interventisti filo nazisti ucraini; eutanasia, suicidio assistito e tutto l’armamentario ideologico col quale ci fracassano continuamente i nostri cari attributi).
Eh no, caro il nostro obamiano Veltroni, i valori dell’Occidente, piacciano o non piacciano, hanno ben altra scaturigine. Sono quei valori che hanno accompagnato la formazione della civiltà occidentale, che non nasce con la triade sesso droga e rock and roll, ma si è sviluppata lungo l’arco di accidentati quanto gloriosi secoli e millenni di storia, secondo il canone dell’antica tragedia greca. Le cose sono andate così, punto e basta, un altro mondo è possibile certo, ma riguarda il futuro non certo il passato.
Non si può cancellare nulla, se non resettando la memoria storica in nome di una umanità da modellare secondo distopie eugenetiche dettate da quella tracotanza che gli antichi Greci definivano hybris, quell’orgoglio superbo cioè che porta l’uomo a sopravvalutare le proprie forze al punto di pensarsi Dio, e lanciarsi come Prometeo a rubare il fuoco agli Dei, ma scoperto subì un’atroce ed eterna punizione.
Ma che forse sia proprio quel mondo contro il quale continuamente ci accaniamo, e per il quale spesso proviamo viscerale odio (russofobia), a rappresentare la fonte dell’angoscia della nostra falsa coscienza?
Ieri leggevo l’amaro ma veritiero bel pezzo di Andrea Zhok, “Cecità”. Zhok parla della doppia tragedia (geopolitica e culturale) dell’Occidente. Ne riporto per esteso la conclusione, ne vale la pena. «I leader europei non possono davvero oggi opporsi alle volontà americane: non solo per oggettivi rapporti di forza, ma anche perché tutti gli argomenti, tutti i modelli, tutto l’immaginario su cui possono far leva dice a loro e al loro elettorato una sola cosa: “nessun altro mondo è possibile”. Gli altri, tutti gli altri, tutte le epoche diverse dalla nostra, tutte le forme di umanità diverse dalla nostra – così come ci viene rappresentata idealmente – sono solo errori, incomprensibili brutture, residui dogmatici. Solo che oggi, questa nostra cecità ci induce a raccontarci bugie sempre più grandi, e ci spinge ad essere sempre più intolleranti verso chi non regge il gioco di queste illusioni. E questa cecità ci rende anche incapaci di valutare il pericolo reale di continuare a crederci l’indispensabile centro del mondo, mentre potremmo ritrovarci in tempi straordinariamente rapidi ad essere solo la periferia ottusa e impoverita di un impero americano, a sua volta decentrato e in crisi». (Antonio Catalano)
Come per saziare la sua orrida fame ogni anno bisognava dare in pasto al Minotauro sette fanciulli e sette fanciulle ateniesi, così la russofobia occidentale dà in pasto alla sua opinione pubblica parole unicamente pensate per farle credere che il popolo russo sia solo suddita plebe. Così capita che il capo di stato di questo popolo che, ricordiamolo, abita un territorio 57 volte più grande di quello italico, non sia mai presentato come il presidente della repubblica russa ma di volta in volta come lo zar, l’imperatore, l’autocrate, il despota e ora addirittura come l’ennesima replica di Hitler; così come i grandi uomini di affari russi siano regolarmente definiti oligarchi.
Un mese fa “Micromega” invitava a considerare come sia profondamente errato parlare di Putin come dell’uomo solo al comando quando invece egli è un abile mediatore di interessi spesso contrastanti, provenienti dall’establishment politico e militare, dai potentati economici e da quegli stessi servizi segreti in cui si è formato. E comunque, piaccia o non piaccia, eletto da oltre il 70% della popolazione russa. Tanto per stare dalle nostre parti, e per usare lo stesso metro, l’oligarca Draghi da quanti?
Se volessimo applicare lo stesso codice linguistico alla libera America, be’ allora altro che autocrati e oligarchi… ma ci pensa Hollywood a purificarli come magnanimi benefattori e filantropi. Nella “democrazia” (metto le virgolette perché ormai si tratta di una parola svuotata di qualsiasi significato sostanziale) americana vi è un sistema politico gestito da una ristrettissima élite fondata sulla ricchezza e radicata nelle grandi famiglie. Un mio pregiudizio?
Nel 2014 fu pubblicato uno studio condotto da ricercatori dell’Università di Princeton e Northwestern nel quale si rivelava il “vero” sistema politico degli Stati Uniti. «Dietro un’apparente democrazia si nasconde il governo di pochi che se ne infischiano delle scelte della gente.» Quindi un sistema in cui non si rappresentano gli interessi dei cittadini, ma governato da una oligarchia di ricchi e potenti. I ricercatori Martin Gilens e Benjamin I. Page condussero il loro studio (“Testing Theories of American Politics: Elites, Interest Groups, and Average Citizens”, pubblicato sul Telegraph) analizzando i dati tratti da oltre 1.800 diverse iniziative politiche tra 1981 e il 2002, deducendone che gli Stati Uniti sono nelle mani di coloro che controllano anche il sistema economico e orientano le direzioni del paese, indipendentemente o anche contro la volontà della maggioranza degli elettori.
«Il punto centrale che emerge dalla nostra ricerca è che le élite economiche e i gruppi organizzati che rappresentano gli interessi commerciali hanno un impatto sostanziale e indipendente sulla politica del governo degli Stati Uniti – scrivono nel report Gilens e Page – mentre i gruppi di interesse della massa e dei cittadini medi hanno poca o nessuna influenza". In altre parole, il governo americano adotta politiche che favoriscono lobby e interessi particolari, “infischiandosene” dei cittadini. «Quando la maggioranza dei cittadini non è d’accordo con le élite economiche e/o con gli interesse delle lobby, generalmente perdono», spiegano i ricercatori. Lo studio concludeva che negli Usa le politiche «tendono a inclinarsi verso i desideri delle aziende e delle associazioni imprenditoriali e professionali».
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