La scorsa settimana ampi settori dell’opinione pubblica spagnola e latino-americana hanno espresso in modo molto marcato la loro critica all’atteggiamento di papa Francesco che, in occasione del secondo centenario dell’indipendenza del Messico, ha chiesto perdono per i crimini commessi dalla Chiesa durante il periodo della conquista e dell’evangelizzazione del Nuovo Mondo.
In numerose occasioni abbiamo parlato dell’assurdità di chiedere perdono per presunti peccati commessi da altri e, inoltre, per presunti “peccati sociali”, che non si capisce cosa siano. Ed è giusto ricordare che chi ha dato il via a questa moda tanto applaudita è stato Giovanni Paolo II. La verità è che la Spagna ha portato fede e civiltà in America, a costo di enormi sacrifici, salvando dal dominio delle Tenebre milioni di persone sottomesse a schiavitù, immerse nella barbarie e in culti idolatrici che richiedevano sacrifici umani. Riguardo a questa realtà il pontefice non ha detto una sola parola. Ha fatto solo riferimento agli abusi e agli eccessi che certamente sono esistiti, così come esistono in tutte le opere umane.
Ci troviamo ancora una volta difronte a un atteggiamento ripetitivo di Francesco, che l’amico di questo blog, Ludovicus, ha definito giustamente “cannibalismo istituzionale”. Bergoglio è un cannibale che crede di accrescere il proprio potere e prestigio inghiottendo la propria istituzione.
Questa è stata una delle cose che, attraverso i mass media, il mondo ha osannato di più nei primi mesi del suo pontificato. Ricordiamo alcuni fatti: ha affermato che i parroci “tirano pietre” contro i poveri peccatori e che i seminari formano “piccoli mostri”; ha diagnosticato l’Alzheimer spirituale agli ufficiali della curia romana; apostrofò le suore definendole “zitelle”; ha sgridato i cristiani praticanti per avere una faccia da “cetriolini sottaceto”; ha considerato che molti membri della Chiesa soffrono di una “ossessione” per la questione dell’aborto e dei gay; e ha fatto riferimento ai fedeli che mostrano “religiosità e anche amore per la Chiesa”, cioè quelli che vanno a messa, si confessano frequentemente e pregano il rosario, come gnostici o neo-pelagiani, autoreferenziali e prometeici.
Questa politica pontificia può essere davvero definita come cannibalismo istituzionale, le cui caratteristiche sono le seguenti:
Il cannibalismo istituzionale consiste nel nutrirsi della cattiva reputazione dell’istituzione d’appartenenza, accettando versioni peggiorative, pregiudizi e calunnie, contrastandole a parole e di conseguenza salvandosi la faccia in modo personale. Se esercitato da chi detiene la massima rappresentanza dell’istituzione, può raggiungere lo status di tradimento. Spesso, questo salvare la propria faccia è solitamente giustificato come mezzo per salvare il salvabile dell’istituzione denigrata, che viene riscattata, in teoria, dal trionfo del cannibale: “Questa organizzazione non può essere così cattiva se sostiene un presidente così bravo”.
Si distingue da una sana autocritica per la prospettiva di chi la esercita, solitamente esogena e vicina al pensiero politicamente corretto o vigente. La critica mossa dal cannibale istituzionale, esplicita o tacita, in fondo non è diversa da quella del nemico. Oppure è accompagnata dal silenzio circa l’interpretazione del nemico. O, in ogni caso, all’autocritica non segue la sottolineatura degli errori del nemico o l’esaltazione dei principi che infastidiscono il nemico dell’istituzione.
Il cannibale istituzionale appare alienato dall’istituzione. È come se vi fosse arrivato per caso, e se ne distanziasse permanentemente. La critica come potrebbe criticarla un nuovo arrivato, un parvenu. Quando rappresenta l’istituzione, lo fa come un attore, cioè come colui che esercita un ruolo impostato del quale si spoglia felicemente alla fine della rappresentazione, stremato dalla performance. L’istituzione, i suoi fondamenti e la sua storia sono sotto il suo intero giudizio ed esame, non li assume come un assioma, ma come un problema. Mai più lontano da questo cannibalismo Napoleone, quando disse: “Da Clodoveo alla Convenzione, rivendico tutto”.
Il paradosso è che questa alienazione dall’istituzione tende a convivere con un atteggiamento di appropriazione mai visto prima. Il cannibale la considera sua e allo stesso tempo la rifiuta. È un padrone, non un rappresentante. In quanto padrone, si ritiene perfettamente autorizzato a divorarla e rifarla. È un erede con beneficio perpetuo di inventario.
Il cannibale istituzionale non è l’altra faccia del trionfalista, ma solo il suo opposto. Mentre il trionfalista cerca di impadronirsi della fama dell’istituzione, esaltandola ed esaltandosi in una fusione idolatra che gli fa perdere l’anima, i principi e la causa ultima dell’istituzione stessa – che si giustificherà, naturalmente, nel tentativo puramente umano di volerle dare lustro e gloria –, il cannibale istituzionale, con lo stesso atteggiamento e intenzione, con lo stesso slancio puramente umano e pelagiano, privatizza il trionfalismo, esaltandosi. Chiederà perdono per i crimini e gli errori dell’istituzione, ma raramente per i suoi.
Il cannibale istituzionale pretende di sostituire con la sua fama il prestigio di secoli. Con la foresta dell’approvazione popolare, l’humus della storia, i libri antichi, i mobili secolari e gli abiti venerabili accende un falò che risplende di uno splendore mai visto prima. La mattina dopo troverà le ceneri. Come un Cronos capovolto, sarà divorato da suo figlio.
Fonte: caminante-wanderer.blogspot.com by Duc in altumTitolo originale: El canibalismo del Papa Francisco
Traduzione di Valentina Lazzari Testo rivisto dall’autore
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