martedì 26 ottobre 2021

Ma il papa è protestante? La leadership del pontefice è stata catastrofica per il cattolicesimo

The Spectator del 16 ottobre scorso, pubblica un articolo di Damian Thompson, ripreso di seguito nella nostra traduzione, che non va troppo per il sottile in una realistica carrellata sugli aspetti più problematici dell'attuale pontificato, dalla quale trae la conclusione di cui al titolo. Vedi indice sulle principali derive registrate.

Ma il papa è protestante?
La leadership del pontefice è stata catastrofica per il cattolicesimo

Il mese scorso, quando gli è stato chiesto come stava dopo l’intervento chirurgico al colon a cui è stato sottoposto nel mese di luglio, Papa Francesco ha risposto: “Sono ancora vivo, anche se qualcuno avrebbe preferito che morissi. So che ci sono state persino riunioni tra prelati che pensavano che la salute del papa fosse peggiore di quanto la versione ufficiale riportava. Si stavano preparando per il conclave. Pazienza!”

È stata un’uscita così aggressiva che pochi si sono resi conto del fatto che Francesco stava parlando di due cose diverse. In primo luogo ha 84 anni, ossia un’età avanzata persino per un papa. I bollettini medici affermano che non ha il cancro, ma è stato in ospedale più a lungo del previsto e i dottori italiani non godono esattamente della fama di dire la verità sullo stato di salute di un anziano pontefice.

Poi, non c’è nessun favorito come successore di Francesco, la cui politica di nominare cardinali provenienti dalle “periferie” (per esempio Tonga, in cui vi sono solo 16.000 cattolici) ha fatto sì che molti di loro siano dei completi estranei a Roma. Per cui è logico che quando il papa è stato operato ci siano state “riunioni tra prelati” per parlare del prossimo conclave. È così che Francesco è stato eletto nel 2013: piccoli gruppi di cardinali progressisti stavano tramando da anni per installarlo sul soglio pontificio. Non si tratta di una trama occulta.

Ma chi è che desidera la morte del papa? Sicuramente Francesco ha soltanto dato voce alla sua paranoia o al suo umor nero. Quanti cattolici sarebbero stati contenti — o perlomeno non avrebbero provato dispiacere — se avessero visto il Santo Padre lasciare l’ospedale Gemelli in una bara?

La risposta è: molti di più di quanto il pubblico generico si renda conto. Sono pochi quelli che lo ammettono esplicitamente, e la maggioranza di costoro lo esprimono in termini come: “non sarebbe una brutta cosa se questo papa gesuita venisse chiamato a ricevere il suo premio celeste”. Ma c’è anche chi si spinge oltre. Mi ricordo di un pranzo a cui ho partecipato recentemente con due sacerdoti, uno dei quali ha utilizzato la formula del “premio celeste”. L’altro ha replicato: “Cosa ti fa pensare che sarebbe ‘celeste’?”. Quest’ultimo sacerdote apparteneva al novero molto più ristretto di cattolici — e il fatto curioso è che questa categoria è composta da una maggioranza spropositata di sacerdoti — che disprezzano il papa con tanta virulenza che, purché questo pontificato arrivi presto a termine, non importa loro cosa ne provocherà la fine. “Spero che schiatti stanotte”, ha aggiunto il sacerdote, tanto per assicurarsi che il suo messaggio fosse ben chiaro.

Scioccante, no? Non voglio certo difendere un’affermazione del genere, ma mi si lasci almeno inserirla nel giusto contesto (e si noti che “si era bevuto qualche bicchierino”, come si soleva dire un tempo nei tribunali).

A partire dal II secolo dopo Cristo, la Chiesa è stata paragonata a una barca, la “Barca di Pietro” al timone della quale c’è il papa, che la guida al porto della salvezza. Questo sacerdote — come decine di migliaia di cattolici conservatori, tra i quali ci sono anche cardinali — ritiene che Francesco stia guidando tale barca verso gli stessi scogli scontrandosi coi quali il protestantesimo progressista ha naufragato — e non perché egli sia ingenuo, bensì perché ha delle intenzioni folli e autodistruttive.

Questa teoria della cospirazione è stata resa plausibile dal comportamento erratico e talvolta vendicativo del papa. Dal momento in cui si è affacciato al balcone di San Pietro dopo la sua elezione, senza la tradizionale mozzetta [indossando la stola ricamata d’oro solo per la benedizione -ndr], Jorge Mario Bergoglio ha recitato il ruolo del riformatore schivo, umile ma determinato. Ma non è stata una recita sempre credibile.

I mezzi di comunicazione mondiali, ancora intimoriti dal suo predecessore Benedetto XVI — che aveva rinunciato al papato dopo essere stato schiacciato dalla cultura della corruzione che aveva ereditato —, gli hanno dedicato un benvenuto estatico. Pochi giornalisti hanno prestato attenzione alla reazione perplessa dei cattolici argentini, che conoscevano già lo strano modo di comandare del nuovo papa.

Questi ultimi avevano avuto ben poche prove di quel fascino alla mano quando Francesco era Cardinale Arcivescovo di Buenos Aires o quando, ancor prima, era superiore provinciale dei gesuiti argentini. Lo stile di Bergoglio è notoriamente sferzante. In Buenos Aires ha espresso segnali contraddittori. Da una parte ha incrementato la presenza della Chiesa nei quartieri degradati, non ha mai desiderato lussi e ha coltivato la propria immagine di uomo del popolo utilizzando un linguaggio colorito; dall’altra è sempre stato di cattivo umore — nelle fotografie dell’epoca ha una spaventosa faccia contrariata — e aveva la reputazione di viaggiare a Roma per fare le scarpe ai vescovi suoi rivali.

Data la reputazione che aveva nella sua patria, forse non è un caso che, da quando è diventato papa, Bergoglio non ha più messo piede in Argentina, il che è un insulto lampante, dato che ha visitato quasi tutti gli altri paesi dell’America Latina. Probabilmente si tratta di uno schiaffo ai suoi vecchi nemici all’interno della Chiesa locale.

Abbiamo avuto un saggio del lato più spinoso della personalità di Francesco il mese scorso, quando ha concesso un’intervista, come al solito garrula e rancorosa, sull’aereo di ritorno dalla Slovacchia. Francesco ha esortato tutti i cattolici a vaccinarsi contro il Covid [qui]. Una persona che non ha seguito il suo consiglio è il Cardinal Raymond Burke, un arci-tradizionalista americano rimosso dal papa, con la brutalità che lo contraddistingue, dal suo incarico di alto livello all’interno della Curia [qui].

“All’interno del Collegio dei Cardinali ci sono alcuni negazionisti [dei vaccini]”, ha dichiarato Francesco. “Uno di loro, pover’uomo, ha contratto il virus”. C’era forse un tono di soddisfazione nel suo riferirsi a Burke — che ha rischiato di morire di Covid — con l’espressione “pover’uomo”? Gli alleati di Burke ne sono convinti e hanno sottolineato il fatto che il cardinale era semmai uno scettico, non un “negazionista”.

Più di ogni altro papa dei tempi moderni, Francesco dà l’impressione di nutrire molto odio. I suoi avversari rispondono a picche alla sua ostilità. Non dimenticherò mai lo sguardo carico di bruciante disprezzo che si è stagliato sulle fattezze di un ex-cardinale della Curia quando gli ho menzionato il suo ex-capo.

Ciò non è normale, nemmeno nell’atmosfera del Vaticano, in cui pur serpeggiano spesso pugnalate alle spalle. L’esitante Paolo VI, che proibì la Messa in latino dopo il Concilio Vaticano II, era indubbiamente disprezzato dai tradizionalisti. Ma il rispetto per l’ufficio papale ha fatto sì che la maggioranza di essi si astenessero dal criticarlo duramente, come se egli fosse semplicemente uno dei tanti vescovi prepotenti. Succede invece spesso di udire i “falchi” tra i conservatori riferirsi al papa attuale come “Bergoglio” o “Frankie”. Paolo, a cui non piaceva viaggiare in aereo, non aveva la fama di rigirare il coltello nella piaga dopo aver rimosso qualcuno dal suo incarico senza preavviso; né è mai trapelata alcuna notizia del fatto che, sotto il suo pontificato, l’atmosfera diventasse pesante durante sfoghi papali.

Tutto ciò, sommato al fatto che Francesco segue un’agenda politica progressista, significa che il dibattito sulla crisi della Chiesa Cattolica si concentra pesantemente sul curriculum e sulla personalità di questo papa. Un altro tema inevitabile è ovviamente la crisi degli abusi sessuali, che non mostra alcun segno di calmarsi in un momento in cui i riflettori si spostano dal mondo anglofono all’Europa continentale. Secondo un’inchiesta indipendente pubblicata in Francia la scorsa settimana, 330.000 ragazzi sono stati abusati da sacerdoti e impiegati laici della Chiesa negli ultimi 70 anni [qui]. La Chiesa cattolica in Germania è piagata da accuse simili [qui]. Qualora le Chiese dell’Africa e dell’Asia dovessero mai finire sotto uno scrupoloso scrutinio, ci si potrebbe aspettare rivelazioni grottesche. Lo stesso Papa Francesco è implicato in modo molto grave nella protezione di alcuni prelati latinoamericani, fatto di enorme portata che viene messo a tacere dall’armata supina della stampa vaticana.

I crimini contro i minori sono stati commessi su una scala così vasta — e così tanti prelati vi sono coinvolti in modo perverso — che si preferisce essere prudenti prima di affermare che la Chiesa cattolica si trovi di fronte a uno scandalo esistenziale. Ma c’è un ulteriore problema fondamentale che avrebbe dovuto comunque essere affrontato, anche se è stato reso ancor peggiore dallo scandalo degli abusi sessuali.

Semplicemente, la Barca di Pietro si stava già dirigendo verso scogli che ne minacciavano il naufragio molto prima che Papa Francesco ne prendesse il timone. Vi è trasportata da quella stessa ondata demografica che ha fatto sì che il numero di persone che assistono alle celebrazioni della Chiesa anglicana calasse da 740.000 a 690.000 tra il 2016 e il 2019 — dunque, prima della “pandemia” di Covid, durante la quale tanto i vescovi anglicani come quelli cattolici sono stati stupidamente solerti nel bandire anche i servizi religiosi che osservavano il “distanziamento sociale”.

I sociologi delle religioni credevano che l’identità culturale, la struttura e gli insegnamenti unici della Chiesa cattolica le fornissero una protezione contro la secolarizzazione. La cultura secolare ha semplicemente spazzato via denominazioni “maggioritarie” come per esempio la Chiesa episcopale negli Stati Uniti. Ma come ha argomentato la critica culturale Mary Eberstadt nel suo libro del 2013 How the West Really Lost God [Come ha perso veramente Dio l’Occidente], il cattolicesimo occidentale è il prossimo della fila.

La maggioranza dei cattolici statunitensi commette quello che la Chiesa insegna essere un peccato mortale: non frequentare la Messa domenicale — e, nello scorso decennio, è diventata favorevole al matrimonio gay e all’aborto. L’autrice suggerisce che la secolarizzazione è “un fenomeno per via del quale i protestanti, in generale, diventano atei e i cattolici, in generale, diventano protestanti” (ossia adottano più o meno le posizioni dei progressisti anglicani e luterani di venti anni fa).

Il libro della Eberstadt è stato scritto poco prima della rinuncia di Benedetto XVI. Nessuno sarebbe mai stato in grado di prevedere che, cinque anni dopo, si sarebbe mai potuto affermare ragionevolmente che lo stesso papa fosse “diventato protestante”.

Francesco può anche seguire un’agenda politica progressista, ma tale agenda è anche bizzarra e incoerente, il che potrebbe essere un fatto deliberato. Egli è un gesuita nella peggiore accezione del termine, dato che cambia continuamente posizione in modo da mantenere sempre sulle spine tanto i suoi oppositori come i suoi sostenitori. Ma la sua leadership non possiede nessuno degli attributi positivi del suo ordine: egli ha creato una confusione intellettuale così complessa da sconvolgere quei gesuiti che hanno una mentalità logica, progressisti compresi.

La sua sconclusionata esortazione apostolica Amoris laetitia consente ai cattolici divorziati e “risposati” di ricevere la Comunione? [qui] Nessuno lo sa, Francesco si rifiuta di chiarirlo, e pertanto l’applicazione dell’insegnamento della Chiesa varia enormemente tra una diocesi e l’altra. Ha riconosciuto in modo surrettizio la validità degli ordini anglicani e luterani? È possibile, visto che in numerose occasioni egli ha detto ai pastori protestanti di non prendersi la pena di convertirsi. Questa settimana ho riportato la notizia del fatto che il Dr. Michael Nazir-Ali, ex-vescovo di Rochester, è entrato nell’ordinariato cattolico creato da Benedetto XVI per gli ex-anglicani [qui]. Gira voce che sarebbero stati compiuti tentativi di dissuaderlo “ai più alti livelli del Vaticano”.

Ma c’è un aspetto sul quale l’idea secondo la quale Francesco avrebbe abbracciato il protestantesimo progressista sembra fondata. Egli ama i sinodi inutili. Questo mese Francesco ha lanciato la prima fase di quello che è stato chiamato, in modo ridicolo, “sinodo sulla sinodalità” [qui], una “consultazione planetaria” su concetti vaghi come la comunione, la missione, i cambiamenti strutturali e l’“ascolto”. L’iniziativa è stata accolta da sbadigli da parte delle Chiese locali. Il vaticanista Padre Raymond de Souza prevede che alla fine questa consultazione con l’intero “popolo di Dio” non sarà altro che “una consultazione con burocrati ecclesiastici laici in paesi ricchi, affiancata da vari concili ufficiali a livello parrocchiale e diocesano”.

È una descrizione piuttosto precisa della strada intrapresa a suo tempo dalle principali denominazioni protestanti quando si dirigevano verso l’abisso. Papa Francesco sta presiedendo l’anglicizzazione della Chiesa cattolica: la concentrazione incrementale di potere nelle mani di una burocrazia che drena le energie di parrocchie già esangui. Resta da vedere se il Vaticano possiede le risorse economiche sufficienti per indulgere in questo esercizio di autocompiacimento. Tra poche settimane — quando uno degli alleati più fedeli di Papa Francesco, il Cardinal Angelo Becciu, sarà processato in un tribunale vaticano insieme a nove altri accusati di vari reati finanziari che includono il lavaggio di denaro, il peculato, la frode e l’estorsione — potremmo ricevere maggiori informazioni sullo stato delle sue finanze.

Perché il papa sta spingendo la Chiesa verso la china di questo “percorso sinodale” con tanto entusiasmo? Non possiamo saperlo. L’ipotesi che ritengo più attendibile è che gli piaccia conferire potere a quei burocrati della Chiesa la cui visione politica coincide più o meno con la sua. Uno dei capisaldi del suo pontificato è la subordinazione della teologia — di cui Francesco nutre solo un interesse passeggero — alla politica, un’area in cui nutre invece pregiudizi spettacolari. Il disprezzo che egli prova da sempre nei confronti degli Stati Uniti — atteggiamento tipicamente argentino — si estende ora a ogni popolo o a ogni idea che possa essere considerata di destra. Allo stesso tempo, egli ha abbandonato la sua opposizione al marxismo. I suoi principi guida sembrano essere “I nemici dei miei nemici sono i miei amici” e “Nessun nemico a sinistra”.

La visione sempre più paranoica che Francesco ha dei conservatori, dei tradizionalisti e dei difensori del libero mercato ha provocato le due decisioni più controverse — per non dire sciagurate — che ha preso quando è diventato papa.

La prima è il patto con Pechino firmato nel 2018, che garantisce al Partito Comunista cinese l’autorità di nominare e ordinare vescovi cattolici la cui legittimità non è riconosciuta da Roma [quiqui]. Anche se la divisione tra i cattolici “sotterranei” fedeli al Vaticano e la Chiesa cattolica burattina del Partito Comunista cinese è diventata sempre più sfumata, quella che è stata di fatto l’abolizione della Chiesa sotterranea da parte di Papa Francesco è un tradimento eclatante nei confronti dei fedeli sotterranei.

La seconda è la nuova soppressione della Messa tradizionale in latino con la Traditionis custodes [vedi], una lettera apostolica promulgata da Francesco nel mese di luglio. Questo documento, che colpisce per la sua crudeltà e per le sue asserzioni spicce, sostiene, sulla base di un’indagine riservata, che i cattolici tradizionalisti starebbero abusando della libertà concessa loro da Benedetto XVI, fomentando divisioni. Per questo Francesco ha garantito ai vescovi diocesani il diritto di proibire la celebrazione della Messa tradizionale in latino: alcuni di essi hanno già abolito celebrazioni molto belle che attraevano ingenti numeri di giovani.

Ciò ci riporta al discorso sulla demografia. La Chiesa cattolica è troppo grande per cadere in un precipizio, ma si sta rimpicciolendo molto in fretta in Occidente. Gli unici centri di crescita e di rinnovamento sono le oasi di culto tradizionale, libere dal gergo modernista. Un fenomeno simile si sta verificando all’interno della Chiesa anglicana e del giudaismo, e Francesco ne è terrorizzato, giacché identifica pigramente i nuovi tradizionalisti coi conservatori “rigidi” che ha conosciuto nella sua gioventù. Così, lo stesso anno in cui ha lanciato una “consultazione planetaria” con “tutto il popolo di Dio”, egli sta usando mezzi autoritari per perseguitare cattolici così giovani da poter essere i suoi nipoti.

Alcuni di questi nuovi tradizionalisti — e il loro amici cattolici ortodossi che preferiscono il culto in inglese — si trovano ora nella grande difficoltà di dover cercare di conciliare la loro fedeltà al “Santo Padre” con la meschinità del suo spirito: egli ha affermato recentemente che il loro amore nei confronti del rito antico “nasconde qualcosa, insicurezza o qualcos’altro”. Altri osservano il papa e gli altri dinosauri feriti che lo circondano e pensano: anche questa passerà. O, come uno di loro ha pubblicato su Twitter: “L’elemento paradossale a favore di noi giovani cattolici è che possiamo continuare ad afferrarci ai riti più antichi — sia pur in modo peculiare e insicuro — per un periodo di tempo più esteso rispetto alla speranza di vita di questi personaggi”.
Damian Thompson (The Spectator), 16 ottobre 2021 
[Traduzione per Chiesa e post-Concilio di Antonio Marcantonio]
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